Cinema Cult | Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio

Siamo agli inizi degli Anni Ottanta. Il regista Francis Ford Coppola rimane particolarmente colpito da un lavoro sperimentale di Godfrey Reggio e decide di agevolarne una distribuzione ben più ampia rispetto a quella iniziale, concepita solo per musei e festival cinematografici. Il film in questione è Koyaanisqatsi, un lungometraggio d’avanguardia privo di trama e dialogo con un potente messaggio sociopolitico alla base, commentato dalla minimale musica di un Philip Glass allo stato d’arte. Koyaanisqatsi nasce come prima parte della trilogia qatsi, un avventuroso e ambizioso progetto girato in 35mm proseguito nel 1988 con Powaqqatsi e conclusosi dopo una lavorazione tormentata nel 2002 (Naqoyqatsi). Sebbene tutta la trilogia abbia riscosso un successo strepitoso e sia riconosciuta come un caposaldo del documentarismo d’autore e dell’avanguardia, Koyaanisqatsi è senza dubbio il frammento che più si avvicina al capolavoro, grazie al suo potere di stimolare e allettare mente e sensi.

Il coraggio delle idee estetizzate da Reggio è pari solo alla bellezza del risultato finale. Il regista americano, per prima cosa, era mosso dal desiderio di dare voce a una nuova forma di cinema sensoriale affascinante dove i principali collaboratori artistici del regista, il direttore della fotografia Ron Fricke e il compositore Philip Glass, sarebbero stati i partner ricorrenti del progetto. La seconda idea, forse la più ardita, è l’intenzione di spingere il pubblico a cogliere i messaggi importanti che si celano dietro la bellezza delle immagini, supportando così un cinema senza storia ma ugualmente comunicativo. Ultimo, ma non per importanza, c’è il messaggio lanciato dall’intera trilogia: l’uomo deve prendere coscienza del punto di non ritorno a cui è giunto lo squilibrio tra la cultura moderna e la natura, e che il tutto può solo finire fuori controllo se si rimane ciechi ai pericoli generati dallo sviluppo sempre più arrogante delle tecnologie e dell’industria.

Koyaanisqatsi (in lingua Hopi, “vita senza equilibrio”) è un caleidoscopico ritratto di un mondo reso instabile dalle attività umane, e fa uso di un versatile e memorabile campionario di tecniche cinematografiche grazie all’impiego di lenti anamorfiche o di differenti velocità di ripresa della mdp. Ciò che scorre per circa un’ora e mezza davanti ai nostri occhi è un atto cinematografico spesso imitato ma mai eguagliato, intenso e ammaliante, che smuove con freschezza e originalità le sue questioni ecologiche. La vera forza della visione di Reggio si trova nell’essere riuscito a importare gli elementi della cinematografia sperimentale in un contesto filmico che mirava a raggiungere il pubblico più vasto possibile. Realizzare un film d’autore, così personale e al contempo così commercialmente fortunato, è il sogno di ogni vero regista, e il fascino ancora attuale di Koyaanisqatsi ne dimostra la sempreverde validità.

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