La chiave di lettura più efficace su Cattiva, il nuovo romanzo della scrittrice Rossella Milone, pubblicato da Einaudi, l’ha data lei stessa, rispondendo alle sollecitazioni di giornalisti, blogger e scrittori, sia in occasione di interviste che di presentazioni. Cattiva non è quello che sembra: scrivere, ad esempio, che è un libro sulla maternità non sarebbe esatto. È piuttosto un testo sociale, che si focalizza su due momenti delicati nell’esistenza di una donna e dell’uomo che le sta accanto: il parto ed il puerperio. Rossella Milone, attraverso la voce di un personaggio ironico e determinato, racconta la resilienza, la capacità di una coppia di restare unita, nonostante le turbolenze che la nascita di un foglio scatena. La storia si snoda su due piani temporali, che corrono paralleli fino alla fine del libro e si intervallano: il ricordo del parto – che viene dilatato, costellato di particolari e vissuto dal lettore come una esplosione – e il presente narrativo, che coincide con i primi mesi di vita della figlia di Emilia e del marito Vincenzo. Emilia parla in prima persona: è lei che ci proietta nel crogiolo di emozioni, spesso contraddittorie, tra felicità e sconforto, che scompone e ricompone una coppia di neo genitori. Oltre il focus emozionale, che merita qualche riflessione in più per quanto è complesso, c’è il corpo. Partorire è anzitutto un fatto di caviglie gonfie, pancia pesante, schiena a pezzi, dolori lancinanti che fanno invocare un’epidurale. È un’esperienza fisica che Rossella Milone ha voluto descrivere, dettagliare, mettere in primo piano. Emilia ha un parto naturale, senza complicazioni, e noi lettori lo viviamo come un viaggio, insieme a lei e a Vincenzo. Quello che viene dopo – lo svuotamento, il taglio del cordone, la dipendenza di una vita minuscola da un’altra in cui si concentrano l’esperienza universale di tutto il femminile sulla Terra, il reinventarsi come donna e moglie, pur essendo mamma, i pianti, le risate, i sensi di colpa, le nuove consapevolezze, la fiducia nel ciclo della vita – è il volto gemello di quanto narrato prima.
IL TABÙ DELLA MATERNITÀ
Non ci sono cliché sulla maternità in questo romanzo, sia chiaro. Rossella Milone sfida il tabù dei tabù della nostra società e ci dice che il puerperio è un momento delicato, di estrema fragilità per una donna. Ci dice anche che la felicità per aver generato un essere umano non esclude insofferenze, crisi di pianto, sbalzi di umore. E questo senza che si verifichino patologie come la depressione post partum. La grandezza, anche sovrumana, di questi pensieri è stemperata dallo sguardo della protagonista: Emilia è una donna sulla trentina, le manca il suo lavoro come guida turistica, ama il mare, ha una predilezione per l’arte, è intelligente, ironica, forte, spontanea. Appena genitore, si confronta con la sua famiglia di origine: un padre e una madre che a distanza di anni assumono un ruolo nuovo, meno austero, ammantano da un velo di malinconia e riconoscenza. Una fonte inesauribile di ricordi, esperienze da cui Emilia attinge nel suo percorso, assieme a sua figlia e al suo uomo. Le ancore di salvataggio di Emilia sono Vincenzo, che conosciamo prima come compagno della protagonista e poi come padre e marito, e suo fratello Daniele, che non vuole saperne di legarsi ad una donna ed è amico della sorella, fin dall’adolescenza. Sia Vincenzo che Daniele sono uomini capaci di ascoltare, di essere presenti, e non temono la loro sensibilità. A loro due Rossella Milone affida un ruolo determinante: sostenere Emilia in giorni complicati, per i quali non esistono manuali d’istruzione. Questi personaggi si pongono in antitesi con una generazione di padri che ha vissuto al margine la genitorialità, ritenendola una faccenda prettamente femminile, colpa di una cultura conservatrice e che nel libro è incarnata dalla signora Gargiulo, vicina di casa di Emilia e Vincenzo.
RIFLESSIONI SULLA LINGUA
Il romanzo è ambientato tra Napoli e Portici, luoghi che la Milone conosce bene. Chi ha letto Il silenzio del lottatore, la raccolta di racconti che l’autrice ha pubblicato qualche anno fa per i tipi di Minimum Fax, resterà meravigliato dal registro espressivo di questo romanzo. In quei racconti Rossella si è servita di una lingua tesa, muscolare, senza sbavature. In Cattiva si lascia andare, si diverte, cincischia, si concede la libertà della lingua parlata, mixandola a passaggi potenti, letterari, come questo:
“Per respirare io mi devo liberare di te, e vado un po’ in bagno, e vado un po’ in giro per la casa, ti lascio a Vincenzo, a mia madre, a mio padre, a Daniele, ai pochissimi amici che ci fanno visita; un sorso d’acqua, comprare le patate, affacciarsi alla finestra e fumare, qualsiasi cosa pur di liberarmi un poco di te. E io in quei cinque minuti in cui siamo lontane trovo la mia vecchia serenità, un’accecante liberazione piena di colpe”
O questo
“Oltre il mare c’è Napoli, una lumaca distesa e imbranata, il mare la bagna nel suo punto più intimo – la costa, la sua costola esposta al vento”.
È una lingua cinematografica, che mostra anche quello che non si vede, a differenza di quella nei racconti, dove Rossella Milone levava, sottraeva. Cattiva è un romanzo che appassiona anche chi madre non è. Un libro che profuma di verità. Un libro onesto, necessario.