Caribou – Our Love

L’ultimo mio contatto con Daniel Victor Snaith è stato in apertura ai live italiani dei Radiohead, un paio d’anni fa. L’ho salutato con l’ennesimo live set psichedelico e celebrativo di quel capolavoro immenso che è Swim, album che mi ha fatto letteralmente innamorare di lui, tanto da farmelo vedere almeno quattro volte durante quel tour. Sono passati quattro anni da quel disco, anni in cui si è trasformato in Daphni per far ballare i clubber più duri e puri, per poi ritornare alla sua creatura originale, al suo sound che è un po’ cambiato ma che è sempre inconfondibile, quello di Caribou.

Our Love mette da parte il pop in stile sixties di Andorra e la dance psichedelica di Swim e recupera un’atmosfera da club,  segnando una svolta decisamente più deep house.  In Our Love c’è Daphni che si fonde in Caribou, le macchine che prendono il sopravvento sulla dance “suonata”. Schiacci play e lo riconosci dalla prima nota il suo stile, da quel suono boxy e dream che cresce e inonda la stanza, riempendola di un’ovatta morbida e coloratissima.

Ci si potrebbe sdraiare su queste melodie e su questi beats, ci si potrebbe adagiare ad occhi chiusi, per farsi raccontare quanto semplice ed essenziale sia un sentimento come l’amore. Sentimento a cui Our Love è un vero e proprio tributo: ai momenti di passione, ai suoi ripensamenti al romanticismo ed alla devozione, a quell’amore che può essere raccontato da chi come Caribou ha una moglie e un figlio. Difficile non riuscire a trovare, tra le linee melodiche di questi brani, la nostra declinazione di un sentimento cosi alto.

Ma veniamo alla musica: l’apertura è sparatissima, con quel singolo esagerato che è stato Can’t Do Without You: beats martellanti e il groove che sale fino a far esplodere una bolla di gioia. E’ un caleidoscopio di colori, un prisma di luci, un effetto ottico, poi l’atmosfera si rallenta con Silver e celebra l’IDM tosta, rotonda e meccanica di All I Ever Need, che in qualche modo, ricorda i respiri e gli stacchi di un pezzo bellissimo come Odessa. E’ evocativa la musica di Caribou, come poche cose al mondo, come un raggio di sole che ti invade la faccia mentre sei in viaggio e ti cambia l’umore. E’ il profumo del mare all’alba, la scoperta del fuoco, qualcosa di primordiale e bellissimo.

La titletrack vive di vita propria e ha il sapore sognante e malinconico di un brano di Gold Panda, poi però le pareti sonore si stringono, la scatola si chiude, la danza diventa meccanica e il cervello ti può scoppiare nella deflagrazione finale. E’ apprezzabile la composizione della tracklist: alterna pezzi densi a momenti di transizione, che a volte si fanno addirittura trascurabili (vedi la troppo pettinata Second Chance). La tribale Mars vanta un tripudio di percussioni minimali e accompagna l’ascoltatore al tanto agognato ritorno a casa di Back Home, al lato più rassicurante delle sonorità dell’artista canadese.

Un disco completo e minimale, che riesce a non cadere mai nella banalità, ma si arricchisce e si gonfia ad ogni ascolto. In attesa della prova live, che sono convinto sarà ancora un’esperienza indimenticabile, non ci resta che sdraiarci sulle note di questo disco, e lasciarci accarezzare, come fosse un’ovatta morbida e profonda… Your Love Will Set You Free, again.

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