La recente uscita della versione italiana di My father, the pornorgrapher. A memoir (2016) per Minimum fax (Mio padre, il pornografo, 2019) rappresenta una buona occasione per tentare un’incursione nella narrativa dell’americano Chris Offutt. Come rivelato dalla raccolta di racconti Nelle terre di nessuno (1992-2017) e poi dal romanzo Country Dark (2018), a fare da protagonista è un Kentucky marginale e insidioso, una presenza tanto ingombrante quanto silenziosa e dolorosamente affascinante. Dai fitti boschi di questo territorio quasi sconosciuto Offutt trae la linfa per modellare una narrazione snella e priva di retorica. Questo, infatti, è il primo fattore che si apprezza leggendo i suoi libri: una sintassi asciutta e agile che talvolta rasenta-salvo poi distaccarsene immediatamente, per non subirne il fascino-la vena poetica. In Country Dark, per esempio, si trova una scrittura imbrigliata entro frasi concise che contraddicono l’oscurità cui il titolo sembra fare riferimento. Il protagonista del romanzo è un ex-soldato tornato dalla guerra di Corea («la guerra dimenticata») dove ha imparato a sparare e ad uccidere. Scaltro e affezionato alle armi, Tucker accetta la violenza come una delle tante sfaccettature di questo mondo: «dove era cresciuto le armi erano comuni come i badili ma per la sua carabina M1 aveva nutrito un affetto sincero». L’incipit narrativo coincide con un incontro surreale: un camionista dà un passaggio a Tucker, costringendolo a bere whisky nel suo pick-up mentre gli punta una pistola addosso. Da questo momento il protagonista decide di mantenere alta l’attenzione, come se l’America si fosse improvvisamente trasformata in una pericolosa zona di guerra. Così, con il coltello fissato alla cintura e una pistola, si dirige finalmente verso casa, nel Kentucky.
Come succede in altri punti del romanzo, il racconto dell’azione si coniuga, sul piano stilistico, con un lirismo perfettamente calibrato in cui si specchia una delle facce della personalità di Tucker. Se da una parte maneggia con destrezza armi e coltelli, dall’altra è un romantico: «Tucker aveva sentito la mancanza della nuda distesa del cielo notturno, del grappolo delle Sette Sorelle, della Spada di Orione e dell’Orsa Maggiore che indicava il Nord. La luna era gibbosa, quasi non si vedeva, come se l’avessero presa a morsi». Non è sbagliato impiegare un termine come romanticismo per descrivere la dedizione e il senso di meraviglia di Tucker per il mondo naturale, sentimenti che, uniti ad una ferinità animalesca e ad un realismo spietato, condensano gli aspetti contraddittori di un ambiente sprofondato nel suo isolamento. A discapito di un’associazione tra darkness e natura, bisogna puntualizzare che quest’ultima è la sola presenza affidabile all’interno di un mondo pervaso da insidie. Gli avvenimenti, distribuiti su quattro fasce cronologiche, ognuna corrispondente ad un anno preciso (1954, 1964, 1965, 1971), si riducono in sostanza al ritorno nel Kentucky, l’innamoramento e il matrimonio, l’attività di contrabbando di alcol cui Tucker si dedica per mantenere la famiglia, la prigionia, l’uccisione di alcune persone. Al di sopra e al di là di questi eventi campeggia la Natura, una presenza costante e regolare cui sembra contrapposta la vita umana, che qui appare come l’evoluzione di macabri imprevisti. Sulla via per tornare a casa, sempre all’erta come un soldato-tanto che allestisce un vero e proprio «accampamento» nel bosco, dove scuoia e mangia un serpente-Tucker si imbatte in una circostanza annunciata da una «mancanza di suoni»: «gli uccelli non cantavano più». Come un augure legge i segni naturali, prima di agire Tucker fiuta l’aria e studia le orme impresse sul terriccio del bosco. Così capisce che c’è qualcosa che non va: «ascoltò attentamente, girando la testa di scatto in direzioni diverse, annusando l’aria. Il suo corpo si rilassò d’istinto, una caratteristica che aveva sviluppato in combattimento». Si accorge così della presenza di una donna-la sua futura moglie-che riesce a salvare dalle grinfie di uno zio molestatore («l’uomo la prese per i capelli, le diede uno strattone all’indietro e la costrinse a mettersi a quattro zampe») a suon di pugni e sassate. È in questa situazione funesta che Tucker conosce la donna della sua vita, Rhonda, la cui bellezza lo porta ad «abbassare gli occhi». Immediatamente invaghitosi di lei,
«si sentiva come se a un tratto avesse fame di un cibo del quale aveva sempre ignorato l’esistenza. La tenne vicino a sé, senza muoversi. Le braccia e le gambe gli formicolavano come attraversate da una modesta corrente elettrica. Non si era mai sentito così tranquillo. Sperò che il temporale continuasse, che aumentasse di intensità, e prolungasse questa nuova idea di se stesso, dove ogni cellula era consapevole della bellezza del mondo».
Nato come un miracolo, l’idillio subisce una battuta d’arresto con la nascita dei loro figli, i quali, come si legge nel capitolo dedicato all’anno ’64, presentano deformazioni e gravi disturbi cognitivi. La narrazione sembra qui fermarsi per riavvolgersi verso l’essenza oscura di un mistero indecifrabile (questa volta sì dark): Big Billy, il più piccolo, «aveva la testa deforme, tre volte più grossa del normale, e così pesante che non riusciva a muoverla». Nonostante la disabilità, Tucker ama incondizionatamente i propri figli, forse più di Rhonda, che si abbandona ad una grave crisi depressiva, perseguitata dal rimorso di non aver dato al marito un «figlio maschio normale». Se il tema della relazione tra padre e figlio appare in Country Dark come in filigrana, per farsene un’idea più precisa bisogna leggere Nelle terre di nessuno e, ovviamente, il memoir di recentissima pubblicazione.
Il grande tassello dell’ispirazione –e della formazione- di Chris Offutt è la figura paterna: Andrew J. Offutt, prolifico scrittore di romanzi pornografici cui il figlio dedica il memoir Mio padre, il pornografo. Proprio come i boschi del Kentucky e le storie in essi custodite, la figura paterna incarna per il figlio il mistero più impenetrabile. Sia il padre sia le colline rappresentano per Chris, almeno fino quando le due cose non vengono scisse in età adulta, due insopportabili prigioni. Quando, però, la lotta contro i due titani si sarà conclusa, il narratore, privato della minaccia che essi rappresentano (specialmente dopo la morte del padre), confessa che «senza le manette contro cui lottare, il mondo è una cosa enorme, e mette paura. Ho perso uno scopo, in un certo senso; una ragione per dimostrare quanto valgo». Megalomane e irascibile, il padre percepisce la presenza dei figli e della moglie come delle presenze che interferiscono con la sua solitudine. La mostruosità associata alla prole di Tucker e Rhonda (Country Dark) può essere letta a posteriori come una versione caricaturale della consapevolezza, espressa qui in una limpida e roboante prima persona, di essere un intralcio alla felicità del padre. Di qui il desiderio di trovare un rifugio all’infuori del nido familiare:
«Gli alberi mi conoscevano, gli animali accettavano la mia presenza, ma alle pietre piacevo sul serio. Avevo bisogno di credere all’amicizia delle pietre perché papà spesso minacciava di portarmi nel seminterrato e uccidermi. Citava diversi metodi, ma il suo preferito era impiccarmi per i pollici, un destino che mi lasciava perplesso.»
Come poi appreso dal figlio, queste minacce erano il frutto di uno stravagante modo di scherzare e di educare, una peculiarità che, condita in altre salse, si trovava in Segatura, uno dei racconti di Nelle terre di nessuno: qui si legge di un padre che prima spara al cagnolino cresciuto in famiglia e poi si impicca in giardino dopo il tentativo fallito di guarirne un secondo. Ma veniamo ad una delle descrizioni imbastite da Chris Offutt:
«Mio padre era un uomo brillante, un vero iconoclasta, fiero e fiducioso in se stesso, un genio oscuro, egoista, crudele ed eternamente ottimista. […]Non aveva hobby, nessuna attività con cui distrarsi[…] scrittore pulp alla vecchia maniera, una macchina inarrestabile. Nel suo studio, a casa, c’era un cartello scritto a mano che diceva Fabbrica della scrittura: attenzione ai participi vaganti»
Come il titolo della biografia (o sarebbe meglio autobiografia?) attesta, l’aspetto del padre che Chris Offutt presenta ai suoi lettori, e finalmente accetta grazie alla sua narrativizzazione, è l’ossessione per la pornografia: è questo il mistero incomprensibile che il figlio si propone di studiare e comprendere. Più che di un’ossessione, almeno inizialmente, si tratta di un mestiere vero e proprio iniziato quando il padre, leggendo un romanzo pornografico, capisce di poter fare meglio e perciò di poter guadagnare scrivendo. Un introito che consente alla famiglia di pagare le cure dentarie del figlio Chris:
«Papà batteva a macchina velocemente e con entusiasmo. Alla fine avrebbe scritto e pubblicato più di quattrocento libri, usando diciotto pseudonimi diversi. C’erano sei romanzi di fantascienza, ventiquattro fantasy e un thriller. Il resto erano romanzi pornografici»
Come ci ricorda Offutt, che tra le altre cose ricostruisce una storia della narrativa pornografica in America, il successo di quella tipologia raggiunge il suo apice durante gli anni Settanta, un periodo che coincide con quello prolifico del padre: «solo nel 1972 pubblicò diciotto romanzi. Papà scriveva storie pornografiche coi pirati, di fantasmi, di fantascienza, coi vampiri, a sfondo storico, coi viaggi nel tempo, con gli agenti segreti, camuffate da thriller, oppure ad Atlantide. Un inedito ambientato nel Vecchio West si apre con una scena di sesso in un fienile, con un pistolero che si chiama Silenzioso Smith…». L’evento che costringe Chris a fare i conti con un’enorme mole di inediti, appunti e lettere è proprio la morte del padre, in seguito alla quale l’autore diventa l’erede (l’unico, anche perché i fratelli ne sono disgustati) del suo archivio, uno studio zeppo di manoscritti, bozze, fumetti: «quasi una tonnellata di materiale». Con un ritmo di quattordici ore al giorno l’autore («diventai un vero e proprio burocrate del porno»)si trova davanti «quasi cinquecento manoscritti», suddivisi a seconda del genere con lo scopo di ricomporre i tasselli della stravagante archeologia paterna. Quello che salta agli occhi del figlio è l’interesse per tutti i sottogeneri del porno e, in special modo, quelli che vedono la donna sadicamente sottomessa, un fattore che genera nel figlio non solo vergogna ma un improvviso calo del desiderio, tanto da fargli ammettere di aver perso la propria moglie, caduta nelle mani di «tori più giovani». Si trova così, bombardato da contenuti erotici, a catalogare un «eccesso di sottogeneri»: «pornografia agricola», «western», «hollywoodiana», «pony training e schiavizzazione […] questo era lui-quello che gli piaceva, quello che raccoglieva, quello che scriveva. Ero riconoscente per la totale assenza di pedofilia». La presenza ingombrante di questo padre, che arriva ad inibire il desiderio del figlio, molto ricorda la figura paterna tratteggiata da Kafka nella sua Lettera: tiranno, inetto, eloquente ed operoso. Per non parlare dei tentativi falliti di matrimonio che Franza Kafka rinfaccia al padre, un buon termine di paragone per leggere il desiderio prosciugato del nostro narratore. A differenza di Hermann Kafka, però, Andrew Offutt è uno scrittore e con questo fattore Chris è costretto a misurarsi, partendo dalle regole di casa: nessuno può permettersi di disturbare il padre mentre scrive. Così, la scrittura modula i ritmi casalinghi e permea di sé cose e orari. Allora, come per una sorta di circolo vizioso, Offutt figlio comincia sin da bambino ad oliare gli ingranaggi della scrittura sia per ottenere l’attenzione e l’ammirazione del padre, sia per superarlo. Così, sin dalla quarta elementare la narrativa diventa «un’arma contro il mondo», così come la lettura si trasforma da strumento di istruzione alla «principale via di fuga» da un padre sulle cui orme il figlio ha deciso di incamminarsi trascinandosi dietro carta e penna per il resto della vita: «un’abitudine che coltivo da quasi cinquant’anni». Dunque, solo dopo avere ereditato il mestiere del padre, Chris Offutt ha potuto offrirci un elegante affresco della lotta per liberarsene, creando infine «un personaggio».
a cura di Daria Catulini