Cinema Cult | La collina dei conigli di Martin Rosen

Basato su La collina dei conigli (Watership Down), romanzo d’esordio che Richard Adams compose a partire da una serie di racconti concepiti per dilettare i figli, l’omonimo film d’animazione del 1978 diretto da Martin Rosen racconta le drammatiche vicende di un gruppo di conigli guidati dal saggio e intraprendente Moscardo, costretti a prender parte a un pericoloso viaggio alla ricerca di una nuova terra dove stabilirsi, dopo che uno di loro, il giovane Quintilio, dotato di una sorta di potere preveggente, ha avuto la visione della distruzione della loro conigliera situata sul colle Watership, nell’Hempshire.

Dopo un prologo che introduce al folklore della comunità di conigli protagonista, animato con uno stile che ricorda l’arte tribale da John Hubley (primo regista del film, sostituito da Rosen causa prematura scomparsa), il film parte in quarta nella narrazione di un’odissea cruda priva di ironia, ammantata di oscurità e introspezione alla maniera dei lavori di Don Bluth che giungeranno negli anni subito successivi, in particolare Brisby. Qualcuno potrebbe arricciare il naso all’idea della compressione in pellicola dalla durata di poco meno di un’ora e mezza di un romanzo corposo, ricco di digressioni e innumerevoli risvolti narrativi che si susseguono a rotta di collo; ma persino gli estimatori più intransigenti del romanzo non hanno potuto che ammettere la straordinaria capacità di adattamento di Rosen, a riprova dell’efficacia espositiva della pellicola.

Pur realizzato con un budget ai minimi storici, La collina dei conigli colpisce come un maglio per la sua totale consacrazione al realismo visivo, ricercato in ogni scena con una cura per i dettagli che rasenta il maniacale, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione degli sfondi naturali. Il tratto scarno e grezzo dei disegni accentua a dismisura l’irrequietezza del racconto, enfatizzando all’inverosimile espressioni di terrore e paranoia che trovano uno sfogo bestiale nelle schegge splatter delle scene d’azione. Questa assenza di fronzoli nel look riesce a dare vera concretezza al mondo narratoci da Adams e Rosen, facendo pulsare di vita propria un insieme filmico che rappresenta una delle migliori descrizioni cinematografiche della vita animale.

Il calderone di tematiche del romanzo viene insaporito di eque dosi di delicatezza e durezza, e il lirismo con cui la sceneggiatura tratteggia alienazione, paura, spirito di sopravvivenza e ricerca di un nuovo inizio assume connotati di lacerante poesia in un facile parallelo tra le peripezie della compagnia di Moscardo e gli orrori della Shoah. Due in particolare sono le sequenze significative per comprendere tutti i messaggi lanciati dalla pellicola: un momento fondamentale per la narrazione, commentato dalla canzone Bright Eyes di Art Garfunkel; e il finale, malinconico ma portatore di messaggi positivi. Le due anime del film, quella più “avventurosa” contrapposta a quella meditativa, dedicata ai profili delle relazioni tra i personaggi, si amalgamano coerentemente in un racconto indirizzato maggiormente agli adulti più che ai piccoli, i quali rischieranno di rimanere inquietati dallo spettacolo oltre a non comprendere alcuni decisivi risvolti.

Relativamente poco visto, La collina dei conigli meriterebbe la stessa portentosa visibilità di molti altri film d’animazione a lui contemporanei ben più blasonati, per far sì che i suoi messaggi vengano veicolati attraverso la riscoperta. Il capolavoro di Rosen si attesta come una magistrale allegoria sull’eterna lotta contro le difficoltà della vita, in grado di ridere in faccia all’abuso dell’animazione 3D odierna contemporanea per come dimostra quanto il disegno tradizionale non abbia perso nulla del suo antico e sempreverde fascino. Difficilmente si potrà trovare un film d’animazione che parla con tale e tanta intelligenza di politica, emancipazione e rapporto tra eros e thanatos migliore di questo.

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