Il viaggio spaziale dei Calibro 35 atterra a Napoli

Tutte le foto sono di Michela Sellitto, diritti riservati

Sound Music Club – Frattamaggiore

I Calibro 35 atterrano al Sound Music Club di Frattamaggiore, la nuova realtà in provincia di Napoli che appena due settimane fa aveva ospitato il live dei Buñuel. Atterrare è il termine giusto visto la veste grafica e sonora del loro ultimo lavoro in studio, S.P.A.C.E., ennesimo tassello di un progetto nato nel 2008 quando Enrico Gabrielli, fuoriuscito dall’esperienza Afterhours, dava vita ai Calibro 35 che fin dal primo disco omonimo celebrava i maestri delle colonne sonore dei film poliziotteschi degli anni settanta. Non una mera riproposizione di temi musicali quanto piuttosto una propria originale reinterpretazione che, per alcuni aspetti, poteva porsi a modello quel Big Gundown (1986) di John Zorn, omaggio al maestro Morricone (molto apprezzato dal grande compositore romano) e caposaldo del genere.

In nove anni Enrico Gabrielli, Massimo Martellotta, Fabio Rondanini e Luca Cavina hanno dato alle stampe ben cinque dischi di studio, due colonne sonore (Said, Sogni Di Gloria) più una serie di pezzi sparsi in giro per compilation, passando prima dagli omaggi ai maestri del genere come il già citato Morricone, Cipriani, i fratelli De Angelis, Micalizzi, Umiliani, Ortolani e tanti altri, quindi scrivendo direttamente i propri pezzi senza mai abbandonare le atmosfere delle colonne sonore partendo dal genere poliziottesco e noir, passando per il blaxploitation e l’horror, fino ad arrivare al western e alla fantascienza. Quel mondo cinematografico di serie B (amato e omaggiato da Tarantino) che li ha portati a esplorare pian piano un universo sonoro vastissimo che val dal funky al jazz, a certo rock, alla musica exotica fino al beat e a collaborazioni che richiamano anche il cantautorato italiano di quegli anni (la splendida L’appuntamento con Roberto Dell’Era).

S.P.A.C.E., uscito lo scorso 6 novembre per la Record Kicks e registrato al Toe Rag di Londra, è una sorta di concept album a tema spaziale in cui il quartetto prende contatto con sintetizzatori e con suoni che ampliano quelli già eterogenei affrontati in precedenza. L’idea alla base è ancora quella dettata, ormai quasi dieci anni fa, da Tommaso Colliva, produttore, fresco vincitore di un Grammy Award per l’album dei Muse, Drones, e che è in realtà un po’ il quinto membro della band. Siamo sempre dalle parti dei B-Movie, immersi nell’immaginario degli anni settanta, in cui i quattro sono nati e cresciuti, fatto di corsa allo spazio (e agli armamenti nucleari) che ha imbevuto i sogni ma anche gli incubi di un’intera generazione. Lo stesso immaginario che permeava le atmosfere di The Race for Space dei britannici Public Broadcasting Service uscito un anno fa. Se lì però il duo alt rock si rifaceva al massiccio uso di quelli che le nostre madri chiamerebbero i cinegiornali dell’epoca, qui la realtà è filtrata dalla fantasia e dal potere delle pellicole di fantascienza.

Ecco allora, poco dopo le dieci e mezza e, ancora prima che ogni singolo suono possa partire dalle casse di un affollatissimo Sound Music, che già gli strumenti sul palco danno l’idea di quella che sarà la cifra dell’intera serata: la meraviglia. Se la sezione ritmica più arretrata è legata semplicemente al basso e alla batteria, Martellotta e Gabrielli sembrano i capitani di un’astronave musicale, immersi come sono tra tastiere, organi e synth. 74 Days After Landing apre il concerto in un clima da guerra fredda e sembra una sfida tra due imperi alla conquista dello spazio, strumenti vintage ed elettronica, suoni da galassie lontane che portano fino a noi le luci azzurre del palco. Il pezzo si dilata e percepisci che il background è lo stesso che hai tu, che hanno molti nella sala dove aumenta il calore e l’intensità. Davanti ad una continua ricerca del motivetto facile, della melodia pop, dell’arrangiamento delicato i Calibro 35 rispondono con la loro “musica da film” richiamando atmosfere da cortina di ferro, quando senza rinunciare all’intrattenimento, letteratura, cinema, fumetti, cartoni animati erano intrisi d’impegno (politico e non), di un senso alto del pathos e della narrazione.
Il gruppo suona con una maturità impressionante, quando la prima battaglia sembra finita e Martellotta imbraccia la chitarra non sai più chi vincerà. Sia detto chiaramente: parliamo di musicisti semplicemente straordinari, un soundcheck durato appena venti minuti e anche grazie all’acustica perfetta del Sound Music Club non si perde nulla del profluvio di note che vengono fuori dalla moltitudine di strumenti. Miles Davis diceva che bisognava suonare solo le note essenziali e negli anni era riuscito sempre più a rendere il suono rarefatto; qui i Calibro 35 riempiono la sala di molecole che si spostano a velocità impressionante dandoti la sensazione che nulla sia sprecato o superfluo e che tutte quelle note, nessuna esclusa, siano essenziali. Dicevamo la meraviglia prima, mi volto, guardo le persone e si vedono volti che non credono alle proprie orecchie, tra questi anche quello di Lino Vairetti, leader e voce dei mai dimenticati Osanna che, nel 1970, realizzarono un album meraviglioso con le musiche di Luis Bacalov, colonna sonora di Milano Calibro 9 a cui i quattro hanno reso omaggio nel nome e nel primo disco. Sembra quasi un passaggio di testimone, la prova tangibile che la musica degli anni settanta ha piantato semi che riescono a dare frutti anche a distanza di quarant’anni. La chitarra di Martellotta è da sola un’orchestra, assoli, note pizzicate, accordi graffiati e secchi, non c’è nulla che non sia in grado di produrre. Gabrielli è qualcosa d’indescrivibile, se al grande Fabrizio De André piaceva che dove finissero le sue dita dovesse cominciare una chitarra, le dieci falangi del musicista aretino hanno solo l’imbarazzo della scelta, oltre a tutte le tastiere il nostro si è portato dietro il flauto traverso, che tradisce e porta in luce gli studi classici, il sax che riesce a suonare anche con una sola mano mentre l’altra continua a pigiare accordi sui tasti bianchi e un elegantissimo clarinetto basso dal suono cupo, strumenti che in realtà sono solo un piccolo assaggio delle sue abilità e versatilità (espresse non solo come musicista ma anche come arrangiatore e compositore).

La sezione ritmica è, inutile a dirsi, perfetta. Rondanini non (si) lascia un attimo di tregua, sarà l’organo, saranno gli strumenti vintage sarà il furore free, a un tratto mi torna in mente un lontano episodio quando Carl Palmer chiese a Paolo Tofani degli AREA come facessero a capire sempre dov’era il battere, come riuscissero a cadere sempre tutti insieme sul punto preciso. La risposta fu che il merito era di Giulio Capiozzo. Fatte le dovute proporzioni, Rondanini è davvero una macchina per precisione, tempo, tocchi, abilità nel dettare a tutti gli altri un canovaccio sconvolgente di tempi dispari, break e ripartenze. Il suo recente ingresso negli Afterhours al posto di Prette lascia immaginare nuove suggestioni sul suono del prossimo album della band di Manuel Agnelli. E allora ti fermi a pensare a questo meraviglioso network di musicisti che attraversa, come un fiume carsico, la migliore scena indipendente italiana. E, per una volta, non appare un’eresia provare a fare confronti anche con i grandi ensemble del passato, Area, Soft Machine, Weather Report, la band di Davis ai tempi di Bitches Brew.

Dopo quaranta minuti è tempo di abbandonare lo spazio e tornare sul pianeta terra. E la terra è fatta di sparatorie, gelosie e tradimenti. Assistiamo a un tripudio di ritmo e suono, chiudi gli occhi e pensi alla band funky di James Brown e allora ti sembra la cosa più naturale del mondo che questi musicisti siano riusciti a calcare i palchi del Nublu e dello Zebulon a New York, da qualche parte deve esserci Fela Kuti quando Gabrielli soffia nel suo sax e quando improvvisamente il ritmo cambia ancora e il Sound sembra trasformarsi in un sambodromo l’energia si fa davvero incontenibile.
Con alle spalle una produzione che non ha mai conosciuto momenti di stanca e che, anzi, ha sempre cercato, con risultati notevoli, di sparigliare le carte, i Calibro 35 danno vita a un concerto che supera di gran lunga ogni aspettativa per impatto, suono, creatività e inventiva. Ottanta minuti rappresentano quasi un limite massimo per una musica che mette a dura prova le energie dei quattro in termini fisici e di concentrazione mentale, ma il pubblico li richiama a gran voce, non sono bastate Bandits On Mars, Notte in Bovisa o Giulia Mon Amour, e allora i Calibro 35 regalano la conclusiva Stainless Steel, un pezzo hard rock tiratissimo da Traditori di Tutti che permette ai musicisti, più volte applauditi a scena aperta, di lasciare il palco in un tripudio di grida e applausi.

C’è qualcosa di commovente in quest’ora e mezza tiratissima, verrebbe da gridare di lasciare la musica ai musicisti perché Gabrielli, Martellotta, Cavina e Rondanini questo sono, musicisti purissimi e artigiani del suono come pochi, con i visi stanchi e gli strumenti da portare fuori, magari un po’ distaccati ma capaci di una concentrazione assoluta per una manciata di pezzi che non vedono alcun errore e un affiatamento che si fa fatica a non definire perfetto. Musicisti che hanno contribuito in veste di turnisti, arrangiatori e autori al successo di lavori di Stewart Copeland, Eugenio Finardi, Moltheni (Martellotta), Afterhours, Marco Parente, Andrea Chimenti, Paolo Benvegnù, Capossela, John Parish, Mariposa, Nada, Baustelle, Mike Patton (Gabrielli) e si ritrovano in una notte umida a regalare un’altra serata indimenticabile in un locale, il Sound Music Club, che sta crescendo sempre di più per qualità di musica proposta e per presenza di pubblico.

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