Quello che amiamo dell’indie folk è il suo essere scarno – ci rimette in pace con le ossa, ovvero con l’essenziale di questa faccenda dell’essere umani. Will Oldham è uno dei grandi eroi sofferti del folk, una carriera prolifica iniziata nei Novanta a nome Palace Brothers, e che da allora si è alternata tra progetti e pseudonimi accompagnandoci sotto forma di canzoni e album. A nome Bonnie ‘Prince’ Billy Oldham ha rilasciato vere e proprie perle come I See A Darkness e Master and Everyone, che si sono incastonate nella memoria con la grazia delle loro melodie scheletriche, per esplodere decise in erosioni folk-rock come in The Letting Go.
Che Oldham sia un interprete del proprio tempo lo dimostrano anche le collaborazioni della sua lunga carriera, sin dall’EP Goat Song registrato insieme a un altro dei grandi protagonisti dell’indie rock e folk di generazione lo-fi che si agita tra le nostre ossa sin dai Novanta, Bill Callahan. Da David Pajo alla bellezza stregata del feat in Kiss con Scout Niblett, fino al recente album When We Are Inhuman in collaborazione con Bryce Dessner e il sestetto di Chicago Eighth Blackbird, Oldham non ha mai smesso di contagiarci con la sua musica e le sue ossessioni – che sia in buona compagnia o da solo. Quando evoca e canta l’oscurità anche noi siamo a pezzi – ci sono sue canzoni che ci perseguiteranno sempre. Altre che devono ancora arrivare a prenderci.
Negli anni Will Oldham si è sempre mantenuto un artista indipendente e con un suo stile, e non ha mai smesso di darsi anima e corpo alla musica – eppure è dal lontano 2011 che non raccoglie i suoi brani in un disco. Non siamo affatto sorpresi però di ritrovarlo in questo autunno 2019 con un nuovo album, in cui si condensa la collaborazione tra la Drag City – storica etichetta di Oldham, e di un certo suono in generale – e la Domino. I Made a Place è un disco delicatamente folk, nel senso più autentico e spirituale del termine, ed è proprio nel suo essere scarno che troveremo il suo incantesimo. Un ritorno alle origini che ci rivela che non possiamo fare a meno di rifugiarci ogni tanto nei segreti misteri della chitarra. In fondo delle cose belle non ci si stanca davvero. Se siete mai stati colpiti dalla speciale benedizione del folk sarà difficile liberarsene con un colpo di spugna e dimenticanza.
Eccoci ancora allora a rievocare gli spiriti di Bonnie “Prince” Billy, perduti tra il country-alt di Squid Eye e la melodia oscura di Building A Fire, uno dei pezzi più disarmanti dell’intero album. C’è una dimensione trascendentale nella musica di Will Oldham che viene fuori grazie alla perfetta combinazione della sua voce e la delicatezza delle agitazioni della chitarra – il sussurro di un pezzo come Thick Air intarsiato da strumenti a fiato, la bellezza ossessiva della title-track, il minimalismo di This Is Far From Over, sono tutti gli ingredienti con cui Oldham è sempre riuscito delicatamente a penetrare le anime e riconnetterle a una sotterranea idea di universale. Il folk continua a scavare, finché non raggiunge i segreti della terra: il magma caldo si trasforma in un confessionale in cui è bello rinchiudersi. Non avevamo mai davvero perduto una connessione con la musica di Oldham, e questa è l’occasione perfetta per risintonizzarsi sulle sue frequenze. I Made a Place è il disco che riconnette a Bonnie “Prince” Billy, e ci permette ancora una volta di esplorare alla rovescia la sua immensa discografia. Regaliamoci questa immersione autunnale.