Una silhouette scura avvolta dalle tenebre. È così che appare per un’ora e mezza di concerto Cat Power, arrivata a Torino in una notte piovosa di giugno. Due microfoni, qualche chitarra e un pianoforte accompagnano la sua voce perfetta, limpida e roca allo stesso tempo. Il palco è spoglio di ogni ornamento, al centro un leggio dove la cantautrice di Atlanta appoggia una rosa mentre sistema personalmente il necessario per l’esibizione.
Charlyn “Chan” Marshall è all’Hiroshima Mon Amour per la sua unica data italiana in occasione dell’anteprima di Flowers Festival che, dal 10 al 21 luglio, si terrà all’interno del Parco della Certosa di Collegno con un calendario composto da undici concerti e tre progetti esclusivi. Stasera gli occhi sono puntati soltanto su di lei che arriva quasi in punta di piedi, ma dal primo istante domina la scena, fasciata in un abito nero che ricorda un po’ lo stile di Karen Grassle nella serie televisiva La casa nella prateria.
La relazione che instaura con il microfono è turbolenta, come sempre di odio e amore. Sul suo volto, coperto per metà dai capelli scompigliati, si intravede un sorriso che maschera l’ansia da prestazione, mentre dietro di sé lascia una scia di incenso che arriva denso alle narici. Sono trascorsi dodici anni dal primo momento in cui Cat Power è arrivata alle mie orecchie, apparentemente in sordina, nascosta dietro al suo viso pulito. Non sembra vero stare qui di fronte a lei, essere usciti dall’adolescenza, aver camminato, corso, vissuto. La sua voce ci ha accompagnato ovunque, quando gioivamo delle vittorie e piangevamo per le sconfitte.
Basta una frazione di secondo per cadere sotto l’incantesimo di Chan che ci stordisce pizzicando le corde della chitarra, ma soprattutto con la sua voce calda che ci abbraccia, portandoci per mano verso un’altra galassia. Chiudiamo gli occhi e senza alcuna esitazione la seguiamo. Intanto le coppie intorno a noi si stringono più forte quasi cercando di incastrare e trattenere questo momento all’interno di un unico, grande corpo.
Torniamo indietro nel tempo, esattamente a vent’anni fa con Moon Pix, il quarto album di Cat Power, pubblicato nel 1998 dalla Matador Records. Qualche giorno fa Chan Marshall si è esibita alla Sidney Opera House insieme a Mick Turner e Jim White dei Dirty Three per celebrare il compleanno del disco che ha più inciso sulla sua carriera artistico e che venne registrato proprio in Australia, ai Sing Sing Studios di Melbourne.
La leggenda vuole che Moon Pix abbia visto la luce dopo che la cantautrice statunitense si sia messa a bordo di un camion percorrendo miglia e miglia senza meta fino alla cittadina di Prosperity, nel South Carolina. Qui vive per un paio di mesi in una fattoria insieme al fidanzato dell’epoca, Bill Callahan, ma una notte accade l’inaspettato: Chan viene svegliata da un fragore proveniente dal campo dietro casa. In alcune interviste ha raccontato di aver sentito degli spiriti scagliarsi con violenza contro le sue finestre e l’unica soluzione che le venne in mente per distrarsi fu quella di afferrare la chitarra, mettersi a cantare e registrare. Moon Pix è nato così e rappresenta la battaglia che combattiamo contro i nostri fantasmi interiori.
Anche ora che siamo cresciuti e invecchiati, queste canzoni trasmettono la fragilità di allora, ma anche la volontà di sopravvivere a una giungla sempre più impervia. Siamo qui per ascoltare, nessuna macchina fotografica sotto il palco e pochi smartphone sventolati in aria. In questa sera di quasi estate abbiamo tutti bisogno di essere colpiti forte dalle sensazioni. Lo si legge indistintamente nello sguardo di quelli che stanno al bancone del bar e di quelli che si aggrappano alle transenne in prima fila.
E poi, all’improvviso, è come se a un certo punto nel locale tutti avessero deciso di trattenere il respiro, quasi temendo che il minimo rumore potrebbe distrarre Cat Power e intimorirla a tal punto da andarsene. Chi la conosce sa quanto basti poco per farle cambiare umore. La sua voce è un balsamo per i giorni che non avremmo mai voluto cominciare, grave e piena dei silenzi infranti. Non ci sono più barriere emotive tra lei e noi, ormai completamente arresi e con il cuore a brandelli.
Passa dalla chitarra al piano e poi di nuovo alla chitarra con goffa e dolce compostezza, chiedendo ripetutamente al pubblico di darle forza. Questa volta la magia si realizza: Cat Power non ha più paura. Guardarla mentre sorseggia una tazza di tè o si schiarisce la voce con un colpo di tosse apre uno scenario intimo come se fossimo capitati per caso nel suo salotto di casa e le avessimo chiesto di suonare per noi qualche canzone di Sun o di The Greatest.
Senza un bis o con la possibilità di replica ci lascia con queste parole: “Voglio solo dirvi di amare chiunque vogliate, ma in particolare, amate le persone che vi amano. Lo so che in passato vi sono sembrata pazza, forse amavo la gente che non mi amava. Quelle persone sono felici perché hanno bisogno del vostro amore, ma vi hanno ferito perché hanno usato il vostro amore e non vi hanno amato. Ed è importante quando capisci di amare le persone che ti amano”. Con il cuore in mano e il viso che sarebbe ardente di lacrime se non ci trovassimo in pubblico, usciamo dal locale in silenzio, guardandoci negli occhi senza la forza di emettere suoni.
Brividi lungo la schiena e un mix di emozioni che si fermano tra il cuore e la gola proprio come la prima volta che la abbiamo ascoltata quando non era che una ragazzina con un mare dentro di sé. Ora, invece, è una donna che ha superato onde più alte di lei e che ha capito che il segreto per far funzionare le cose è abbracciare sempre la musica, anche quando tutto va a rotoli. Per la tua forza e per aver resistito, grazie Chan.