Rovesciare il genere. Smontarlo per poi ricostruirlo.
Questa è la sfida di C Pam Zhang.
Quanto oro c’è in queste colline (66thand2nd, 2021), pur presentandosi come un romanzo western ambientato nell’Ottocento, in realtà tende a smontare il genere, gli stereotipi, a decostruirlo secondo un’idea di apertura e umanità nuova, in chiave razziale e di genere. Racconta, riscrivendo il mito di fondazione della frontiera, il disagio e la carestia, la violenza di un mondo cinico e spietato dove la sopravvivenza è un atto di forza. E non è il mondo popolato solo da uomini bianchi e indiani, ma in questo romanzo le protagoniste sono due ragazze, figlie di immigrati asiatici. Due sorelle orfane (la madre è morta tre anni prima, il padre da poco) che convivono con l’idea dell’abbandono, della morte, della miseria, che crescono, attraverso i riti e gli insegnamenti paterni, con l’unica certezza del loro legame.
Quanto oro c’è in queste colline è l’esordio della scrittrice americana C Pam Zhang. Il romanzo è entrato nella long list del Man Booker Prize ed è stato incluso da Obama nella selezione dei suoi libri preferiti del 2020.
Lei è nata a Pechino, ma ha vissuto in tredici città diverse ed è sempre in movimento. Che significato ha per lei la parola casa? E come questo perenne moto si coniuga con la sua esperienza di vita e di scrittrice?
La mia idea di casa è cambiata con la scrittura di questo libro. Prima cercavo la casa in un luogo in cui potessi sentirmi sempre a mio agio, ora invece la vedo come una condizione mentale. Stare a casa può voler dire stare con amici o persone con cui sto bene. Quello di casa è un concetto mutevole e necessario, mai statico.
Rimanendo sul tema della casa, del sentirsi a casa, mi chiedo come ha vissuto lei il primo lockdown umanamente e da scrittrice?
Dal punto di vista personale mi sentivo isolata. Mi ero da poco trasferita in una nuova città, Medina, nello stato di Washington, e non conoscevo nessuno, questo mi ha spinto a rivalutare il concetto di comunità. Era una città benestante, ma questa ricchezza materiale non coincideva con un benessere umano e morale, lì ho sperimentato una forma di solitudine mai provata. L’esperienza della scrittura era legata a quella umana, infatti non ho scritto molto in quel periodo. E questa situazione d’emergenza ha dimostrato, una volta per tutte, come sia necessario che lo scrittore esca dal meccanismo di produzione forzata che il capitalismo impone.
“Sono cresciuto sapendo di appartenere a questa terra, Lucy mia.”
Oggi alla ventesima edizione di Più libri più liberi celebriamo la Libertà. Quali sono gli autori italiani che ha letto, apprezzato maggiormente e che associa a questo tema?
Sicuramente Italo Calvino. Poi nutro profonda stima per Alessandro Baricco, per la sua capacità di descrivere le emozioni nei romanzi in modo quasi chirurgico.
Tutto il romanzo si può leggere come una metafora di vita. Il viaggio in un luogo di frontiera, con il carico dei ricordi familiari emozionanti e struggenti, dove Lucy è la parte razionale e Sam quella irascibile. Più femminile l’una, più virile l’altra. Le due ragazzine sono complementari. In questo mondo cinico e violento l’unità è l’unica forma di redenzione?
Ne sono convinta. La famiglia è l’unico legame che resiste, è più forte di qualsiasi cosa.
Ho avuto l’impressione che in questo romanzo lo spazio e il tempo siano dilatati. Il Far West e il secolo in cui si svolgono i fatti gradualmente prendono i connotati di un tempo e uno spazio aperti, quasi metafisici, che riconducono a oggi. Qual è il filo conduttore che lega quel tempo e quello spazio a oggi?
Credo che sia sbagliato pensare che ci sia una grande differenza tra le persone del presente e del passato, solo la Storia ce li racconta in maniera diversa. Cambiano i modi di raccontare.
Che progetti ha per il futuro?
Sto scrivendo un nuovo romanzo, molto diverso dall’ultimo, ma è ancora presto per parlarne.