Avevamo lasciato Cristiano Crisci, aka Clap! Clap!, poco più di due anni fa con Tayi Bebba, un disco dal gusto terrigno e ferroso, ancorato con forza alla sabbia rossa africana e contaminato da un bass sound sotterraneo pervasivo, alla ricerca delle nostre radici. Ora, con A Thousand Skies è giunto il momento di alzare gli occhi al cielo ed osservare tutto quello che si trova sopra. Ed è proprio l’altisonante titolo dell’album ad offrirci le diverse chiavi di lettura possibile e a trasformare la non-immediatezza del lavoro in uno dei suoi certi punti di forza.
Il primo, più epidermico criterio interpretativo è l’assenza di confini, la spazialità che rifiuta una prigione fatta di schemi predeterminati, la non collocabilità a priori in uno spazio geografico di indiscussa provenienza. Crisci è un artigiano itinerante, che parte dalla toscana e cesella e intarsia la sua opera campionando voci, percussioni e sonagli atrraverso il Mediterraneo fino in Africa, per poi saltare ai ritmi footwork di Chicago, al funky made in UK, senza farsi mancare una strizzatina d’occhio ai vari producer losangelini, in testa a tutti Flying Lotus e Thundercat e alla loro wonky-house. Ma, appunto, cercare di inserire a forza in una o più scatole il prodotto o tentare di indovinare gli innumerevoli rimandi e fonti a cui le nostre orecchie si abbeverano ad un primo, secondo e terzo ascolto, sarebbe estremamente confliggente con la natura cosmopolita e di sincresi dell’album.
Questo viaggio trasversale in mezzo a generi musicali e luoghi favolistici è una testimonianza che si sviluppa sotto una pluralità di cieli, un immaginario celeste fatto di costellazioni e di richiami ai miti su di essi. Su questo si instaura il secondo gradino narrativo, ossia un racconto fantastico che si snoda lunga una strada lastricata di fascinazioni etnicheggianti al sapore di afrofuturismo, un incontro surreale con le stelle scandito dai titoli dei vari pezzi. Così, se si parte con il lamento che si alza da terra di Discessus – trait d’union con il passato – sono poi più avanti la melodia sintetica del sitar di Ode to the Pleiades e l’orientaleggiante Flowing Like a Snake in Ophiuchus’ Arms a costituire il corpus centrale del disco. Il tutto passando per le crude percussioni di Ar-Raquis e Centripetal, il dubstep di Betelgeuse’s Endless Bamboo Oceans, senza tralasciare i frenetici belati di tromba giustapposti al synth in Elephant Serenade e i ritmi e le voci delle più ballabili afro tribe elettroniche di Nguwe.
Clap! Clap! è cittadino del mondo e viaggia con una valigia dal contenuto così vario ed eclettico che catalogarne ogni singolo accessorio risulta praticamente impossibile. Eppure hip-hop decostruito, electro, industrial e a tratti una placida ambient si miscelano fra loro con naturalezza, impilandosi con ordine come libri del proprio autore preferito su uno scaffale. La meravigliosa padronanza di Crisci nell’utilizzo delle macchine e nella ricerca di soluzioni originali assume ancora più valore nel momento in cui – arrivati al terzo e più profondo livello di analisi – ci si rende conto che questa non è volta alla mera ricerca del tecnicismo più nerd, bensì ad un riscoprire un fattore umano più caldo, rallentando. A Thousand Skies è un disco zeppo di emozioni e di respiri, di voci e di umanità e richiede il giusto tempo (come anticipato in apertura) per poterlo farlo arrivare in tutta la sua pienezza e il suo calore e lasciarlo sedimentare.
Non c’è un calcolo dietro, una volontà più o meno consapevole di compiacere un determinato pubblico o di raggiungere un qualsivoglia target preconfezionato, che si parli di club esclusivi piuttosto che di inflazionati salotti hipster, ma la sincerità di un lavoro pensato a lungo, che trova il suo perfetto luogo d’ascolto in un punto anonimo del deserto, nel silenzio di una stanza, in una saletta scura dai soffitti bassi o seduti su cuscini colorati a fumare la shisha. Sopra, al di fuori, in alto ci sono un migliaio di cieli da raggiungere, e ora lo sappiamo.