Parole e fotografie di Alessandra Clemente
Emilio Salgari, il padre letterario di Sandokan e de il Corsaro nero, non ha mai effettivamente compiuto i viaggi e le esperienze di vita nelle terre e nei mari esotici descritti nei suoi romanzi e racconti, eppure, con le sole parole dettate dalla sua capacità di astrazione dalla realtà, ha costruito un immaginario riccamente popolato di figure mitiche e uno scenario indelebile e immediatamente riconoscibile, sospeso tra lo spazio e il tempo.
Non sembra azzardato affermare che dalle note dei C’mon Tigre e dei Calibro 35, protagonisti del Main Out Fest, tenutosi il 27 luglio passato presso il Flava Beach di Castel Volturno, traspaiono tracce della medesima capacità immaginifica dello scrittore ottocentesco, pur essendo la musica delle due band immersa in uno Zeitgeist che dei viaggi e delle esperienze – più che concretamente vissuti – ha fatto un vessillo da esibire (spesso, da ostentare con convinzione sui social network). Nell’epoca in cui viviamo vige l’imperativo categorico: “Be real” ed è, quindi, sempre più raro coltivare una dimensione astratta, dove si possa ancora alterare mediante la fantasia l’ordine spazio-temporale precostituito.
In studio come in versione live, i C’mon Tigre dilatano i limiti delle coordinate geografiche e traghettano il pubblico verso orizzonti musicali multiformi: brani come Supernatural, La mer et l’amour e i singoli Twist into any shape e Kids are electric (tutti dall’album del 2022 Scenario) tendono meridiani e paralleli come se fossero trama e ordito di un tessuto policromo che avvolge e coinvolge gli spettatori, un intreccio sonoro indistricabile di cui i cinque performer tengono le fila con la giusta combinazione di disciplina e divertimento. Impossibile ricondurre la loro musica a un genere perfettamente definito: affonda nelle radici ritmiche afro-jazz (Racines, Federation Tunisienne de football) ed emerge con gemme virate verso l’elettronica (A world of wonder, Behold the man). Musica colta e di ampio respiro, cinematografica.
Il cinema – di genere, nello specifico – è l’ispirazione dichiarata dei Calibro 35. Il set della band guidata da Enrico Gabrielli è decisamente meno cerebrale e più muscolare: si gioca, nel loro caso, con la sovversione del tempo, compiendo salti energici (e mai nostalgici) da una narrazione all’altra, dalle atmosfere musicali tinte di giallo all’italiana, agli ultrasuoni dei mondi fantascientifici e orrorifici di Mario Bava e soci, dal piombo milanese, alle trucide rapine a mano armata. Una trafelata detonazione strumentale di funk, crime-rock e spirali di groove (Gun powder, Apnea, Vendetta), che esalta e trascina il pubblico, orchestrata magistralmente da un gruppo in grandissima forma che regala una performance generosa e a ritmi serratissimi. Il concerto si chiude con un encore di impatto, composto dal trittico Eteretaco, Notte in Bovisa e Giulia mon amour, sulle cui note è difficile trattenere i fianchi.
Il potere dell’immaginazione: i due ensemble, seppure con approcci molto diversi, hanno fatto tesoro di questo detto, in dissonanza con un’epoca che tende troppo spesso a dimenticare l’importanza fondamentale della sospensione dal reale e dalle sue brutture, tracciando con successo i loro avventurosi percorsi metafisici. L’immaginazione è, di nuovo, al potere.