Bruce Springsteen – Western Stars

In una giornata d’estate, lo sguardo si perde su un cielo che sembra dipinto da Georgia O’ Keeffe. È un mattino placido, interrotto soltanto dal suono della radio che trasmette una canzone dal sapore californiano. Le note appaiono inconsuete, ma la voce è immediatamente riconoscibile: quello che stiamo ascoltando è Bruce Springsteen. Nell’inaspettato Western Stars, il Boss abbandona temporaneamente le Highway del New Jersey, raggiuggendo gli sterminati paesaggi della West Coast.

Prodotto da Ron Aniello (già con Springsteen in High Hopes e Wrecking Ball), Western Stars è un omaggio al pop californiano degli anni ’70 e in particolare a Burt Bacharach, Jimmy Webb e Glen Campbell; non certo i nomi che accosteremmo normalmente a Springsteen. Ma se la musica non è quella a cui siamo abituati, i temi e i personaggi cari al Boss tornano protagonisti, anche se con qualche variazione. Più che concentrarsi su storie di individui che fuggono da un’anonima vita provinciale, Springsteen racconta infatti di personaggi portati a confrontarsi con gli illimitati spazi del West.

La fascinazione per il vecchio West non è nuova nei musicisti: già nel 1973 Dylan era apparso nel capolavoro di Sam Peckinpah Pat Garret and Billy the Kid e qualche anno più tardi aveva indossato abiti da cowboy moderno sulla copertina di Desire. In Western Stars, Springsteen allude alle atmosfere del western classico, facendo riferimento al maestro del genere John Ford: alcuni brani, come Chasin’ Wild Horses, sembrano trasportare in musica le ombre rosse della Monument Valley.

Anche la prosa incalzante di Jack Kerouac ha certamente ispirato Springsteen: Hitch Hikin’, brano di apertura del disco, narra di viaggi in autostop attraverso le strade d’America; il richiamo al Sal Paradise di On the Road è evidente. Le tematiche Beat continuano in The Wayfarer, mentre in Tucson Train il protagonista preferisce la solitudine del deserto alla pioggia di San Francisco:

I got so down and out in ‘Frisco
Tired of the pills and the rain
I picked up, headed for the sunshine
I left a good thing behind
Seemed all of our love was in vain
My baby’s coming in on the Tucson train

Quelli di Western Stars sono pezzi che potrebbero adattarsi alla E-Street Band, ma che in questo contesto sono arrangiati con un maestoso sound cinematografico, dove archi e strumenti a fiato prevalgono sulla fedele Telecaster. Con il procedere del disco, i brani diventano più malinconici, delineando rimpianti e sogni infranti dei protagonisti: nella title-track Western Stars, un attore sul viale del tramonto vede le stelle del West brillare per l’ultima volta. Drive Fast (The Stuntman) è invece un realistico ritratto di uno stuntman dei B-Movies, con il corpo ferito dal proprio lavoro. In Somewhere North of Nashville e Stones, il Boss dà voce ai broken heroes tipici della sua poetica, soffermandosi sui loro ricordi. L’atmosfera si fa più positiva nel singolo Hello Sunshine:

Had enough of heartbreak and pain
had a little sweet spot for the rain
For the rain and skies of grey
Hello sunshine, won’t you stay?

Con i titoli di coda, arriva il brano più cinematografico del disco, Moonlight Motel, dove per mezzo di dettagli e primi piani, è messo in scena lo scorrere della vita tra le stanze di un decadente motel. Quando la voce di Springsteen si dissolve ci rendiamo conto che quanto letto praticamente ovunque è vero: Western Stars è un grande album, sicuramente il migliore del Boss più recente. Anche se apparentemente distante dai lavori precedenti, l’opera è abitata da anime che vagano nell’immaginario di Springsteen da sempre. Quelle anime pazze che – per dirla con le parole di Kerouac – bruciano, bruciano, bruciano, come candele romane nella notte.

 

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