La storia di Elena Ferrante ci insegna quanto ancora siamo schiavi degli scrittori e non delle loro opere. Scindere le due parti, in questo caso l’autore dal romanzo, ci mostra quanto sia difficile realizzarlo senza ricorrere a strambi stratagemmi. Sulla scrittrice napoletana si sta dicendo di tutto pur di far divertire il lettore in una astrusa ricerca al colpevole. Un giallo che sembra pian piano svelare il nome vero dell’autore, nonostante la lunga schiera di indiziati.
Nel corso degli anni l’attenzione si è fissata su due figure di spicco della letteratura italiana. Goffredo Fofi e Domenico Sternone – quest’ultimo con la complicità di sua moglie Anita Raja – sono i maggiori sospettati, ma puntuali come un orologio svizzero sono arrivate interviste/smentite a mezzo stampa. Pur riconoscendo in loro un’elevata estraneità ai fatti, qualcuno torna ad accusarli ogni qualvolta spunti il nome della scrittrice napoletana. Nel luglio 2015, Elena Ferrante giunse tra i cinque finalisti del Premio Strega, portando con sé, oltre al suo romanzo, un certo grado di curiosità. Tutti aspettavano di vederla vincitrice una volta per tutte. Il suo ciclo L’amica geniale, oltre ad aver stregato l’intero paese, ha fatto letteralmente impazzire i lettori statunitensi, con tanto di elogio da parte del prestigioso New Yorker. Quella sera, nello scenario insopportabile che ogni anno mettono su nella povera Villa Giulia, non si presentò nessuno – o meglio, nel caso fosse risultata vincitrice il Premio sarebbe andato a finire nelle mani dei rappresentanti di E/O, la casa editrice che ha pubblicato i suoi romanzi in giro per il mondo con l’affare Europea Editions. Con buona pace di tutti i dietrologi di questo paese, Elena Ferrante è rimasta nell’anonimato in cui si avvolge sin dal suo primo romanzo L’amore molesto (E/O, 1992), spezzando una lancia in favore di chi preme da tempo sull’importanza della sua opera piuttosto che sulla sua persona.
Legare una serie di romanzi alla vita di uno scrittore, alla sua biografia, potrebbe aiutare parecchio il lettore in quel difficile quanto delicato compito di immedesimarsi nell’autore, sancendo così la nascita di una stella da aggiungere nel proprio firmamento. Conoscere i retroscena che hanno portato alla nascita di una determinata pagina potrebbe valere più di essa stessa. Pensate un po’ ai casi più eclatanti della storia della letteratura: quanti scrittori hanno trovato un certo seguito per via dei loro eccessi, delle loro abitudini, e non per i loro libri? Certo, nel beneficio del principio critico intriso di puro relativismo, qualcuno potrebbe obiettare questa posizione per poi esternare il suo nobile disappunto. Ma portando la lente di ingrandimento sul caso Ferrante, quanto incide il fattore rebus? Nell’ultimo numero de LaLettura, lo scrittore e dantista Marco Santagata ha sviscerato le sue ipotesi sul caso. Secondo le sue modeste tecniche di ricerca, da sempre attuate con gli scritti del 1200 in cui degli scrittori si perdeva facilmente traccia, pare che la vera autrice che si nasconde dietro il nome di Elena Ferrante sia una certa Marcella Marmo, docente di storia contemporanea presso l’Università di Napoli.
Con l’articolo di Santagata è ritornata la febbre virale che ha colpito la scrittrice nel corso di questi ultimi anni decretando la nascita di una lunga schiera di fan. Una febbre – come ci hanno sempre insegnato sin dalle scuole elementari – altro non è che un sofisticato campanello d’allarme. Bisogna capire cosa essa cerca di comunicarci e allo stesso tempo agire in tempo con i dovuti rimedi. Una malattia va respinta con la giusta profilassi e non improvvisando arcaici antidoti. Prima di applicare il rimedio bisogna comprendere con precisione la natura di tale patologia, e solo una volta scoperta la sua origine possiamo agire per fermarla. La Ferrante Fever – com’è stata prontamente rinominata negli States – a cosa è dovuta? Quali sono i fattori che hanno causato un tale successo a distanza di anni dal suo esordio letterario? Può il fascino dell’anonimato contribuire all’affermazione del fenomeno?
Negli Stati Uniti si è scomodata anche la Paris Review, dedicando alla scrittrice una grossa parentesi con tanto di intervista esclusiva. Certo, ognuno è libero di condurre il proprio lavoro come meglio crede. Non sono affatto in dubbio le modalità attraverso cui l’intero ciclo de L’amica geniale sia arrivato nelle mani dei lettori. La domanda che tutti noi dobbiamo porci è se tutto questo fosse dovuto non ai romanzi, bensì al fascino che si nasconde dietro un caso editoriale di questa portata. Per conoscere le origini della malattia, e di cosa questa febbre stia cercando di comunicarci, dobbiamo osservare il fenomeno più da vicino e chiederci se si leggono i suoi romanzi per puro piacere oppure per scoprire chi è Elena Ferrante. Rapportando l’opera in relazione al suo autore, essa è un mezzo o un fine?
Siamo abituati da sempre a dare un nome alle cose, e quando non ci riusciamo rimaniamo in preda alla paura dell’incognito. Pur di continuare ad avanzare in questa palude, i romanzi della scrittrice napoletana sono stati collocati in secondo piano rispetto alla sua autrice, come se si parlasse di Elena Ferrante separata dal sua parte principale, ovvero i suoi libri. Tirare in ballo Marcella Marmo potrebbe equivalere ad un qualsiasi farmaco placebo. Quel che resta è la follia recondita che si attanaglia in a questo fenomeno che sembra svuotare una figura della sua stessa componente fondamentale. Conoscere la vera identità della già martoriata Ferrante si rivelerà in un nulla di fatto per via della sua scelta iniziale di chiudersi nell’anonimato.
Le definizioni sulla scrittura si sprecano. Qualcuno diceva che scrivere è un po’ come morire, per qualcun altro invece è il miglior modo di nascondersi dal mondo che ci circonda. Negli anni in cui spiccano generi come nonfiction, autofiction e realismo la scrittura pare aver perso la sua funzione romantica, la stessa che consentiva all’autore di nascondersi tra le parole creando quasi un mondo parallelo al suo. Una scrittura come forma elevata di rifugio. Verrebbe da dire che la finzione cede gradualmente spazio alla realtà. Siamo così assetati di conoscere il vero ma non siamo in grado di prevenire un’eventuale scottatura. Conoscere chi si nasconde dietro questo nome servirebbe solo ad aiutare a capire qualcosa in più sulla storia delle due amiche Lena e Lila, capire se nei loro personaggi c’è qualcosa vissuto realmente dalla sua autrice.
Quella di Elena Ferrante è la storia di un intero paese. Da un lato c’è la complessità, dall’altro invece la banalità più scadente, che a sua volta ha preso negli anni il nome di Goffredo Fofi, di Domenico Sternone e in ultima battuta quello di Marcella Marmo. Colei o colui che si nasconde dietro questo pseudonimo, ormai divenuto un marchio a garanzia della nostra letteratura contemporanea oltreoceano, ha compiuto la sua scelta in assoluta libertà. La mossa del smascherare-a-tutti-i-costi mostra quanto navighi in cattive acque l’editoria culturale italiana, che invece di analizzare i contenuti – in questo caso i romanzi della Ferrante – si concentra sull’identità della sua autrice, trascinando con sé una grossa fetta di lettori. È questa la vera malattia, e la Ferrante Fever sta cercando in tutti i modi di farcelo capire.