Oggi si inaugura Club Life, una rubrica in cui cerchiamo di raccontare le città dello stivale, partendo dalla loro anima, quella che viene dal basso, quella fatta dai locali, spesso sotterranei, che ne costituiscono l’anima e l’humus musicale. Proveremo a raccontarvi delle storie, viste dagli occhi di chi i locali li gestisce, che sono storie di successo e di fallimento, che sono lo specchio diretto (o quasi) del nostro stivale e della nostra gioventù.
Il nostro racconto non poteva non partire da Napoli, e da un locale a cui siamo affezionati e che, dopo sei anni di attività, dovrà cambiare casa. Il Cellar Theory è un affascinante posto situato sottoterra, in una tranquilla via del quartiere Vomero, lontano dal centro storico, è un posto che ha incantato tutti gli artisti che vi ci sono esibiti e che più volte hanno dichiarato di sentirsi a Berlino, è un posto che chi si è mosso in un certo tipo di underground negli ultimi anni, a Napoli, si è sicuramente sentito addosso, come l’odore del fumo dopo un’intera nottata sottoterra.Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Luciano, gestore storico del locale.
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Partiamo subito con una domanda secca: com’è nata la Cellar Theory?
E’ nata un po’ per caso. Io vengo da esperienze di sala prova e registrazione. Avevo trovato questo posto e lo avevo reputato adatto per svolgere quest’attività. Poi per caso una mia cara amica una volta mi disse: ”perché non facciamo una serata e facciamo venire un po’ di gente?”, io per la verità avevo un po’ di dubbi, perché ero nuovo a quest’esperienza, ma organizzammo lo stesso quest’evento con un gruppo romano, i Visionary Flowers (tra l’altro era una cover band, cosa che non ho riproposto mai più, per miei convincimenti personali). Fu una serata che mi sorprese, perché era un mondo da cui ero stato quasi sempre abbastanza lontano. Non sono mai stato un grande frequentatore di locali, soprattutto negli ultimi anni, anche perché ne ho più di 50. Ho frequentato locali e visto concerti dai 20 ai 30 anni, poi chiaramente mi sono un pochettino dato una calmata. La situazione comunque mi sorprese perché venne una marea di gente, così tanta che non ho mai visto in vita mia, e improvvisamente è apparsa nel nulla della notte per venire alla Cellar, sottoterra. Questo mi ha convinto ad andare avanti e organizzare altre serate, cominciando da un paio al mese, poi una a settimana, fino a più eventi a settimana. Ed è stato bello cercare di proporre una musica di un certo tipo, fuori dai circuiti più standard di alcuni locali napoletani.
Ecco, com’era la situazione dei locali napoletani underground in quel periodo?
Stiamo parlando del 2008, avevano da poco chiuso alcuni locali importanti che avevano segnato un po’ la storia dell’underground napoletano; tipo lo Slovenly credo avesse chiuso da pochissimo. Al centro storico c’era il Jail, ma poca roba in realtà, era già un’epoca di declino rispetto ai decenni precedenti.
Avevate in mente di attirare un certo tipo di pubblico?
Sicuramente l’idea era una proposta di un certo tipo. I locali mediamente a Napoli tendono a badare alla remunerazione della serata, cosa a cui io ho cercato – nei limiti del possibile – di non dare molto peso, provando a privilegiare la qualità rispetto al riscontro economico. Ho cercato di evitare gruppi che facessero cover o tribute band, a favore di progetti più originali e poco conosciuti. A Napoli c’è un certo giro di pubblico, quelle 2-300 persone che seguono un certo tipo di discorso, ma non quanto ci si aspetta da una metropoli come Napoli: difatti molti locali hanno chiuso proprio perché non esiste una quantità di pubblico sufficiente a riempirli.
Ma secondo te il pubblico è cambiato, è aumentato, diminuito, o è sempre più o meno lo stesso?
C’è stato un leggero calo, sì. Parliamo di alcuni effetti di trend che di solito vengono considerati importanti nella psicologia delle masse, per esempio il fattore novità di locali nuovi che all’inizio vanno di moda e man mano scemano in pubblico. Inoltre non c’è stato un buon ricambio generazionale per quel che riguarda l’ascolto di un certo tipo di musica underground, indie, dark, new wave. I giovani seguono tutt’altro oggi, ed è un po’ un rammarico.
Tornando all’esperienza della Cellar come sala prove, sicuramente avrai avuto a che fare con molti musicisti napoletani: come giudichi l’evoluzione di questa scena?
Per me molto buona, ci sono diversi musicisti che provano a metter su progetti innovativi tra mille difficoltà. Ti parlo sia di chi suona, sia di chi viene a proporre qualcosa, portare demo e lavori registrati. C’è un buon fermento, e allo stesso tempo una grande difficoltà nel trovare spazi dove proporre la propria musica. Nel mio piccolo, al di là dei concerti, ho proposto degli spazi che seguono proprio queste esperienze, come il Crossroad Improring che si basa sull’improvvisazione e la proposta musicale. Un gestore musicale dovrebbe proprio cercare di proporre ed educare, così come dovrebbero fare un po’ i media. Una funzione educativa ci dovrebbe essere.
Tornando al tema dei locali a Napoli: in questi anni si osserva la chiusura di alcuni, le difficoltà, e anche la Cellar ora sta lasciando via Bonito per cambiare casa. Ma i motivi?
I motivi sono tanti, un po’ quello che dicevo prima riguardo la difficoltà di avere un numero di persone sufficienti a riempire le serate, e poi ci sono difficoltà oggettive in una città dove avere un locale comporta una serie di problemi quasi irrisolvibili. E’ molto difficile avere uno spazio perfettamente a norma, agibile, che possa rispettare tutti i complicatissimi requisiti che vengono imposti. Alcuni giusti, per carità, non bisogna disturbare la quiete pubblica. Ma ci sono anche parametri eccessivi da rispettare che sono un bastone tra le ruote enorme. Molti locali hanno chiuso proprio perchè mancavano di questi requisiti, come per esempio la normativa di sicurezza sulle uscite. E’ difficile perché la musica non dà fastidio se isolata, per esempio in un luogo sottoterra, però qui subentrano altri problemi di vivibilità.
Io non ho mai sognato di fare i soldi facendo questo lavoro, ho sempre tenuto a mantenere la struttura in piedi: la nostra chiusura dipende da un cambio della situazione ambientale nello stabile, dove ai piani superiori sta per aprire un Bed & Breakfast, quindi la situazione è totalmente inconciliabile con un locale. Avrei potuto continuare rispetto a un punto di vista economico, perché riuscivo a tirare avanti, quindi parliamo di un altro tipo di situazione. Adesso ho trovato un’altro spazio, sto cercando di capire se qui potrei fare più o meno le stesse cose che facevo alla Cellar. Cercherò di rimanere in zona, al Vomero, un po’ come un baluardo in una zona che è un po’ scoperta in questo senso, ed è un locale un pochino più costoso, rispetta tutte le normative, e quindi ho coinvolto nell’operazione un po’ di persone, musicisti e amici.
Qual è il concerto che ricordi con maggiore orgoglio?
Ho avuto una bellissima collaborazione con la Wakeupandream di Marco Stangherlin, una persona che ha sempre cercato di cogliere le chicche musicali più nascoste e varie un po’ da tutto il mondo. E con lui abbiamo fatto una data dei Parenthetical Girl, ma anche Wooden Ships, ZZZ dall’Olanda. Ma ci sono anche date italiane che ricordo con piacere, per esempio i Bachi da Pietra, i Ronin, e gli Zeus!, un power-duo che io amo particolarmente al di là dell’amicizia che mi lega a loro, per il loro hardcore spettacolare e tecnicamente fatto benissimo.
Col senno di poi, se dovessi ricominciare tutta quest’avventura daccapo (come probabilmente ti toccherà fare), faresti esattamente le stesse scelte oppure cambieresti qualcosa?
Per quanto riguarda le scelte di tipo artistico no. Forse tenterei solo di cominciare in un posto che possa permettermi di aprire a un pubblico più numeroso, quindi con certe caratteristiche come l’agibilità e la tranquillità di fare serate senza che arrivano i controlli all’improvviso e ti blocchino il concerto. Scarterei l’idea dello scantinato che ha questo tipo di problemi, anche se poi un locale del genere ha il suo fascino, quello del clandestino e del sottoterra. Tutto quello che sta al di sotto ed è un po’ nascosto ha un suo fascino indiscutibile, però ci sono dei problemi.
E invece che consiglio daresti a chi vuol metter su un locale a Napoli?
Non vicino al mio. (ride)
Al di là del gioco la risposta seria che poi è un più consiglio è quello di avere un occhio di riguardo per chi tenta di fare qualcosa di nuovo. Di premiare le tante persone a Napoli che chiedono di potersi esibire, avere lo spazio che meritano. Curare l’acustica è altrettanto importante, perché in un locale bisogna dare la possibilità di suonare e ascoltare per bene. E privilegiare la musica rispetto al resto, per non essere definiti dei bottegai. Questo è il consiglio che do a chi vuole fare un locale di un certo tipo chiaramente: la musica deve essere centrale, e non essere un accessorio di sottofondo mentre si vendono drink e panini. Poi se vogliono fare i soldi è un altro discorso.
Lo dico per la mia città, se vogliamo migliorare dobbiamo muoverci in questo modo.
Se non vogliamo rappresentare solo la città del neomelodico pure.
Ma noi saremo sempre quelli. Gli stereotipi su Napoli son quelli là, soprattutto per i media, e poi c’è tutto un mondo nascosto e un sottobosco, dove ci si parla e ci si conosce veramente. Molti musicisti napoletani conoscono bene quello che si fa fuori da Napoli, a Berlino e Parigi, e anche fuori di qui, tra musicisti stranieri, conoscono veramente Napoli.
Se vogliamo entrare nell’ambito del neomelodico devo dire che per me non c’è nessuna tradizione del genere, è solo un’aberrazione della canzone napoletana, un fenomeno che ha distrutto la vera cultura della canzone napoletana in quelli che sono gli strati popolari e il sottoproletariato della città.
a cura di Salvatore Sannino (feat. di Giovanna Taverni)