La nascita della letteratura gotica viene fatta risalire alla pubblicazione di Il Castello di Otranto di Horace Walpole a fine Settecento, preludio di una tradizione narrativa che ancora oggi, tra alti e bassi, non accenna a crollare. Caratteri medievaleggianti, atmosfere febbrili di puro orrore ed elementi soprannaturali hanno serpeggiato tra le righe di innumerevoli capolavori da ogni latitudine, godendo di grande popolarità soprattutto nella fascia nord-europea. Vediamone alcuni.
I misteri di Udolpho (1794) di Anne Radcliff
Un vero e proprio caposaldo del romanzo gotico, alla pari del Castello di Otranto di Walpole, I misteri di Udolpho è stato pubblicato in un periodo in cui il racconto di formazione femminile aveva conquistato le librerie grazie ai contributi di nomi quali Jane Austen. Anne Radcliffe compie un passo in più, articolando il suo racconto in un contesto narrativo da noir ante-litteram sul limite estremo tra ragione e folle terrore. È una storia di rapporti umani torbidi ambientata nella Francia rinascimentale, consumata in climax agghiacciante tra i corridoi dell’oscuro maniero di Udolpho, un luogo di morte e paura costruito tra gli aspri pendii degli Appennini.
Il monaco (1796) di Matthew Lewis
Apparso nelle librerie di fine Settecento, questo piccolo romanzo è incentrato sull’integerrimo monaco spagnolo Ambrosio, corrotto da un confratello che, anticipandolo sulla via per la perdizione, lo ha condotto a diventare un mostro assetato di sesso e sangue, pronto a uccidere pur di soddisfare la propria libidine. Non privo di derive esoteriche e blasfeme, il capolavoro di Matthew Lewis è un durissimo attacco alle ipocrisie ecclesiastiche, che riporta i “vicari di Cristo” alla loro essenza più umana e peccaminosa. L’intreccio semplice e lineare permette all’autore di non risparmiarsi nella descrizione di violenza e oscenità varie, secondo le regole di un approccio più pulp ben lontano dall’eleganza formale di una Mary Shelley. La scabrosità narrativa e l’estremizzazione delle peculiarità del romanzo gotico hanno fatto di Il monaco un grande e scandaloso successo ancora oggi affascinante e sconvolgente.
La leggenda di Sleepy Hollow (1820) di Washington Irving
Fine XVIII secolo, Nord America. Un villaggio colonico olandese è infestato dal fantasma di un feroce soldato mercenario, morto durante la guerra d’indipendenza a causa di un colpo di cannone che lo ha privato della testa. Su di lui indaga Ichabod Crane, un eccentrico, ambizioso e superstizioso insegnante del Connecticut invaghito della giovane ereditiera Katrina Van Tassel, già promessa del focoso e meschino. Pubblicato nel 1820, La leggenda di Sleepy Hollow è forse il più celebre tra i racconti di Washington Irving, autore da sempre apprezzatissimo per la prosa descrittiva accattivante e senza particolari fronzoli. I punti di forza del racconto sono la dinamica verosimiglianza dei personaggi e l’ovvia ambientazione spettrale, evocativa e densa di mistero e terrori nascosti. L’elemento soprannaturale del cavaliere senza testa è la cartina tornasole attraverso la quale viene filtrata una sarcastica descrizione delle contraddizioni degli esseri umani, valida e arguta al giorno d’oggi come duecento anni fa, immersa in un’atmosfera fitta e palpabile dove le speranze di un’ascesa sociale si scontrano con le durezze esistenziali. Il racconto è stato basamento per numerose trasposizioni filmiche (se ne contano almeno sei), con la riduzione animata targata Walt Disney e quella in live action, più libera rispetto alla pagina scritta, per la regia di Tim Burton con Johnny Depp e Cristopher Walken.
Il faro (1849) di Edgar Allan Poe
Lasciato incompleto a causa della prematura scomparsa del suo autore, Il faro è un racconto epistolare narrato tramite la soluzione delle annotazioni diaristiche del guardiano di un faro norvegese che, con la sola compagnia del cane Nettuno, non vede l’ora di rimettere mano sul suo romanzo in fase di stesura. Per quanto la curiosità sul possibile finale della storia non possa ottenere soddisfazione, il racconto lascia trasparire il lento declino nella paranoia di un’anima isolata, ossessionata dal controllo, che pare cogliere i segnali premonitori di una morte nascosta tra gli odori salmastri della costa. Potrebbe trattarsi di uno scritto estremamente autobiografico, dal quale sicuramente il regista Robert Eggers ha attinto per il suo capolavoro horror, The Lighthouse.
I gatti di Ulthar (1920) di H. P. Lovecraft
“Ad Ulthar, prima che i borghesi proibissero l’uccisione dei gatti, abitavano un vecchio cottar e sua moglie che si dilettavano a intrappolare e uccidere i gatti dei loro vicini. Perché lo hanno fatto non lo so; salvo che molti odiano la voce del gatto nella notte, e si ammalano che i gatti corrano furtivamente per cortili e giardini al crepuscolo…”. I gatti di Ulthar è un racconto di orrore e vendetta capace di far gelare il sangue di tutti coloro che hanno nutrito pensieri poco lusinghieri verso i loro amici felini, con una morale all’insegna dell’ironia. Non inquieta e angoscia come altri scritti del demiurgo di Providence, ma comunque una lettura divertente e di gran stile. Scritto nel 1920, I gatti di Ulthar ha poco in comune con l’arcinoto immaginario lovecraftiano, se escludiamo la solita prosa pittoresca. Banditi gli edifici antichi e i mostruosi alieni dalle sembianze di pesce: l’orrore di Ulthar è estramemente familiare. Forse troppo.