Ci si approccia con scetticismo all’esordio nel mondo della discografia di John Carpenter, regista americano che in realtà scrive da anni le colonne sonore dei suoi film. Da Dark Star del 1974 a Il seme della follia del 1995, il rapporto di Carpenter con la musica è sempre rimasto vivo, e si è intrecciato come un filo rosso con il cinema. Stavolta è pronto a smarcarsi dal suo immaginario e dalla forma visiva per debuttare come un novellino nel regno dell’orecchio. Il pericolo è sempre in agguato: sarebbe riuscito Lost Themes a essere qualcosa di diverso da una colonna sonora e smarcarsi dal regno dell’occhio che vuole la sua musica di sottofondo? Lost Themes, con quel nome equivoco, sarebbe stato un vero album insomma?
Ad ascoltare singoli come Vortex il dubbio ci è un po’ passato: l’elettronica che suona Carpenter non ha quasi niente da invidiare a quella che suona in giro per il globo oggi come oggi. Tuttavia il lavoro di Carpenter è così ricco di cupezza e martirio da parere degno anche di essere una colonna sonora che accompagna un vero e proprio film. L’impressione diventa più chiara ad ascoltare Obsidian. O anche pezzi come Domain che nella pretesa di inseguire i Daft Punk perdono mordente.
Quell’abbandono totale alla musica insomma non riesce proprio a incarnarsi nel lavoro di John Carpenter, e qualche vizio di forma resta presente. I toni soffusi dell’album lottano spesso con la voglia di sonorità electro, e disperdono il suono diventando musica di sottofondo. Musica che puoi ascoltare facendo qualcos’altro con concentrazione. Le promesse che avevano lasciato intendere i due singoli che presentavano il disco insomma non sono mantenute per tutta la durata di Lost Themes. Ci sono bei momenti, degni di un’elettronica ritmata e persino originale, come in Night, ma il resto sembra perdersi nel vento ed essere schiacciato da quel che è e resta John Carpenter: un regista autore di colonne sonore.