Fotografie di Alessia Naccarato
di Arianna Semeraro
Se qualcuno l’anno scorso ci avesse detto che a novembre 2021 saremmo tornati a riempire i club, a ballare, in piedi, vicini e senza mascherine probabilmente non ci avremmo creduto. Lo scoppio della pandemia e il suo protrarsi così a lungo nel tempo ci ha resi disillusi e diffidenti sul futuro, privandoci delle certezze che davamo per scontate come, semplicemente, partecipare ad un concerto. Sono stati mesi (tanti mesi) difficili in cui abbiamo imparato a scendere a compromessi con tutto, e sì, anche con la musica. Siamo passati dal seguire i festival in streaming sul divano di casa, a tornare dal vivo in piazza, quest’estate, sempre rigorosamente seduti, distanziati e con mascherine annesse. Abbiamo apprezzato, ci siamo anche commossi nel vedere che qualcosa stava ripartendo piano piano ma, in fondo, non ci è mai bastato.
Ciò di cui abbiamo sentito più la mancanza è venuto a galla all’improvviso e con violenza nell’attimo stesso in cui ci è stato restituito: muoverci liberi nello spazio, lasciarci attraversare dal suono e dalle vibrazioni delle casse e, soprattutto, avvicinarci ad altri corpi che, come i nostri, ballano, si mescolano e si confondono tra la gente. Da quanto aspettavamo tutto questo?

Il Club To Club è tornato finalmente in presenza e noi non potevamo che esserne più felici. Ad ospitare il Festival più atteso dell’autunno è stata, ancora una volta, la suggestiva Sala Fucine delle OGR con il suo stile industriale di fine Ottocento, uno spazio così ampio e particolare che, lo scorso anno, mentre seguivamo in diretta streaming l’esibizione di SPIME.IM, Tomat e Gabriele Ottino, ci era sembrato quasi spettrale. All’ ingresso una serie di controlli (temperatura corporea, biglietto d’ingresso, green pass, oggetti non consentiti, metal detector) a ricordarci che il Covid è solo uno dei tanti ostacoli che il mondo degli eventi musicali dal vivo ha dovuto affrontare nel corso degli anni, si pensi all’allerta attentati o al rischio calca che, proprio in questi giorni, dall’altra parte del mondo, all’Astroworld Music Festival ha causato morti e feriti. L’organizzazione è qui, invece, impeccabile tanto da avere l’impressione, una volta entrati, di essere liberi e al sicuro.

Nonostante i cambiamenti che lo hanno inevitabilmente attraversato, il Club to Club del 2021 ha continuato a rimanere fedele a se stesso, modulando le proprie scelte sulla base di tre principi: l’indipendenza culturale, l’esplorazione di un’arte a cavallo tra avantgarde e new pop e, infine, l’espressione di un senso di collettività e appartenenza. Nelle quattro giornate dedicate, dal 4 al 7 ottobre, il Festival è uscito dai propri confini (anche se di confini non ne ha mai conosciuti), ha raggiunto le zone meno pettinate della città (Porta Palazzo con i suoni d’artista curati dal duo marchigiano Artetetra ) e ha portato sul palco dei quadri meravigliosi (come quelli realizzati per Caterina Barbieri & Ruben Spini o per L’Rain) dimostrando di essere davvero un «FESTIVAL AS A PERFORMANCE» come dichiarato in partenza dal suo claim.

Dopo un anno di pausa, anche gli ospiti di questa ventesima edizione sono tornati a essere di respiro internazionale con il produttore domenicano Kelman Doran, il duo italo-russo XIII e Sabina Kaufman, il musicista berlinese Bill Kouligas, il finlandese Ripatti, per citarne alcuni. E, sebbene il C2C ci abbia ormai abituati alla presenza di nomi anche più noti del panorama musicale (Thom Yorke, Jamie xx, Yves Tumor, Flume, Aphex Twin, Beach House eccetera), quest’anno invece assenti dalla line up, non è mancata l’esplorazione dei nuovi suoni d’avanguardia, come quelli Beatrice Dillon, autrice di Workaround uno dei dischi più apprezzati dalla critica internazionale che combina lo stile inglese dell’artista con le melodie afro-caraibiche o, ancora, quelli di Koreless, produttore di Agor un lavoro innovativo e unico a metà tra lo stile ambient e lo stile minimal.

È un Festival sicuramente insolito rispetto ai precedenti soprattutto per quanto riguarda l’affluenza del pubblico che, causa restrizioni, non raggiunge i livelli degli scorsi anni ma registra comunque il tutto esaurito nelle serate di venerdì 5 e sabato 6 novembre. Il Club to Club ci è mancato e si vede. Sotto il palco l’atmosfera è rilassata, di festa. L’impressione è quella di un crescendo di adrenalina che esplode sul finire di ognuna delle quattro serate, quando anche i meno coraggiosi si liberano di giacca e borse per iniziare a ballare. D’altronde, come si rimane fermi ascoltando Skee Mask? Il musicista di Monaco, già ospite del Festival nel 2018 e nel 2019, coinvolge tutti con il suo mix di suoni tra techno e hip-hop.


Insomma, questo lungo weekend ha rappresentato per Torino un’ulteriore occasione per ribadire la propria lungimiranza nel mondo della musica elettronica mentre, per noi che ci abbiamo partecipato, ha avuto lo stesso effetto benefico di una boccata di aria fresca in aperta campagna. Le aspettative per il 2022 sono alte ma, nel frattempo, abbiamo fatto incetta di good vibes e buona musica e queste ci basteranno fino al prossimo appuntamento che, speriamo, possa continuare a svolgersi in presenza. Al prossimo autunno!