Per avere un quadro ben definito e delle idee nette su “Challengers”, l’ultima fatica del cineasta Luca Guadagnino, bisognerebbe vederlo tre volte per comprendere di volta in volta i protagonisti del triangolo amoroso Tashi Duncan, interpretata da Zendaya, Patrick Zeist (Josh O’Connor – che sta attraversando un vero e proprio momento d’oro specialmente in Italia, dopo il ruolo di Arthur, enigmatico protagonista ne “La chimera” di Alice Rohrwacher) e Art Donaldson (Mike Faist), cosa muove le azioni dei tre tennisti e, soprattutto, cosa nascondono dietro le loro ambizioni rincorse nell’arco di un decennio.
Attraverso continui flashback e ritorni al presente, Guadagnino ripercorre la storia dell’amicizia tra i due tennisti, Patrick e Art, rampolli di famiglie più che benestanti e compagni di branda, profondamente incrinata una volta che la giovane promessa Tushi Duncan entra a dirimpetto nelle loro vite. 2006: i due ragazzi vincono il titolo di doppio junior all’US Open ed è lì, alla vigilia della sfida che li vedrà per la prima volta avversari dalla parte opposta del campo da tennis, che incontrano la giovane che cambierà le loro vite – e la loro bromance – per sempre. Da quella sera per loro il tennis non sarà più solo uno sport, ma diventerà il rimpallo continuo attraverso cui rendersi degni del cuore dell’ambiziosa Tashi: infatti, dopo aver passato la serata nella loro camera da letto, annuncia che darà il suo numero di telefono a chi si aggiudicherà la coppa. Con la vittoria di Patrick ha inizio anche la sua storia d’amore con Tashi, che nel frattempo è diventata compagna di corso di Art alla Stanford University.
Art: Non è innamorato di te
Tashi: Pensi che voglia qualcuno innamorato di me?
La love story tra Patrick e Tashi è profondamente minata dai tentativi di manipolazione da parte di Art e va in frantumi immediatamente dopo l’infortunio di Tushi durante un match, che Patrick non era andato ad assistere dopo un duro litigio.
Patrick: È bello vederti in fissa per qualcosa, anche se è la mia ragazza
Passano gli anni e Art diventa un tennista professionista e sulla cresta dell’onda, allenato da sua moglie Tashi: ripresosi brillantemente da un infortunio, gli manca solamente un titolo degli US Open per accedere a un grande Slam ed entrare nella storia, ma sembra essere pronto a ritirarsi. Tashi lo iscrive a un challenger a New Rochelle per fargli prendere confidenza e aumentare la fiducia e nelle sue capacità ed è lì che incontrerà, dall’altro lato del tabellone, Patrick. L’amico si è trasformato in un tennista professionista ormai sconosciuto che vivacchia nella sua macchina e spera ancora di raccattare qualche vittoria in tornei minori per tornare alla ribalta.
Presto i due ex migliori amici, un tempo inseparabili, si troveranno a doversi sfidare: ma qual è la posta in palio questa volta? L’ultima chance di raggiungere i grandi del tennis prima di doversi amaramente ritirare? È davvero solo quella?
Una produzione statunitense per Guadagnino
La pellicola, uscita in contemporanea negli Usa e in Italia, ai botteghini statunitensi ha fatto decisamente il botto, incassando nel primo week end 15 milioni di dollari (è stato proiettato in ben 3.477 sale) e in pochi giorni ha superato “Chiamami con il tuo nome”, che nel 2017 aveva totalizzato 18 milioni di dollari.
Con “Challengers” Luca Guadagnino sembra intenzionato a misurarsi direttamente con Hollywood: è stato prodotto da MGM – come in parte lo era stata la pellicola del 2022, “Bones and all” – e vede la partecipazione di Amy Pascal, ex presidente della Columbia e diretta rappresentante del sistema cinematografico old school cui il regista fa la corte con una pellicola cool, pop, patinata e dall’alta carica erotica.
Triangolo o bromance?
E poiché è Hollywood il diretto interlocutore di Guadagnino, i tre protagonisti si misurano in un estenuante triangolo amoroso, che nella scala delle relazioni va a complicare l’indistruttibile – ma solo all’apparenza – bromance tra Patrick e Art.
I richiami più classici del ménage à trois sono più che espliciti e spaziano da “The dreamers” di Bertolucci – che a distanza di anni, conserva un magnetismo erotico che la pellicola di Guadagnino non raggiunge neanche lontanamente – e “Jules et Jim”. Guardando indietro al cinema italiano, la mente non può che correre a “Il giardino dei Finzi Contini”, uscito nel 1970 e diretto da Vittorio De Sica, che porta sullo schermo il triangolo tra Giorgio, Micol e Malnate all’alba della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah, che sboccia tra una partita di tennis e l’altra all’interno della vasta proprietà della famiglia di Micol e del fratello Alberto.
Se il tennis, grazie all’ammiccante ripresa dei corpi tonici in tensione e sudati dei protagonisti, è la cartina di tornasole intorno alla quale i tre si misurano e stabiliscono i propri rapporti di forza, vero è che, più la visione scorre in avanti, più ci si rende conto che lo sport è un preambolo per parlare di qualcos’altro, in primis delle relazioni e della loro complessa stratificazione. D’altronde è la stessa Tashi a suggerire una, se non l’unica, chiave di lettura del film dicendo:
Il tennis è una relazione
E così, prima della sfida finale tra i due ex migliori amici, il pubblico viene rimpallato tra una stoccata e l’altra all’interno di questa vorticosa relazione a tre, dove non solo non si comprende chi sia il vero terzo incomodo (Art che ha viscidamente separato i due fidanzatini? O Tashi che, a detta sua, non voleva essere una sfasciafamiglie? O Patrick che cerca di riconquistare l’ex ragazza, contando unicamente sul fascino che ha sempre esercitato su di lei?), ma soprattutto si assiste a un climax dei conflitti tra i tre e di un plot twist in grado di regalare la scena più toccante dell’intera pellicola: quella in cui, dopo il famoso “segnale” dato da Patrick prima del match point – eco di una scena del passato, il mattino dopo la vittoria del torneo giovanile – i due tennisti si sfidano all’ultimo colpo, colmi sì di rabbi e di risentimento per quello che si sono (o non si sono) fatti a vicenda, ma anche di passione, di intesa e complicità ritrovate dopo tanti, troppi, anni di lontananza.
Se, infatti, il tropo del triangolo può essere una scelta scontata, non lo è la caratterizzazione dei protagonisti e le dinamiche che si instaurano tra di loro; questo è dovuto soprattutto alla scrittura dello sceneggiatore Justin Kuritzkes – marito di Celine Song, regista di “Past lives” – e alla colonna sonora elettrizzante che porta la firma di Trent Reznor e Atticus Ross.
D’altronde Tashi può sembrare una manipolatrice che cerca di vivere attraverso il successo del marito, nel vano tentativo di sfiorare tutto ciò che le era predestinato, nonché deus ex machina di tutto ciò che è successo e che succeder, ma la bromance magnetica tra Art e Patrick le ruba l’attenzione. La tensione tra i due è palpabile non solo negli atti di cameratismo giovanile, quando dividono la stanza al torneo e fantasticano sulla stessa ragazza, ma anche quando se la contendono e litigano, smettendo di parlarsi per anni: Tashi diventa, dunque, un pretesto che li fa orbitare inesorabilmente l’uno intorno all’altro senza mai scontrarsi veramente, lasciando diversi interrogativi in sospeso.
Ma la finale del torneo darà loro la possibilità di scontrarsi vis à vis, scoprendo tutte le carte e mettendo in palio il premio più ambito di sempre. E non solo: sarà anche l’occasione di tornare a giocare come un tempo, quando c’erano l’uno per l’altro, e di volare in una dimensione unicamente loro grazie al tennis, instaurando un dialogo incomprensibile agli spettatori. Sarà come se il tempo non fosse mai passato e come se quei ragazzini fossero ancora lì, insieme, sul campo da tennis.
La dinamica sessuale che lega i tre sportivi è sì palpabile ma non sempre è mostrata apertamente: inoltre, non è intrisa di piacere – anche se lascia ampiamente spazio al desiderio – bensì è permeata dal potere e dal controllo. Guadagnino, specie nei rapporti sessuali, sembra utilizzarla come un mezzo per dimostrare una posizione preminente, da parte dei protagonisti (Tashi su tutti), che possono così esercitare il proprio potere secondo i fini desiderati (non passa inosservata la sua risposta stanca “Lo so”, al “Ti amo” del marito, che riecheggia in maniera particolare uno dei dialoghi più famosi di “Star Wars”).
Da questo punto di vista e anche sotto molti altri aspetti caratteriali, Tashi, ma anche Patrick e Art non ne escono puliti a fine visione: giovani promesse di uno sport che non ha dato loro quanto speravano, sono pronte a fare di tutto per raggiungere la meta tanto anelata, ma dal sapore di un amaro premio di consolazione. Perché, alla fine, è questo che le giovani promesse sono diventate: creature insoddisfatte, egoiste e pronte a cogliere quella che sembra l’ultima occasione che la vita e lo spot concederanno loro. E per questo così umane, vere e tremendamente sexy.