In questo inizio di 2017, tra il mese di Gennaio e Febbraio sono venuti fuori alcuni dischi notevoli che avevamo mancato di segnalarvi. Questa rassegna di album ci aiuta a tenere il passo coi tempi, e a recuperare qualche ascolto di novità che ci sono piaciute. Parliamo del nuovo EP di Spartiti, il progetto di Max Collini e Jukka Reverberi, del nuovo album dei Cloud Nothings, del nuovo fenomeno Sampha o del bel folk di Julie Byrne. Date un ascolto, che vale la pena.
JULIE BYRNE – NOT EVEN HAPPINESS
folk / country
Questo secondo lavoro di Julie Byrne esce in sordina all’inizio di gennaio e a poco a poco conquista tutti, diventando una piccola storia da copertina. Not Even Happiness è un disco di classe, il ritorno al bel folk, dove la voce della Byrne accompagna raffinatamente la chitarra. In alcuni momenti sembra di star sentendo echi di una Joni Mitchell adattatasi alla contemporaneità, o di una prima Cat Power. Anima randagia di Buffalo, la folksinger americana che ha lavorato come guardia forestale al Central Park di New York (città dove oggi risiede, dopo tanto vagare per gli States), prova a raccontare un disagio contemporaneo delle metropoli che si risolve in una fuga dalle città per un’immersione nella natura. Così in Natural Blue si evoca il cielo (“when I first saw you / The sky, it was such a natural blue“), e in Follow My Voice si racconta così: “I was made for the green / Made to be alone“. Not Even Happiness è una delle sorprese di questo inizio 2017, in cui pezzi come All the Land Glimmered hanno padri putativi nobili (immaginate un cocktail di atmosfere coheniane mischiate alla classe vocale di una Mitchell). Accogliamo la consacrazione di una folksinger sempre con piacere da queste parti. ISPIRATO / Giovanna Taverni
ESSENTIAL TRACK: Natural Blue
AUSTRA – FUTURE POLITICS
elettronica / synth-pop
Il migliore dei mondi possibili esiste, ma non è ancora stato scritto. C’è qualcosa di spaventoso e al tempo stesso di affascinante al pensiero che il nostro futuro non sia ancora stato deciso da nessuno. Non è un caso, infatti, che il terzo album degli Austra sia uscito proprio il giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, un momento importante per la storia recente. Dopo Feel It Break e Olympia, Katie Stelmanis porta alle stampe Future Politics, sentendo più che in passato l’urgenza di raccontare in chiave synth-pop gli assurdi e raccapriccianti risvolti del presente che stiamo vivendo. La speranza di essere all’interno di un’allucinazione collettiva non è, però, l’unica lettura che possiamo ricavare dalle undici tracce dell’album. Malinconia e ottimismo si alternano a seconda dell’umore dell’ascoltatore in brani ipnotici e martellanti come Utopia, Gaia o Beyond a Mortal, dove è in corso l’eterna battaglia tra la voce angelica e disturbante di Katie Stelmanis e le sonorità elettroniche. Per seguire il viaggio degli Austra non avete bisogno di un navigatore, vi basterà disporre di molta fantasia. SURREALE / Ilaria Del Boca
ESSENTIAL TRACK: Future Politics
THE PROPER ORNAMENTS – FOXHOLE
indie / alt-pop
Il progetto musicale di James Hoare (Veronica Falls) e Max Oscarnold (TOY), ha il sapore di un viaggio in atmosfere retrò, laggiù verso gli anni Sessanta dei Beatles e dei Pink Floyd. Nonostante questa vocazione rischi di annoiare gli spiriti contemporanei e quelli ormai abituati alle sonorità di quest’epoca electro-hip-hop, in Foxhole ci sono tracce davvero notevoli, come la bellissima melodia di Memories, che arriva immediata alle orecchie – del resto, per un ascoltatore beatlesiano medio riconoscere certe sonorità immediatamente non è difficile. Just A Dream ci ricorda un altro beatlesiano doc come Elliott Smith, così questo disco sembra quasi un compendio e una piccola dedica a distanza di anni, direttamente dal futuro. I Proper Ornaments celebrano un’era della musica, la bella Inghilterra, con una strizzata d’occhio ai Pink Floyd (The Frozen Stare), e se proprio non possiamo definirli originali, resta il merito di aver concepito un disco piacevole. BEAT / Giovanna Taverni
ESSENTIAL TRACK: Memories
SPARTITI – SERVIZIO D’ORDINE EP
post-rock
Non un vero e proprio album, ma a poco meno di un anno dal primo disco torna la creatura di Max Collini e Jukka Reverberi. Servizio d’ordine è un EP, ma fa capire che Spartiti è qualcosa di più del divertissement dei due musicisti reggiani. La voce di Collini è un marchio di fabbrica, riuscirebbe a dare spessore storico anche ad un elenco del telefono (in effetti già lo ha fatto), Jukka Reverberi a suo agio tanto nei panni soliti del chitarrista di matrice post-rock, sia in quelli di producer fa il resto. E così si passa dai fatti del Casoretto al Servizio Civile in epoca Lega Nord, dall’aneddoto della Guerra alla prima convivenza. Se questo è l’Ep, viene da esser ansiosi per il prossimo disco. ELECTRÖSTALGIE / Seppino Di Trana
ESSENTIAL TRACK: Elena e i Nirvana
CLOUD NOTHINGS – LIFE WITHOUT SOUND
indie-rock
Life Without Sound è un disco fresco, arrabbiato, adolescente, teso tra un riff carnoso e asciutto, una sgommata che sa di grunge, una melodia indie-pop folgorante e un urlo ossessivo di ribellione. “La vita senza suono è inutile”. Un motto che chiude il cerchio sull’eredità rock più viva che mai. Che passa dal punk più britannico agli assoli di J Mascis con una disinvoltura talmente azzeccata che apre spesso un sorriso. Questo è il disco che ogni adolescente frustrato nato nei 2000 deve ascoltare per sentirsi come si sentiva suo papà alla sua età. Unica pecca questa pesante, potente coltre in stile indie (che si palesa forse di più nel missaggio della voce) che appiattisce tutti i pezzi allo stesso livello, senza offrire un vero e proprio andamento narrativo al disco. Potete divertirvi anche voi a trovare in questa coltre tutte le influenze di questo album (pure i Cure e i Pavement) e sarete sempre nel dominio delle mezze verità. Il loro fare così smaccatamente indie e l’assenza di un vero e proprio singolo spaccacuore universale incasellano tutte queste influenze al punto che da un lato si stenta a riconoscerle e dall’altro si squalifica la band stessa dall’insieme Rock “tradizionale”. RETROMANE / Emilio Giannotti
ESSENTIAL TRACK: Modern Act
TY SEGALL – TY SEGALL
garage-rock
Tra lavori solisti, collaborazioni (da Mikal Cronin a White Fence) o militanza in band (Fuzz, Gøggs e The Traditional Fools, ma anche Epsilons una decina di anni fa), l’iperattivo Ty Segall spezza volentieri la catena di date che lo portano ad esibirsi in giro per il mondo per entrare in studio almeno una volta l’anno. L’ultimo tour ha suggellato il rapporto artistico con The Muggers, band che lo accompagna dalla realizzazione di “Emotional Mugger” nel 2016, e che vediamo in prima linea nell’ultimo lavoro, il self-titled album “Ty Segall” uscito il 27 gennaio per la Drag City Records. Un disco che, come ci dice lo stesso Ty, è stato registrato da lui ed i suoi musicisti come una live band, ed il risultato sono 10 tracce che esplorano l’universo musicale finora sperimentato dal quasi trentenne californiano. C’è il garage, suo marchio di fabbrica, in pezzi come il singolo Break a guitar, Freedom, The only one, Thank you Mr.K o la lunga suite di Warm Hands (Freedom Returned). Ci sono le ballad dal sapore folk-blues e dai testi ironici e pungenti, a tratti con toni beatlesiani come in Talkin’, Papers e Take Care (To Comb Your Hair), e c’è Orange Color Queen la lovesong che strizza l’occhio ad Elliott Smith, dedicata alla fidanzata. Un brillante e riuscitissimo inventario dei generi musicali in cui il nostro si è cimentato fin dall’uscita del suo primo lavoro solista, l’LP dal titolo, guarda un po’, Ty Segall uscito nel 2008. ANTOLOGICO / Monica Bogliolo
ESSENTIAL TRACK: Orange Color Queen
PRIESTS – NOTHING FEELS NATURAL
post-punk
Okay, dicono che di band post-punk ormai ce ne siano troppe. Che i locali a tema post-punk siano una moda per resistenti e improvvisati. Ma di queste cose non siamo mai stanchi, riascoltando Jeopardy non siamo ancora annoiati, insomma il post-punk non ci ha avviliti. Siamo ancora qui, ad evocarlo, e se ci sono band che lo hanno reso più pop-olare (Interpol, Editors, i primi The National), ringraziamo anche quelle che lottano dal basso per emergere, come i Priests da Washington. La voce di Katie Alice Greer è punk e riot come si deve, e arriva diritta al punto, accompagnata dalle distorsioni grezze delle chitarre che ci rendono indietro la sana atmosfera di un vecchio locale davvero devoto al post-punk – quelli che resistono insomma. Le tracce ci presentano il conto della rabbia contemporanea, in questo i Priests sono bravi anche nei testi. Risentire un po’ di sano punk nell’aria non stanca mai, per questo ringraziamo questo dischetto in quest’inverno così avvolto da cappe conservatrici. GIOVENTÚ SONICA / Giovanna Taverni
FAST ANIMALS AND SLOW KIDS – FORSE NON È LA FELICITÁ
alt-rock made in Italy
Forse non è la felicità, uscito il 3 febbraio per Woodworm, è il quarto lavoro in studio dei perugini Fast Animals and Slow Kids. Un’uscita sommessa, dopo l’hype che i nostri erano riusciti a creare intorno al maestoso Alaska del 2014. Con tutta sincerità non ci aspettavamo un disco così presto, dopo un tour così serrato che li ha visti calcare i palchi più importanti d’Italia registrando una sfilza di sold out, l’ultimo all’Alcatraz di Milano proprio per l’ultima data. La parabola inziata con Hybris ed arrivata al culmine proprio con Alaska, sembra con questo ultimo lavoro, se non iniziare la sua discesa, quantomeno non riuscire a portarli ancora più in alto: una sintesi perfetta dei due lavori precedenti, che purtroppo non aggiunge nulla in termini di maturazione stilistica. Nel complesso un disco godibile e non privo di soluzioni sonore accattivanti e riff capaci di rimanere in testa fin dal primo ascolto, con un Aimone Romizi sempre efficace nei testi e nella voce graffiante e decisa, e una produzione ancora una volta in pompa magna capace di produrre una qualità del suono altissima. I quattro non riescono però a distaccarsi troppo da quanto dato fin’ora, da quella rabbia adolescenziale che prima o poi andrebbe messa da parte, da una manierismo che andrebbe un po’ alleggerito, dai quei cori “ou ou ou” di cui si fa un uso smodato, questa volta esagerato. Insomma, per il disco della maturità ci tocca ancora attendere. POTENTE / Monica Bogliolo
ESSENTIAL TRACK: Forse non è la felicità
SAMPHA – PROCESS
elettronica / soul
Gli album rilasciati dai ghostwriter compongono in un certo senso una categoria a parte. Spesso sembrano raccolte di brani dai diversi stili rifiutati dalle popstar per cui erano stati pensati, rilasciati quindi più per la necessità di “liberarsene” che per una vera spinta creativa (penso alle prima cose di Sia solista). Con il primo lavoro a nome proprio di Sampha Sisay questa tendenza sembra essere, in parte, invertita. Sì perché il primo album di Sampha, scrittore dietro le quinte tra gli altri di Drake, Kanye West e Solange, è un vero e proprio album che pur non suonando completamente omogeneo, contiene dei pezzi bellissimi e molto personali, di grande impatto emotivo, ad esempio la ballata (No One Knows Me) Like The Piano. La prima parte del lavoro è decisamente più interessante ed audace della seconda metà, eccessivamente incastrata in un Folk/R&B dalle suggestioni elettroniche (James Blake e Bon Iver i riferimenti). In generale Process è un album che regala un nuovo interprete di grande livello delle tendenze più moderne e sofisticate del pop, con una carriera a questo punto da seguire con parecchio interesse nel futuro, sperando che si dimostri più audace ancora in alcune scelte stilistiche. UN LUOGO INTIMO / Giulio Pecci
ESSENTIAL TRACKS: Blood On Me
CHINESE MAN – SHIKANTAZA
hip hop / elettronica
A distanza di due anni dall’ultimo The Journey, torna il trio di dj marsigliesi. Jean-Claude Izzo che della città mediterranea è stato il cantore più importante e fedele, nel suo “Casino Totale” scrisse “Questa era la storia di Marsiglia.L’unica utopia del mondo. Un luogo dove chiunque, di qualsiasi colore […] appena posato il piede a terra, quella persona poteva dire: «Ci sono. È casa mia»”. Il collettivo francese ha fatto sua questa attitudine fin dagli esordi, mischiandola a suggestioni zen (presenti fin dal titolo dell’album in questione). La novità in quest’ultimo lavoro è che i suoni provenienti da tutto il mondo, prevalentemente sudamericani e africani si arricchiscono di suggestioni asiatiche, cinesi, giapponesi ed indiane soprattutto. L’omonima traccia che apre il disco ci illude che sentiremo quel tipo di sonorità in modo originale e ben amalgamato ma purtroppo non è così. Il disco di fatto non aggiunge niente alla discografia dei Chinese Man, e questo nuovo tipo di sonorità è sparso a caso all’interno del disco senza un criterio di base. In generale un album che si lascia ascoltare tranquillamente ma che anche per la durata (poco più di un’ora) ad un certo punto stanca, senza risollevare una carriera che sembra da anni in discesa creativa. MINESTRA RISCALDATA / Giulio Pecci
ESSENTIAL TRACK: Shikantaza
JULIE’S HAIRCUT – INVOCATION AND RITUAL DANCE OF MY DEMON TWIN
psychedelic rock / alternative rock
Dopo averci fatto gustare nei mesi precedenti i primi due estratti Gathering Light e Salting Traces, i Julie’s Haircut hanno finalmente pubblicato il loro settimo album in studio. Si tratta di un lavoro molto importante, soprattutto perché sancisce il passaggio all’etichetta britannica Rocket Recordings, che tra i vari può vantare anche i nomi di Goat e Hills. Il disco si presenta come una sorta di climax ascendente: parte con melodie oscure e ansiogene, e man mano si va avanti le tracce diventano sempre più luminose e pacate, un po’ come se questi 8 pezzi fossero le ore che da una notte burrascosa portano progressivamente alla quiete del mattino. Provate anche solo ad ascoltare la prima traccia Zukunft (brano totalmente strumentale lungo quasi 12 minuti) e subito dopo l’ultima Koan, noterete sicuramente la profonda differenza di colori emanati dai due pezzi e sarà quasi come essersi teletrasportati nel giro di un secondo da un luogo freddo e buio ad un altro molto più caldo e illuminato. Se invece volete gustarvi i progressivi cambi di sonorità di Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin, conviene decisamente ascoltarselo per intero concentrandosi in modo particolare sulle tracce centrali Deluge e Salting Traces, che costituiscono esattamente il passaggio dalla notte al giorno, l’alba di questo disco. COLORATO / Mattia Fumarola
ESSENTIAL TRACK: Gathering Light