a cura di Marianna Scamardella
L’arte nasce dalla polvere soffiata dal vento della finzione e della storia. Quest’ultima, infatti, «offre iconografie continue e polverizzate, disperse, pulviscolari».
Breviario delle Indie (Wojtek Edizioni) vuole essere un tentativo creativo di unire l’immaginario e il reale, il visibile e l’invisibile. Invitando il lettore su una nave ammiraglia, ben lontano dall’idea wallaciana di un viaggio in mare che ‘non si farà mai più’, Emanuele Canzaniello marca invece l’occasione di un viaggio che potrebbe essere destinato a ripetersi nella mente del lettore contemporaneo poiché – in fondo – «tutto c’è già stato prima che la storia iniziasse».
Partendo dalla consapevolezza che «non abbiamo più il giornale di bordo di Colombo, non nella sua prima versione, che è andata perduta» e che dunque le tracce filologiche si stendono su «altre versioni, modificate da altri Colombo», l’autore del Breviario – il quale oltre che saggista ha debuttato anche come narratore (I migliori film mai girati) e poeta (Per l’odio che vi porto; In principio era la paura) – riempie con un tono di liricità quegli spazi vuoti in cui sembrano esserci fonti disperse, «interpolazioni delle vecchie testimonianze» (Ibidem). In altri termini, le lacune storiche si colmano con l’immaginazione poetica poiché – come dichiarò Calvino – «una massa d’informazioni freddamente oggettive, incontrovertibili, rischierebbe paradossalmente di fornire un’immagine lontana dal vero, di falsare quel che è più specifico d’ogni situazione» (La memoria del mondo 1997).
Sulla scia di Giorgio Manganelli, il quale scrisse che «il linguaggio che si finge unico, dalla propria finzione genera la menzogna della storia» (La letteratura come menzogna), accostando una pluralità di forme e generi diversi, Canzaniello ha creato “un nuovo libro parallelo” in cui la veridicità della raffigurazione del globo terrestre e del personaggio di Colombo si mescolano a fraintendimenti: «Il mondo, le storie sono opera del fraintendimento, quanto è più che dell’inganno, come gli amori» dal momento che il tentativo dell’uomo di poter classificare ogni cosa è solo un’illusione. Infatti, «i nomi delle piante, le piante stesse, il fogliame, le foglie individue, le venature senza nome della foglia unica, anche sfuggendo ai nomi delle cose, sono fraintendimenti della natura». Se ne deduce che «il coraggio e la scoperta vengono partorite dall’illusione». La navigazione di Cristoforo Colombo intorno al globo è un’impresa solo se si esclude come fine la “gloria” poiché questo sentimento viene posto sullo stesso livello dell’inutilità («non voglio parlare della gloria e dell’inutile») ammettendo invece l’inclusione e l’accoglienza dell’ignoto, per cui Colombo si chiede:
«Se non fossimo in uno stato incerto e pericoloso al di là di ogni immaginazione, non ci troveremmo piuttosto in guai e ambasce maggiori, eppure saturi di tedio?».
Creando una connessione storico-autoriale, Canzaniello sembra strutturare il suo libro tenendo conto proprio della domanda retorica di Cristoforo Colombo. Pertanto unisce poesia, narrativa, saggistica mediante prose brevi che assumono un carattere per lo più liturgico, miscelando generi diversi per evitare una classificazione e suscitando un interesse teoretico tra realtà e apparenza. Ne scaturisce una rottura degli schemi che si coglie soprattutto dal rifiuto da parte dell’autore di creare un indice, rifacendosi piuttosto a capitoli brevi che – ricalcando alla Queneau esercizi di stile di vita quotidiana – creano un’architettura combinatoria del passato da leggersi anche in maniera disordinata, aprendo una pagina qualsiasi, per poi decidere se progredire o avanzare nella numerazione.
Il messaggio, formale oltre che contenutistico, risiede nella consapevolezza che la definizione esatta, la totalità di ‘tutti i mondi possibili’ sono paradossalmente un’illusione illuministica poiché vi è sempre un’interpolazione tra sogno e realtà, tra incontro e scontro epocale delle civiltà. Tutto è esegesi infinita là dove l’accumulo dei dettagli storici non è teso a chiarire le lacune filologiche delle fonti ma a smontare le certezze poiché «la realtà è deludente, lo è. La realtà è poco».
Là dove vi è il limite puntuale del materiale subentra l’icasticità della poesia che permette di creare non una, bensì più mappe spaziali e temporali. I dati storici fanno dunque da controcanto – e del tutto provocatoriamente – all’immaginazione letteraria poiché è proprio la forza visionaria della narrativa a creare l’occasione di vedere l’Altro, unendo pertanto il duplice piano temporale delle civiltà precolombiane ed europee. Pertanto, l’inconoscibile e il riconoscibile sono due volti di una stessa pagina poiché, se da una parte «le coste, come in un respiro della marea, hanno visto cancellate come segni nella sabbia le vecchie civiltà che arrivano al mare», al contempo, «hanno visto arrivare animali sconosciuti che hanno lasciato impronte mai più cancellabili». La fattualità appartiene comunque al tempo e «ogni angolo della storia è frutto della dimenticanza» proprio perché «il reale è cancellazione su cancellazione, palinsesto perduto su palinsesti perduti». In tal senso, tra fonti ma anche «dati muti, irreperibili e incessanti dell’archeologia», Breviario delle Indie mira a ricostruire direttrici d’unione tra l’Europa e le Americhe affidandosi in parte a «mappe che suppongono e immaginano». La realtà può dunque essere anche «sogno sognato» per l’autore che non manca di universalizzare il suo io:
«Io stesso sto cercando di vedere, parola dopo parola, costruisco le rovine e le percorro, e allo stesso tempo cerco il luogo in cui il sogno sta continuando e in cui altre immagini sono possibili, ma che noi in questo momento, e da qui, non stiamo vedendo».
Non solo per ricostruire spazi ma anche per figurare i primi volti degli Indios, Canzaniello spalanca lo spazio umano «incommensurabile» spiegando che «l’uomo è la variazione e la variante» e che definire una forma è «solo un difetto di immaginazione» poiché – con una domanda retorica denotata di forte lirismo – si chiede: «Cos’ è l’uomo per l’uomo, se non un’ombra vista in questo incubo?».
Nell’atto stesso di un recupero memorialistico che possa costruire questo breviario, l’autore dimostra che per rifondare la linearità bisogna paradossalmente spezzare l’orizzontalità perfetta perché solo «quando le linee del tempo saranno alterate, confuse insieme, non sapremo quando e da quale quando guarderemo questi reperti, queste note di breviario», eppure ci renderemo conto di “un altro tempo” necessario per accogliere nel presente i pigmenti del passato.
Secondo lo scrittore la scoperta futura fa fronte a un archetipo per cui la storia è esistita sempre in funzione di una preistoria «creando lo spazio davanti a sé che prima non c’era, come un’immane inflazione del cosmo. Per ritornare alla natura di cui l’ordine ci protegge cercando solo di ritornare per sempre là dove un sogno ci riporta alla preistoria senza autorità e disciplina, nel luogo di quelle prime notti che svanivano già anche per loro, lì dove non c’eravamo e non siamo mai stati, dove gli uomini provano l’incantesimo del piacere».
È dunque dall’antitesi passato e futuro, realtà e dimensione onirica «nell’ora in cui i sogni sono verità» che si può concretizzare un viaggio. L’autore – sulla scia memorialistica di Marco Polo – ha ben in mente che «per molti secoli le sue notizie, sostanzialmente veridiche, furono irrise come fandonie, o accettate come fantasie esotiche» (Il milione), proprio perché verità e razionalità, razionalità e avventura, esperimento e pensiero sono dispositivi semiologici relativistici che appartengono alle sfere dello sperimentato e pensato.
La domanda ultima che si pone il lettore potrebbe riguardare proprio la destinazione del viaggio. Canzaniello squarcia il velo della storia e ci dice che al di là di «altre regioni del tempo», vi sono «confini del mondo esplorato» dove «pur si muove ogni cosa che esce dallo scenario supposto dell’esistenza». Si tratta allora di solcare non mari e territori ma “il nulla”; quello spazio che tutto accoglie perché «quando solleveremo il velo, e crederemo di vedere una nuvola che si sta alzando all’orizzonte, delle luci che tremano di candela, nella notte degli oceani, vedremo ancora il vuoto» (Ibidem). E, allora, non importa più se si tratta di onde o terra, menzogne o documenti, il vero o il nulla perché «nulla sarà stato fagocitato, assorbito, detto, perché nulla era o è stato». Ciò che è stato dimenticato ritornerà leggibile o, forse, tutto sarà da creare «perché nulla è mai esistito» (Ibidem).
In conclusione, Breviario delle Indie, costruito su un cronotopo – per usare un termine bachtiniano – è una stratificazione di piccole storie, considerazioni saggistiche, visioni postmoderne e frammenti di sogni che solidificano l’impianto narrativo dell’opera. Le tracce frammentarie, infatti, non disperdono il lettore. Al contrario, quest’ultimo sa che là dove subentra il limite della vertigine storica, inizia l’invenzione autoriale a riempire la voragine del tempo. L’immaginazione salda il vuoto così che «sapremo forse finalmente cosa è stato l’universo, mentre lo lasciamo, mentre andiamo a navigare ancora e lontano. […] forse non sarà stato molto diverso dal vuoto tutto quello che crediamo di aver visto e vissuto, noi che sogniamo questo sogno».