Una luce a illuminare la notte di un paesaggio urbano: la copertina di The Easy Way Out, secondo disco dei Buñuel, il supergruppo formato da Pierpaolo Capovilla al basso, Xabier Iriondo alle chitarre, Franz Valente alla batteria ed Eugene S. Robinson alla voce, è una dichiarazione d’intenti che riannoda nel tempo di uno sguardo tutti i fili lasciati in sospeso due anni fa con il loro folgorante esordio. Il nuovo disco, pubblicato a fine aprile da Goodfellas Records, è una risposta a chi in questi due anni si è ostinato a credere che A Resting Place for Strangers fosse il capriccio passeggero di quattro musicisti in pausa dai differenti progetti (Il Teatro degli Orrori, One Dimensional Man, Afterhours, Oxbow). Con questo nuovo lavoro (La Tempesta International/Goodfellas) i Buñuel mantengono intatto quell’approccio così diretto e massimalista ma allo stesso tempo riescono a smarcarsi dal disco d’esordio. Pur fedeli a una visione lucida e precisa della loro direzione musicale, i quattro ampliano, stavolta, i materiali usati per la costruzione del loro cretto.
Trovano così spazio fin dall’incipit di Boys to men sonorità quasi post rock grazie all’incidere marziale della batteria di Valente con il basso di Capovilla a costruire un autentico muro sonoro disturbante in un brano che gioca molto con lunghe pause risvegliate dalle chitarre di Iriondo con le sue esplosioni controllate, mentre il suono si fa progressivamente industrial, metallo pesante intorno alle farneticazioni di un sex offender che in una lunga confessione si osserva allucinato dall’esterno come in un personale giorno del giudizio che non ammette pentimenti e non cerca scuse né perdoni.
La voce di Robinson non sembra avere nulla di umano: in The Hammer / The Coffin è piuttosto quella di un animale braccato, morente, pieno di rabbia, che vomita liriche disturbanti che si fanno notare per la capacità di giocare con le parole, con il loro suono e il loro senso. È un brano sorretto soprattutto dalla batteria di Valente che qui alterna continui cambi di tempo costruendo intorno ai deliri di Robinson un loop continuo di batteria che sembra stritolare il testo come i due pitoni dell’artwork che accompagna il disco.
Al di sotto dei due minuti, Dial Tone è il primo schiaffo del disco, un pezzo rapidissimo dominato dalle incursioni noise di Iriondo che si fanno a tratti violentissime, quasi insostenibili mentre la successiva A sorrowful night sorprende coi ritmi scomposti della sezione ritmica con Iriondo a disegnare correnti elettriche in una notte di tregenda, il tutto spruzzato di una buona dose di stoner rock che quasi la alleggerisce dal carico violentissimo che la attraversa.
The Sanction, con i suoi sette minuti e mezzo, è il pezzo più lungo dell’album, costruito come un lugubre baccanale, un mantra dionisiaco che poggia sui continui doppi colpi alla batteria di Valente e le chitarre a costruire un tappeto da drone music. Anche il cantato di Robinson si fa qui più netto, diretto, essenziale, rinunciando al corredo di urla, di sussurri fino alla metà del brano quando il tribalismo lascia spazio alla sola voce sorretta dalle corde fino al ritorno della batteria, prima in punta di piedi quindi sempre più continua, verso un finale più leggero con la voce di Robinson a sorvolare ciò che resta di un paesaggio devastato.
Happy Hour è lontana dalla coolness da ora dell’aperitivo del venerdì sera. Emerge ancora la chitarra su cui si muovono rapidissime le dita di Iriondo a picchiettare come un pipistrello su fradici soffitti marci di umidità, di alcol e di dolore.
In appena due minuti e mezzo The roll condensa un’apertura affidata all’organo, i colpi di Valente che si abbattono come un maglio e la voce di Kasia Meow (cantante, fotografa, pole dancer) che con le sue grida porta una ventata punk in un pezzo fortemente hard rock. La successiva Augur è un pezzo slow hardcore dove le spesse corde di Capovilla accompagnano l’incedere secco della batteria mentre Robinson abbandona il sottosuolo ebbro del poeta maledetto per riprendere quello del predicatore apocalittico con le sue visioni di Cristo e l’aria da predicatore folle e perverso con quella fisicità che tanto gli appartiene e che riesce a trasmettere a distanza con tutta la forza e il peso che sa mettere nella versatile voce.
In Shot torna la freschezza della voce di Kasia Meow: è un lampo di cinquanta secondi di purissimo punk e precede i due pezzi finali. Where you lay, ancora violentissima, con la chitarra di Iriondo che si fa quasi didascalica mentre segue, in un intreccio elettrico, un testo che parla di violenza e pestaggi e la conclusiva Hooker in cui la voce stavolta impastata di Robinson riempie lo scenario di un addio.
The easy way out è un disco notturno che nulla ha a che vedere con le sfumature di una musica crepuscolare e che invece affonda gli scarponi pesanti dentro l’oscurità densa delle ore più buie della notte, capace di evocare un paesaggio dominato dal profilo di altiforni, fabbriche dismesse, giganteschi tir che si avvicinano a una scarpata inclinando il cassone per vomitare sulla natura tonnellate di metalli pesanti e lave chimiche. Eppure al secondo giro, in questo mondo devastato dalla barbarie umana, in una notte apocalittica perfetta per confessarsi ebbri e sconvolti sul limitare della propria esistenza, i Buñuel sembrano rivolgere lo sguardo verso un cielo ancora scuro dove però iniziano a vedersi le prime luci dell’alba.