Cinema

Cinema Cult | 8½ di Federico Fellini

Arguto, visionario, meditativo e divertente, ma anche un punto cardine nella carriera di un maestro, e un’opera fortemente liberatoria in grado di trasfigurare l’irrequietezza di una crisi artistica (e d’identità) nella bellezza di un capolavoro del cinema che trascende generi e politica. Così si potrebbe descrivere, superficialmente quell’che Federico Fellini ha girato nel 1963, traducendo l’estetica barocca degli Anni Sessanta in immagini fantastiche e impressionanti in grado di affrontare a testa alta, inossidabili, lo scorrere del tempo.

La trama è di quelle più semplici, e illustra uno scorcio di vita di un regista (Marcello Mastroianni nell’ennesimo ruolo di alter ego felliniano dopo l’altrettanto clamoroso La dolce vita) in preda all’angoscia legata alla realizzazione del suo nuovo film, al suo contatto con il mondo femminile (nel ricco cast figurano, bellissime, Claudia Cardinale, Barbara Steele e Anouk Aimée) e alla paura della morte; tuttavia sono le stravaganti invenzioni visive, oniriche, bizzarre e spaventose, a rendere possibile la riflessione metacinematografica sulla relazione tra il singolo con il mondo, la famiglia, il lavoro e la prospettiva del tempo che scorre e si consuma. è solo in apparenza un saggio sull’arte e il suo potere, perché l’introspezione psicologica sviscerata da Fellini permette a chiunque, artista o meno, di rispecchiarcisi e trovare qualcosa di sé.

Girato in uno splendido bianco e nero a cura di Gianni Di Venanzo e commentato da un’ammaliante e celeberrima soundtrack di Nino Rota, porta alle estreme conseguenze la rottura con gli schemi narrativi tradizionali già sperimentati in La dolce vita (per il quale l’autore collezionò scandali e, addirittura, la scomunica) per mettere al centro l’interesse felliniano per i labirintici meccanismi dell’atto creativo e per i processi mentali imbevuti di implicazioni psicologiche non lontane dalla filosofia pirandelliana.

Riverito con tutti i riconoscimenti possibili immaginabili per un regista, Fellini con il suo ottavo film sigla il raggiungimento della maturità artistica, si distacca completamente dagli ovvi tributi a titani quali Luchino Visconti e Roberto Rossellini, e si getta a capofitto in un nuovo mare di possibilità creative, attraverso cui manipolare il mezzo registico e la narrazione, tutte da scoprire e che apriranno la strada alle pellicole più complete e provocatorie del regista, in particolare Satyricon o Il Casanova di Federico Fellini per arrivare, infine, alla toccante autobiografia di Amarcord.

Riccardo Antoniazzi

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