C’era una volta una rubrica dell’Indiependente, e c’era una volta un suono specifico da cui prendeva il nome: Bristol Sound. Due parole che si connettono immediatamente nella testa, come quando si avvicinano la spina di un impianto stereo e una presa elettrica nel muro e, al primo contatto, parte la musica. È la sensazione che da cui vengo investito ogni volta che mi capita di di rimettere piede in questa città, ed è capitato proprio qualche settimana fa, per un veloce week-end.
Il week-end in realtà è sempre veloce, a Bristol, com’è facile da immaginare. Le abitudini si riprendono velocemente. Innanzitutto, sulla strada tra il bus e casa della mia vecchia coinquilina che mi ha ospitato, mi viene voglia di fermarmi per una pinta di un sidro locale del Somerset, al primo pub incontrato sulla via, che in questo caso è il Roll for the Soul, il caffè-ciclofficina e raduno dei ciclisti locali. Niente musica live a questo giro, ma una buona occasione per recuperare il piccolo magazine Bristol live, dove sono segnati tutti i concerti presenti in città ogni mese, che dalla copertina annuncia il suo quinto compleanno. Faccio i conti sulle dita: 2012-2017, cinque anni, realizzo che il Bristol live ha avviato la pubblicazione proprio nel periodo in cui io ho poggiato il piede sul suolo bristolese per la prima volta: un piano quinquennale perfetto. Ma non è autoindulgenza o narcisismo che mi porta a scrivere, quanto piuttosto il dossier che apre le celebrazioni del giornalino, “The Bristol Music Influencers”: chi ha plasmato la scena in questi cinque anni, si chiedono i redattori. O meglio, il fatto che in questi cinque anni, Bristol live si sia posto la mia stessa domanda, quella di capire che cosa ne è stato di quel suono chiamato Bristol Sound, che il mondo associa al trip-hop di Massive Attack, Portishead e Tricky, che per dieci anni almeno sono stati protagonisti assoluti della scena locale, ma che già all’inizio del millennio in città aveva cominciato a mutare e avvolgersi intorno a numerosi altri nomi, e che nelle puntate della mia rubrica e in quelle che non ho mai scritto, ho associato a generi e suoni diversi, alcuni rimasti legati ai circuiti locali, altri invece più consolidati, alcuni visti e sentiti anche in giro per l’Italia. Certo, il super concerto dei Massive Attack insieme ai Primal Scream tenutosi lo scorso settembre ai Downs, il parco in cima alla collina, fa sempre pensare che i due suoni non si escludono necessariamente a vicenda, ma che appunto, abbandonando un genere preciso, si sia tradotto in una mescolanza di esperienze e suoni eterogenea e che si rinnova costantemente, continuando a rendere la città una factory di produzioni musicali che non si ferma mai e suona sempre in modo diverso. A sostegno di questa idea, è stato già annunciato per l’estate un nuovo festival denominato Bristol Sounds, che prevede quello che è probabilmente il maggior erede delle sonorità originarie associate alla sigla, Bonobo, fare da headliner insieme a Craig David, Manic Street Preachers e the Hacienda Classical e ad altri nomi che saranno annunciati nel tradizionale ritrovo degli eventi estivi della città: l’anfiteatro dell’Harbourside.
Per Bristol Live, il primo protagonista che ha plasmato la scena bristolese non è un musicista, ma un personaggio legato alle sue venues e che ormai gode della risonanza internazionale di una vera icona: Jeffrey ‘Big Jeff’ Jones, presenza ricorrente della notte live, e il cui avvistamento garantisce che il concerto a cui assistiamo è quello giusto, selezionato tra le almeno cinque-sei opzioni che i locali offrono per la serata, una missione che per Jeff è diventata un impegno quotidiano. La sua presenza trasforma le vibes, scrive il piccolo magazine, accende il pubblico, reinventa la serata. A al nome di Jeff si affianca quello di una serie di addetti ai lavori che pure hanno una loro risonanza in città, legati alla selezione dei locali nonché a vari eventi che abbiamo raccontato: Matt Aiktken, organizzatore del Simple Things festival e della programmazione del Lantern, la sala indie della music hall cittadina Colston Hall, e dello Start the Bus, e gli altri nomi legati a The Exchange, The Fleece, e gli altri. Segue uno spazio dedicato alle etichette indipendenti locali, su tutte la Howling Owl Records di Joe Hatt e Adrian Dutt, che sono responsabili anche del Rise, il record-book-store con caffè incorporato in cui si sono tenuti showcases dei maggiori musicisti di passaggio in città, oltre che sede del più celebre Record Store Day. Ci sono poi fotografi e DJs. Ma dove sono finite le bands? Mi chiedo. Il Bristol Live fa riferimento solo agli addetti ai lavori, senza menzionare nessun musicista.
Mi accorgo durante lo svolgersi della serata altre mancanze alle celebrazioni del piccolo magazine, che conferma la nomea di concentrarsi su una sorta di mainstream della musica indie bristolese, lasciando fuori tutto quello che si svolge ai margini. Lo stesso Roll for the Soul non è mai comparso sulle pagine del pur lodevole giornalino, così come difficilmente accadrà allo Start the Bus menzionato pocanzi, che nel giro di poche settimane è passato dalla chiusura, alla riapertura come Hy-Brazil, cambiando definitivamente di rotta rispetto alla tradizione indie e avvicinandosi di più alla world music e alle sonorità sudamericane, accompagnandosi al tipo di attività live del celebre ritrovo della comunità internazionale The Canteen di Stokes Croft, nel quartiere dei graffiti e della street art, che pure vi compare molto raramente pur ospitando concerti ogni sera. Neppure il concerto di presentazione del nuovo disco degli Spectre per Howling Owl appare nelle pagine del Bristol Live: lo vado a seguire al The Cube, un vecchio cinema autogestito rimesso a nuovo ma senza alterare l’arredo vintage originale, altra venue celebre della città in cui si alterna cinema indipendente, eventi live e serate di vario tipo, peraltro pieno come poche volte mi è capitato di vederlo, e nella folla, riconosco numerosi musicisti del giro locale. Una serata pazzesca e rumorose come poche: il noise a Bristol ha mantenuto il suo impatto.
Prossimo alla chiusura anche lo Stag and Hounds, patria delle bands cittadine che si fanno le ossa prima del debutto su palchi più importanti che sorgono a poche centinaia di metri, come quello del Thekla, del Louisiana, che ha battezzato Strokes, Mogwai, National, perfino Amy Winehouse, o dell’O2 Academy riservato ai gruppi di giro maggiore che vengono da fuori città. Senza considerare le nuove venues che si aprono a ritmo continuo, come l’enorme vecchio capannone del Motion, o la grande Bristol Arena da 12000 posti in progettazione, che fa un po’ paura perché, si sarà capito, ai bristolesi piacciono i locali piccoli. Tutto cambia, a Bristol, senza che per questo la città perda punti di hype: per una Maddie che ha annunciato il suo addio al Rise dopo essere diventata in pochi mesi un personaggio della scena musicale semplicemente sorridendo da dietro il bancone del negozio, ce ne sarà un’altra che in pochi mesi prenderà il suo posto. Non c’è tempo per la tristezza, bisogna essere pronti ad assecondare il cambiamento.
Perché il Bristol Sound è il suono di una città che non riposa, non si adagia, vive di un fermento continuo che rimane al di sopra della somma delle sue parti, impossibile da ridurre ad una sola sfaccettatura. Perché a passare per Bristol un week-end, uno immagina di essere capitato nel week-end fortunato, e sottovaluta invece che per il bristolese medio questa invasione di musica è piuttosto un fatto di routine. I nomi che ho incontrato e ho visto crescere nei miei cinque anni bristolesi – per farne, o piuttosto rifarne, alcuni, Scarlet Rascal, Why We Love, Raechel Daad, Something Anorak, Expensive, Two White Cranes, Fauns, Fuck Buttons, Velcro Hooks – sono sostituiti continuamente: ogni magazine ha la sua lista pronta. Questa è quella di Subculture, per esempio, per farne un altro ancora più celebre possiamo prendere quella pubblicata a fine anno da NME. Sono sicuro che i nomi che vengono fuori da quella dell’anno prossimo saranno in maggior parte sconosciuti ai più, e piano piano, cominceranno a risuonare e diventare più ricorrenti, anche se sempre più difficili da associare a una qualsiasi definizione predefinita di Bristol Sound.
Rientrato nella mia routine milanese, chiacchieravo del mio week-end con un amico musicista e ho ricordato la conversazione avuta la ritorno dal mio viaggio a San Francisco, in cui gli esprimevo la mia amarezza per l’essere stato troppo e non aver avuto tempo per scoprire che tipo di scena musicale aveva rimpiazzato il rock psichedelico della Summer of Love, chi aveva preso il posto di Grateful Dead e dei Doors, chi era la nuova Janis Joplin. Lui c’era stato un anno prima, a San Franciso, e mi aveva confortato dicendomi che l’amico che l’aveva ospitato, che vive lì e lavora in radio, gli aveva confessato che non c’era più nessuna scena, solo bands di passaggio provenienti da altre città. Una cosa che, certamente, andrebbe verificata in modo più analitico, ma non di meno, mi ha fatto venire voglia di spendere qualche riga su questa città che invece si mantiene musicalmente vivissima, che ti avvolge pronta con il suo suono non appena ritorni, che sa sempre rinnovarsi senza fermarsi. Tornare a Bristol fa bene alla musica, insomma, e dal sorriso del mio amico milanese, anche parlarne, e anche ai musicisti.