Quest’estate non c’è davvero storia: dopo eventi giganteschi come Iggy Pop e Slowdive al Medimex o Junun con Jonny Greenwood al Teatro Petruzzelli, ammetto a malincuore che finora il barese stia letteralmente surclassando il mio amato Salento. Mesi fa mi ha fatto un certo senso scoprire che in un paese abitato da poco più di 14000 anime avrebbe suonato gente come Bonobo, Dj Shadow o Kelly Lee Owens, e che addirittura nella sera di ferragosto ci sarebbe stato un enorme imbarazzo della scelta tra Locus e Viva con BadBadNotGood da una parte e Nicolas Jaar dall’altra. Tuttavia è ancora presto per discutere di questa curiosa competizione made in Locorotondo, siamo ancora a luglio e per il momento sarebbe meglio soffermarsi su ciò che è già avvenuto.
Dopo più di un mese di ansiosa attesa, domenica 9 luglio mi presento finalmente alle porte della masseria Mavù, dove mi accoglie un allestimento fantastico e capisco subito di trovarmi in uno di quei pochi posti in cui posso sentirmi davvero a mio agio almeno per un po’ di ore. Ad aprire c’è LIM, una delle maggiori rivelazioni dell’elettronica italiana in questi ultimi due anni che volevo guardare live da tempo dopo essermela persa al Sud Est Indipendente. In circa tre quarti d’ora di concerto Sofia Gallotti ci mostra quanto sia stata azzeccata questa scelta del Locus, con quell’elettronica intelligente e mai esagerata contornata da una voce calda e delicata.
La metà degli Iori’s Eyes lascia il palco tra i nostri applausi dopo uno show ricco di emozioni, ma è proprio in quel momento che la folla inizia a riempirsi e comincia ad esserci sempre meno spazio. Mr. Simon Green aka Bonobo entra in scena accompagnato da tastiera, chitarra, batteria e fiati partendo subito con la solita Migration, title-track del suo sesto disco capolavoro uscito lo scorso gennaio.
La formazione si arricchisce ulteriormente con l’ingresso di Szjerdene, fantastica voce che il producer ha scelto per questo tour. La britannica si esibisce in una magistrale performance di Break Apart , un featuring con i Rhye estratto da Migration.
Bonobo prosegue il suo live con una costante alternanza tra i suoi brani più elettronici quali Kerala o Kong ed altri invece molto più strumentali come Ontario e We Could Forever, concedendosi persino qualche virtuosismo al basso (ma senza esagerare). Se l’intenzione iniziale è quella di mantenere un atteggiamento sobrio cercando di memorizzare quante più informazioni possibili, succede che involontariamente le gambe cominciano a muoversi, le braccia pure e quindi l’unica cosa da fare è lasciarsi andare godendosi il trip.
Verso la fine miss Szjerdene torna nuovamente sul palco per Surface e No Reason, meravigliandoci ancora una volta con due altre fantastiche prestazioni vocaliche. Dopo quasi un’ora e mezza di concerto c’è ancora il tempo di un encore, con solamente due canzoni ma di un’intensità fortissima: la prima è Transits, in cui posso ascoltare per un’ultima volta quella fantastica voce femminile di cui ormai credo di essermi invaghito, mentre a chiudere Simon Green sceglie la ruvida elettronica di Know You, giusto per mandarci a casa con la voglia di ballare e scatenarci ancora.
Bonobo è uno dei tanti artisti che ogni volta mi fa pensare a quanto fossi sprovveduto anni fa quando non apprezzavo la musica elettronica, sicuramente perché ancora troppo condizionato dai vari Bob Sinclair e David Guetta. Questo live è stato davvero un toccasana per le mie orecchie, e dai diversi bestemmioni di meraviglia che ho potuto apprezzare a concerto finito sembra che lo sia stato un po’ per tutti.
Fotografie di Elisabetta Colaleo (un grazie a RockLab)