La frontiera e il deserto | Intervista Calexico

Può succedere di ascoltare i Calexico e ritrovarsi in un punto imprecisato tra la frontiera e il deserto. Il loro nome viene dalla città californiana di Calexico, una crasi tra California e Mexico; il loro suono è mescolanza, fusione, le aride polveri dell’Arizona che soffiano verso gli aperti spiragli della costa occidentale.

Attivi dalla metà degli anni Novanta, i Calexico suonano un originale alternative country che si avventura verso tex mex e Southern rock, segue la scia del post-rock, flirta con la cumbia e il jazz. Joey Burns e John Convertino sono indomiti suonatori di frontiera, la loro musica è anche il riflesso del paesaggio americano in cui vivono immersi. Come i venti erodono la pietra per farne granelli di sabbia, i Calexico estraggono suoni grezzi dal deserto di Sonora, dai territori di confine, Tucson e il Messico, immaginari che si modellano sui suoni per diventare canzoni e dischi.

In questi giorni i Calexico sono in Italia per quattro date del nuovo tour, che prende il via il 4 luglio al Pistoia Blues Festival, continua a Ravenna e Milano, e si conclude il 17 luglio a Udine. Ne abbiamo approfittato per fare una chiacchierata con Joey Burns.


Si avvicinano le quattro tappe italiane del tour. Emozionati a tornare in Italia?

Joey: Io e la band siamo molto felici di tornare in Italia. È sempre un momento culminante di ogni tour trascorrere del tempo nella Bella Italia. Mi piace così tanto che ho deciso di tornarci presto con la mia famiglia. Adesso siamo a Lucca per quattro giorni. Ci godiamo il cibo, i panorami e le persone. Abbiamo visitato anche Milano, Venezia e la costa toscana.

La città di Calexico, California, all’origine del nome del gruppo

Il vostro ultimo album El Mirador è del 2022. State lavorando a qualcosa di nuovo?

Stiamo attualmente lavorando alla musica per una produzione di “Camino Real” di Tennessee Williams, che sarà al Volkstheater di Vienna in inverno. Dopodiché inizieremo a lavorare anche a un nuovo album dei Calexico.

Nell’ultimo album ci sono anche un paio di cumbie, come la Cumbia del polvo. È divertente la maniera in cui riuscite a legare la vostra identità di frontiera e deserto a ritmi come la cumbia.

Sono felice che ti piacciano le nostre cumbia, piacciono tanto anche a noi. È dal 2003 che interpretiamo la cumbia, ad esempio la nostra canzone Güero Canelo nell’album “Feast of Wire” è intrisa di ritmi della cumbia combinati con chitarre twang e sintetizzatori anni ’80. O ancora nel 2015 è uscito “Cumbia De Donde” con Amparo Sanchez. Sicuramente suoneremo diverse cumbia anche durante il nostro tour in Italia.

A parte la cumbia c’è qualche genere che vorreste esplorare meglio?

Mi piacerebbe provare sessioni di psychedelic drone. Sarebbe entusiasmante anche collaborare con la band greca Takim e i loro strumenti tradizionali. Un altro sogno sarebbe registrare in Mali e Nord Africa. Per la nostra canzone Heart of Downtown abbiamo collaborato con Bombino. Mi piacerebbe lavorare ancora di più con lui. Infine, sono un grande fan del lavoro di Camilo Lara con il Mexican Institute of Sound, e andare nel suo studio a Città del Messico sarebbe incredibile.

La vostra musica è stata definita come post-rock di frontiera, rock-country alternativo, indie tex-mex – in ogni caso una sonorità che sale dalle polveri di sabbia desertiche. Quanto è importante il paesaggio per l’ispirazione dei Calexico?

È una finestra, come qualsiasi punto di partenza, e fa parte di un aspetto più ampio dell’identità e dell’estetica dei Calexico. Ogni persona riceve qualcosa di diverso ascoltando la stessa canzone, e quindi cerco di mantenere quelle che sono le particolarità di una canzone, i generi e le influenze che fanno parte di una canzone o un disco, in modo che l’ascoltatore possa cercare la propria connessione intima.

Saguaro National Park, Deserto di Sonora

L’Arizona, il Messico, gli immaginari di certi romanzi di Cormac McCarthy. È vero che McCarthy vi ha ispirato nell’approcciare alcuni temi profondi e oscuri, e i testi di alcune canzoni?

Sì, è vero, è stato molto influente per il nostro album “The Black Light” del 1998. Da allora ho letto anche un sacco di libri di Luis Alberto Urrea che mi ha dato ottimi spunti sulle storie ambientate in Messico e Stati Uniti. È un grande scrittore e umanista. C’è una speranza intessuta nel suo lavoro, e per quanto oscure possano essere alcune storie, alla fine ne vieni fuori sentendoti ispirato ed elevato. Urrea è anche un ottimo oratore, quindi se mai dovesse venire in Italia per un tour dei suoi libri, andate a sentirlo parlare. Riderai, piangerai e ti sentirai obbligato a prendere una penna per iniziare a scrivere.

Avete mai camminato la notte nel deserto di Sonora alla ricerca di un suono? E come si vive dentro il deserto.

Nel 1995 stavo cercando il testo di una canzone per l’album ‘Spoke’ e ho camminato per strada nel Barrio Viejo a Tucson in Arizona e mentre il sole tramontava sul centro e sul Saguaro National Monument, ho trovato alcune parole che più tardi sarebbero entrate nella nostra canzone Wash. Amo la natura in generale e mi piace lavorare di notte, quando il mondo diventa silenzioso. Il deserto di Sonora è sorprendente per tutta la biodiversità che contiene. Quando stavamo realizzando l’album “El Mirador” nell’estate del 2021 a Tucson, è arrivata la stagione dei monsoni più piovosa mai registrata nella storia. Abbiamo dovuto interrompere diverse sessioni in studio perché la pioggia e i tuoni erano così intensi.

 

Tornando indietro nel tempo e risalendo fino ai Novanta, il vostro repertorio è incredibilmente vasto. Che tipo di setlist dovremo aspettarci dai concerti italiani?

Mescoleremo un po’ di tutto, suoneremo brani da tutto il nostro repertorio di canzoni. Ci saranno sicuramente canzoni da “El Mirador”, “Feast of Wire” e molto altro, comprese alcune cover.


TOUR CALEXICO
4 LUGLIO – PISTOIA – Fortezza Santa Barbara / Pistoia Blues Festival
5 LUGLIO – RUSSI (RA) – Palazzo S. Giacomo / Ravenna Festival
15 LUGLIO – MILANO – Castello Sforzesco
17 LUGLIO – UDINE – Castello di Udine / Folkest
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