Fotografie a cura di Alessia Naccarato
Forse è presto per dirselo, perché le ferite sono ancora fresche, e ci vuole tempo e cura perché la pelle si rimargini e accetti questo nuovo segno. È anche vero, però, che più una cosa viene naturale più ci sembra sincera e meno mediata. In questo senso se l’edizione del 2015 era stata una di quelle di prendere col cuore, fatta per disorientare ogni ascoltatore nei suoi cambi improvvisi, quella del 2016 è, probabilmente, da prendere più con la testa, per recuperare il filo logico di certe scelte e delle situazioni che hanno creato. Nel corso degli anni il Club to Club si è ritagliato, insieme a pochissime altre realtà, un ruolo importante nel rinnovamento della concezione di festival che abbiamo nel nostro paese, adeguandosi al resto del mondo, con proposte ricercate e una struttura flessibile. Lo spettro del C2C si è ampliato,visitando nel corso dell’anno città differenti (Milano, Venezia, Parma..), in cui i grandi nomi di oggi si sono alternati con quelli che lo saranno presto, per poi tornare di nuovo a casa, a Torino, con una formula che continua ad arricchirsi e a trasformarsi ogni volta. Per tutte queste ragioni il Club to Club è uno dei momenti musicali più importanti dell’anno, e non solo per gli artisti che vengono presentati. Va ricercato in questo panorama il nucleo di ciò che è stata l’ultima edizione, e quello che ha significato per noi al venerdì e al sabato, che sono solo una parte di ciò che è accaduto ma, allo stesso tempo, la parte più diretta, in cui il confronto è serrato fra artisti e pubblico.
Il weekend è generalmente una corsa contro il tempo e lo è specialmente quando devi gestire le forze. Venerdì e sabato sono state due serate estremamente diverse fra di loro, quasi una contro l’altra. Rappresentazioni ideali delle due anime, o delle tre stelle, principali del festival, la sperimentazione e la necessità di tenere sempre altissimo il livello di tensione, muscolare e visiva, delle performances. In pratica coinvolgere le persone, non solo per i nomi, ma per i progetti che presentano, cercando di inserire al massimo l’esperienza del festival nella contemporaneità che viviamo e che, spesso, perdiamo di vista. È un po’ ciò che si diceva prima, allevare la curiosità è una pratica che si sta perdendo ma è anche uno stato mentale fondamentale per vivere il Club to Club al suo valore massimo. Il venerdì del Lingotto è stato complesso per le sue sfumature, un’esperienza che richiede molta più elaborazione. Forse ci siamo fatti del male da soli, già l’anno scorso, quando ci dicevamo che sarebbe stato impensabile ripetere qualcosa del genere. Ma è la solita frase di chi sposta le valutazioni solo sulla propria esistenza. Se il C2C si fosse ripetuto, probabilmente, lo staremmo accusando di collezionare figurine, invece di reinventarsi come è stato. Con i suoi limiti e punti di forza notevoli (Mura Masa, Gaika, Fatima Yamaha). E non si tratta solo degli Autechre alle quattro, la cui destrutturazione ti finisce talmente in testa, nel buio completo, da lasciarti immobile, esperienza estrema anche per una session del genere. Perché il progetto di Brown e Booth fluidifica e confonde, ma è proprio il suo essere punto di contatto con l’imprevedibile che funziona. Apre a metà testa e cuore, e fa anche male, allo stesso modo degli Swans. Il sottile fil rouge che collega il gruppo di Micheal Gira alla cittadina di Rochdale ti appare solo a tre giorni di distanza, è nell’immediato che ti blocca, dopo il confuso set di Nick Murphy che forse sente troppo il peso di quel Chet Faker con cui cercava di nascondersi prima e che ora non riesce più a togliersi di dosso, e le ossessive ripetizioni frenchtouch di Laurent Garnier. Un’ora che si è alienata dal contesto che Murphy e Garnier avevano disegnato. Il senso di disorientamento deckardiano nel Blade Runner di Ridley Scott, poco prima che Roy Batty venga ucciso, ci accompagna anche il sabato all’entrata, ma per aprirci a sensazioni completamente diverse. All’ingresso ci sono i controlli, dentro un ambiente rilassato, coinvolto appassionatamente nella collettività di Junun che sembra ristabilire quel tipo di chakra necessario a riprendersi per come avevamo lasciato il Lingotto. Jonny Greenwood è solo apparentemente in disparte mentre gestisce l’improvvisa svolta elettronica di questo progetto un po’ surreale e quasi mistico, che riesce a fare da ponte al fugace salto da Jessy Lanza, poco prima che gli schermi si accendano e un ragazzo di Hayward col cappellino faccia girare il primo disco. Dj Shadow è stato tutto, e forse anche di più, non solo per lo scratch, la batteria elettronica campionata con voci che diventano ritmo o per la ricorrenza dei vent’anni di Endtroducing e nemmeno per The Mountain Will Fall. Per un attimo Torino è finita in California, dopo essere passata da Bollywood, e di nuovo ci siamo riempiti di energia positiva, per sopravvivere alle vorticose richieste del set di Jon Hopkins e a quello di Motor City Drum Ensemble il cui recupero funky sarebbe potuto durare per ore senza che qualcuno potesse cedere.
Razionalizzare non diventa necessariamente perdere qualcosa, ma in questo momento vorrei recuperare la memoria più oggettiva possibile, riscoprire le facce degli sconosciuti e vederli sereni come erano con le canzoni di Junun. È in questo frangente che, probabilmente, abbiamo capito tutto il bene che si trova nella filosofia del Club to Club, e di quanto ne abbiamo bisogno. Non si tratta solo di essere all’avanguardia, non lo è mai stato, ma di dare gli strumenti alle persone per fargli comprendere quanto, tutto questo, parli anche di noi, e che tanto ancora c’è da scoprire. Le due anime di questa edizione si sono scontrate, allontanate e poi ritornate insieme, come le storie d’amore vecchia scuola, impossibili da immobilizzare nella loro frammentazione naturale. Proprio come quell’amico, che si trova nel posto scomodo di dover dare un consiglio che non verrà seguito, anche noi, cerchiamo di dare un senso a tutto quello che è successo, per poi dirgli, un po’ banalmente, che tutto quello che abbiamo vissuto si lega indissolubilmente a ciò che siamo diventati.
venerdì 4 novembre
sabato 5 novembre