Chuck Palahniuk racconta i suoi horror preferiti

«Siete così presi a raccontarvi le vostre storie.
Non fate che trasformare il passato in una storia che vi dia ragione.»
C. Palanhiuk, Cavie (Haunted) 2005

Chuck Palahniuk non necessita grandi presentazioni: scrittore di base a Portland, per molti è il più significativo erede di Stephen King, nonché un autore tra i più influenti della letteratura americana, in particolare per la generazione al crocevia tra Novecento e anni 2000.

Certo: per altri Chuck Palahniuk è solo lo scrittore di Fight Club.

O meglio: l’autore che sorride nascosto nell’ombra di Tyler Durden e Marla Singer, protagonisti del film Fight Club; un successo interplanetario con Brad Pitt, Edward Norton ed Helena Bonham-Carter, firmato da David Fincher nel 1999.

Non tutti sono destinati ad apprezzare la scrittura di Palahniuk, grande estimatore del genere Horror, ossessionato da una idea di “verità” e “trasparenza” capace d’essere oltremodo disturbante. Eppure è difficile negare come quest’uomo sappia portare il disagio oltre il confine estremo, producendo storie, personaggi e osservazioni che resteranno indelebili nei nostri ricordi. Immagini iperrealistiche, dove non possiamo che rivedere noi stessi.

Palahniuk è arrivato a Fight Club, ovvero il suo primo libro, a 33 anni suonati: le sue occupazioni precedenti spaziano dalla laurea in giornalismo presso l’Università dell’Oregon all’attività di meccanico, specializzato in riparazione e manutenzione di camion e motori diesel.

Per nostra fortuna, abbandonato il giornalismo e anche l’officina, Palahniuk è passato a redigere una sequela di libri straordinari: Invisible Monsters (1999), Soffocare (2001), Ninna Nanna (2002), Diary (2003), Cavie (romanzo del 2005 che resta forse il testo di riferimento per comprendere la sua opera) e svariati altri saggi e novels, per arrivare alla raccolta di racconti Romance (2016).

Il 31 Ottobre, in un tranquillo pomeriggio di Halloween, Chuck Palahniuk ha raggiunto la Festa del Cinema di Roma. Il titolo dell’incontro era “American Gothic”: il risultato è stata una autentica lezione magistrale sul cinema e la cultura americani, filtrati attraverso il punto di vista della cinematografia Horror.

Intervistato da Antonio Monda (direttore artistico di Roma Film Fest) Palahniuk ha presentato numerose sequenze, tratte dai suoi film horror preferiti, analizzando attentamente i video e regalando una riflessione ad ampio spettro sulla violenza e la percezione del Male: elemento fondante, che pervade ogni strato l’immaginario statunitense.

Per inciso, lo scrittore di Portland non ha scelto di illustrare al pubblico la sua poetica. Piuttosto, ha analizzato a fondo i film, con tutte le allegorie e le metafore del caso.

Se stavate pensando a maratona Horror per veri intrepidi, ecco i film preferiti da questo spettatore d’eccezione:

ROSEMARY’S BABY di Roman Polanski (1968)


SESSION 9 di Brad Anderson (2001)


MIRIAM SI SVEGLIA A MEZZANOTTE (The Hunger) di Tony Scott (1983)

COMA PROFONDO di Michael Crichton (1978)

BALLATA MACABRA di Dan Curtis (1976)

NON SI UCCIDONO COSÌ ANCHE I CAVALLI? (They shoot horses, don’t they?) di Sydney Pollack (1983)

Naturalmente Non si uccidono così anche i cavalli? non è un film Horror, ma l’inquietante ritratto di fatti accaduti realmente nell’America della Grande Depressione: in particolare, famigerate gare di ballo che potevano durare giorni e notti consecutive, popolate di coppie disposte a competere fino alla morte pur di ottenere un premio in denaro. Quale metafora più edificante?

Nel corso dell’incontro abbiamo anche scoperto che The Hunger, Miriam si sveglia a mezzanotte, grande classico della cultura vampirica (con David Bowie e Catherine Deneuve, più una performance leggendaria di Peter Murphy e i Bauhaus quale sequenza di apertura) sarebbe il punto di riferimento principale per la filmografia di David Fincher.

Chuck Palahniuk ha salutato il pubblico della Festa del Cinema di Roma dopo una lunga serie di autografi e selfie: la sua disponibilità, l’amore per il cinema e il cappellino di lana bianco, saranno difficili da dimenticare.

Del suo nuovo romanzo Palamnhiuk non ha rivelato la trama: possiamo solo dire che racconta dinamiche di vendette incrociate tra opposte gang, dove il tema razziale è di particolare importanza. Soprattutto è affrontato da un punto di vista decisamente controverso: le violenze e le discriminazioni subite dai bianchi. Palahniuk avrebbe voluto che il titolo fosse: Mein American Kampf. A quanto sembra, l’editore non apprezza allo stesso modo l’arte surrealista dello scandalo. Il prossimo lavoro di Palahniuk, qualunque sia il suo nome, si preannuncia un nuovo libro illustrato dei recessi più bui del sogno americano.

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