«Quello delle donne italiane è un argomento sul quale si può tirare a lungo, dal caffè della mattina ai ravioli del mezzogiorno. “Il paese dove il femminismo non è mai arrivato!”. E puntualmente tutti i temi vengono giù uno dopo l’altro, come in un indice analitico: DONNE, degradante sessualizzazione delle, quotidiana umiliazione televisiva delle, paternalismo berlusconiano verso le, minacce al diritto di aborto per le, scarsa retribuzione delle, esigua presenza parlamentare delle, invisibilità all’interno della Chiesa delle, e così via».
Zadie Smith – Note su Bellissima di Visconti
Pochi giorni fa leggevo un saggio di Zadie Smith, contenuto nella raccolta Cambiare idea, e arrossivo una volta in più di vergogna, al pensiero di come la nostra società sessista, paternalistica, ossessionata dalle donne viene vista all’estero. Quando il medico ti mostra in una fredda radiografia quello che pure sai di avere, prima ti viene voglia di dargli addosso e poi ti chiedi come hai fatto a convivere con la tua malattia, con le avvisaglie, i dolori, pur di restare attaccato a uno stile di vita che ritieni immodificabile.
Mi sono tornate in mente le parole della Smith nel leggere di Marta, la donna che si è ritrovata nel proprio campo visivo una croce con su scritto il suo nome, a memoria e custodia del feto che sarebbe stato suo figlio, se solo sette mesi prima non fosse dovuta ricorrere a un aborto terapeutico. Marta aveva deciso di non occuparsi della sepoltura del feto – secondo la legge italiana i feti possono essere seppelliti, e dopo la ventesima settimana di vita intrauterina è un obbligo. Non stabilire formalmente le condizioni della sepoltura non coincide con l’autorizzare terzi ad alimentare insani culti dei mai nati, né ad apporre il proprio nome alla vista di chiunque su una croce. Il problema si riduce – ma per la precisione si espande – sempre a: lo spazio tra il come le cose dovrebbero funzionare e il come invece finiscono per funzionare. Come sia possibile legalmente una storia tanto assurda, infatti, è questione di spazi: vuoti normativi riempiti a piacimento, e lo ha spiegato molto bene Il Post in questo articolo.
Una vicenda raccapricciante, collocabile – fosse fiction – tra X Files e Stephen King. Il Garante ha deciso di “aprire un’istruttoria per fare luce su quanto accaduto e sulla conformità dei comportamenti, adottati dai soggetti pubblici coinvolti, con la disciplina in materia di privacy”, mentre la Procura di Roma indaga a seguito di un esposto redatto dall’ufficio legale della associazione Differenza Donna, che sta raccogliendo le segnalazione di molte donne che hanno fatto l’agghiacciante scoperta.
Dal nome del cimitero dedicato ai feti all’interno del Flaminio di Roma, “Il Giardino degli angeli”, al “Registro dei bambini mai nati” scoperto l’estate scorsa a Marsala: le parole ci raccontano un mondo e un immaginario cheap, subumano, a guardia dei “prodotti del concepimento” – sono stimati in almeno una cinquantina i cimiteri di feti in tutta Italia, ma potrebbero essere di più. Ed è dell’altro ieri la notizia che «In Piemonte l’aborto farmacologico si potrà effettuare solo negli ospedali». Dopo settimane di polemiche contro le linee guida sulla pillola Ru486 varate in agosto dal ministro della salute Roberto Speranza, la giunta regionale di centrodestra guidata da Alberto Cirio ha varato una «circolare di indirizzo» destinata alle Asl che vieta l’aborto farmacologico direttamente nei consultori. Il mostro, l’Idra culturale che affligge questo Paese ha troppe teste, e di Ercole nemmeno l’ombra.
Nel 2020 ogni donna che subisce un aborto per ragioni terapeutiche, o si sottopone a un’interruzione volontaria di gravidanza in Italia lotta nell’ordine: contro il richiamo della specie inscritto nei suoi geni, contro il dolore di non potere/volere, contro la morale e la chiesa interiorizzate: nell’inconscio di molte la Breccia di Porta Pia non è mai avvenuta. Questo solo per parlare delle miserie intime, personalissime, ma non meno ingombranti, semmai tragicamente peggiorative di un obiettore che ti osteggia al consultorio, di una beghina che vuole farti cambiare idea, di un ospedale che ti rimbalza a un altro. Il corpo femminile si ritrova a ospitare – più che la tanto dibattuta vita sin dal concepimento – legioni di opinionisti, schiere di dissuasori, un moltiplicarsi di occhi intromissioni giudizi: trasformate in remota provincia di noi stesse, l’eco della volontà sfinita, se non partoriamo con dolore (r)esistiamo con fatica.
Tutto questo è ribadire l’ovvio, ma ogni volta che una notizia del genere viene alla luce si scoperchia un mondo di soprusi, ci si ritrova a fissare con rabbia gli aggiustamenti, i compromessi. La maledetta indulgenza verso quello spazio, sempre quello, dove ciò che dovrebbe essere non coincide con ciò che è. L’idea che gente orrenda cui io non mi affiderei nemmeno per chiedere un’indicazione stradale, possa fisicamente mettere le mani su una parte tanto personale e delicata di me è una violenza enorme, intollerabile.
Seguirebbe una serie di domande retoriche: quando il mio corpo sarà libero dallo sguardo altrui? Quando questo dono della vita di cui la biologia mi ha dotata sarà affare esclusivamente mio? Perché una persona come me, che ha in odio la retorica, si ritrova a bordeggiarla pericolosamente, al punto da trovarsi invischiata nella produzione di un testo infestato da una serie di domande come questa? La mia opinione sul fondamentalismo cattolico in fatto di nascite assomiglia più a una scena dissacrante dei Monty Python che a un saggio femminista, e solo per la salda convinzione che laddove possibile sia un dovere morale difendere il mio spirito dal male sempre incombente; eppure una risata non seppellisce l’avversario, se l’avversario è inesaustamente impegnato in campagne di violenza volte a revocare le mie libertà civili e quelle di altre donne come me, a ricacciarci indietro a grandi calci nella scala evolutiva.