Il prossimo quattro luglio, al Ninfeo di Villa Giulia, verrà proclamato il vincitore o la vincitrice del settantatreesimo premio Strega. È il premio letterario più prestigioso d’Italia. Il più celebre, il più chiacchierato, il più ambito. Nato nel 1947, anno in cui se lo aggiudicò Ennio Flaiano con Tempo di uccidere, edito da Longanesi, nel corso degli anni è stato vinto da una sfilza di autori eccelsi. Da Umberto Eco a Margaret Mazzantini, da Elsa Morante a Niccolò Ammaniti, da Cesare Pavese a Paolo Giordano. Autori e autrici qualitativamente impeccabili, che hanno fatto la storia della letteratura italiana moderna e contemporanea, che hanno venduto milioni di copie e che sono stati acclamati da pubblico e critica. Lo Strega è quasi ogni anno accompagnato da critiche, più o meno velate e più o meno aspre, ma questo non fa che accrescerne la fama. Oggi, nonostante il panorama sia ricco di premi culturali del tutto simili, non ha eguali.
Tra i dodici semifinalisti di quest’anno ci sono sette donne, sei romanzi di case indipendenti, tre esordi e due grandi ritorni. Insomma, è una dozzina variegata, democratica e molto, molto ricca (ndr. i cinque finalisti sono: Antonio Scurati, Benedetta Cibrario, Marco Missiroli, Claudia Durastanti e Nadia Terranova). Abituati come siamo a leggere i loro libri o le recensioni fatte su quotidiani e blog, i narratori e le narratrici dello Strega ci sembrano lontani, tutti presi a fronteggiarsi in una corsa al Premio lunga diversi mesi. Noi de L’indiependente ne abbiamo incontrati alcuni al Salone del libro di Torino e con loro abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Una sorta di intervista a più voci. Abbiamo rivolto loro le stesse domande, così da mettere su un quadro composito che ci rimandi una descrizione quanto più dettagliata, fedele e particolareggiata possibile del premio Strega.
I cinque sono:
Valerio Aiolli, autore di Nero ananas – Voland
Paola Cereda, autrice di Quella metà di noi – Giulio Perrone
Pier Paolo Giannubilo, autore di Il risolutore – Rizzoli
Marina Mander, autrice di L’eta straniera – Marsilio
Eleonora Marangoni, autrice di Lux – Neri Pozza
Quando hai cominciato il romanzo sapevi o avevi idea che sarebbe stato un possibile candidato al premio letterario più prestigioso d’Italia?
Marangoni – No, in realtà no. Ho cominciato Lux circa tre anni e mezzo fa e l’ho fatto così, d’impulso. Ho scritto le prime venti righe di getto, poi sono rimaste lì, ferme per quasi un anno. Le ho riprese e ci ho lavorato un altro anno e mezzo. L’ho finito in tempo per partecipare al premio Neri Pozza, che ho vinto a settembre 2017, quindi figurati, allo Strega proprio non pensavo. È stata una gran bella sorpresa.
Giannubilo – No, non ne avevo assolutamente idea. Sapevo che la storia era forte, ma questo non mi dava neanche la certezza di poter essere pubblicato. È un romanzo lungo, corposo, complicato. Ha un intreccio non semplice. È grosso. Insomma no, non ci pensavo neanche.
Aiolli – La scrittura del romanzo è stata molto lunga. È iniziata circa quindici anni fa e ha avuto bisogno di molta documentazione e strutturazione. Quindi non avevo particolari pensieri a riguardo, l’importante era riuscire a finirlo. Lavorandoci, l’obiettivo primario era arrivare a dargli una forma che mi soddisfacesse, non pensavo assolutamente a suoi utilizzi eventuali una volta pubblicato.
Come funziona una candidatura? Una volta finita l’ultima stesura, chi ha pensato che sarebbe potuto essere una buona proposta?
Cereda – L’editore sceglie il manoscritto in base a una certa qualità della scrittura. Io sono stata molto supportata dalla mia casa editrice. Hanno voluto fortemente questo manoscritto e poi lo hanno molto accompagnato. Naturalmente quando si è presentata l’occasione di far parte dei candidati non ci sono state promesse di alcun genere. Voglio dire, mi è stato detto “c’è questa possibilità, ma è solo una possibilità, intendiamoci”. Il mio romanzo è stato proposto da Elisabetta Mondello, poi tutto ha fatto il suo corso.
Mander – È stato il mio editore, Marsilio, a propormi la candidatura subito dopo aver letto la prima stesura.
Quanto è impattante una candidatura allo Strega? Dal punto di vista di vendite e di attenzione mediatica, intendo.
Aiolli – Avendo avuto già due esperienze allo Strega, posso dire che per quanto riguarda il mio livello è molto impattante. C’è un’immediata attenzione di una fascia di addetti ai lavori e di pubblico, di lettori che normalmente altrimenti non vengono intercettati. Quindi sia quantitativamente, sia qualitativamente – cioè da parte di critici e recensori –. Adesso, poi, con tutti questi media ogni cosa viene rimbalzata molte volte. Prima usciva una recensione e rimaneva lì. Ora, insomma, è più forte. A livello di copie vendute devo dire che è impattante, certo.
Giannubilo – Sulle vendite non saprei dirti, è la mia prima esperienza e ancora, per quanto mi riguarda, non ho dei dati. Mediaticamente sì, si sente molto la differenza. L’idea che un libro sia stato attenzionato dal premio letterario più importante d’Italia è già di per sé impattante, ma anche in termini di semplice curiosità del lettore che passa e trova la dicitura in copertina.
Marangoni – Ancora siamo in una fase che è mediana. Siamo semifinalisti da un mese e mezzo circa, finora abbiamo fatto poco, per così dire. Detto ciò sicuramente rimette in circolo le vendite e il nome. Ma finora non è che abbia avuto lo stravolgimento della vita. Giro un po’ di più, tra presentazioni e incontri, però, secondo me, realmente si modifica tutto se vinci o se finisci in cinquina. Altrimenti è un’avventura veloce, confusa e inaspettata.
Da quando hai saputo della candidatura è cambiato qualcosa nel tuo modo di porgerti alla scrittura?
Marangoni – Non ho ancora messo mano alla pagina bianca, ma per il futuro mi auguro fortemente di no. Arrivo dalla saggistica, ho iniziato a scrivere in Francia e in francese ormai otto anni fa di Proust e di altri autori, ma sempre e solo di mondi che ritenevo miei, importanti per me, ecco. Rimanendo fedele a determinati capisaldi. Spero di mantenere questa fedeltà anche in narrativa, ma in realtà so che sarà così.
Aiolli – Secondo me c’è nei primi momenti. Ci si sente un po’ più sotto pressione, lievemente più esposti, lievemente meno liberi, diciamo, però dopo un po’ questo effetto svanisce
Mander – Non me lo auguro proprio. La scrittura viene prima di tutto il resto, se cambia è perché si cerca di evolvere, di migliorare, scrivere resta un lavoro solitario che non può essere influenzato da fattori, seppur importanti, esterni alla pagina. È anche una questione di peace of mind.
Cosa credi che si vada cercando allo Strega? Aldilà della qualità, naturalmente.
Cereda – Forse qualcosa che è anche legato alla contemporaneità. Un modo di raccontare come il tempo trasformi i paesaggi, le persone e la società. Quindi sì, direi che si cercano le trasformazioni sociali. O comunque tiene molto in considerazione anche questi aspetti. Non solo l’interiorità, che rimane comunque importante, ma anche quello che ci circonda.
Giannubilo – In realtà credo sia una di quelle cose per cui non si possono stabilire delle regole certe. Ci sono logiche che sfuggono agli stessi editori, secondo me, dovute anche alle tantissime variabili in gioco.
Mander – Credo che un premio importante come lo Strega vada alla ricerca, innanzitutto, di romanzi di qualità. I candidati sono persone che scrivono, con i loro pregi e difetti, slanci e timidezze, capacità dialettiche e qualche nevrosi: sono tutti candidati ideali e nessuno lo è, per fortuna. La profilazione attiene a logiche che esistono ma che esulano dalla mia competenza, dalla mia capacità di immaginazione e, soprattutto dalla pregnanza di un libro che, in ambito letterario, mi sembra la caratteristica principale da tracciare e rintracciare.