Bolaño contro Cortázar e il gioco della letteratura sudamericana

Parlare di Cortázar per me è come parlare di Babbo Natale”, così diceva Roberto Bolaño a proposito dello scrittore argentino Julio Cortázar, classe 1914, uno dei migliori scrittori di racconti di tutti i tempi (per quanto sia riduttivo parlare di Cortázar solo come autore di racconti). La letteratura ha questa perversa capacità di riportarci a fare i conti con l’uomo nudo: da Omero e Sofocle, attraversando i tempi con Goldoni, Shakespeare, Dostoevskij, il soggetto letterario è l’uomo, ed è per questo che non contano – o contano relativamente – tempo e spazio. Possiamo attraversare la Russia in treno o volare in aereo sulle coste nordamericane, deviare verso Lubecca o ritrovarci in una reggia, macinare chilometri in carrozza e annusare tutti i dissapori umani per farli nostri, godere delle piccole gioie ed ebbrezze e compatire, per come intendeva la parola Milan Kundera. Per tutto questo la letteratura diventa un solo grido eterno di storie che si raccontano. Sono quasi 40 gli anni che separano la nascita di Cortázar da quella di Bolaño, quasi mezzo secolo se vogliamo relativizzare il tempo per vederlo espandersi, eppure esiste una connessione o un rapporto che non è solo quello tra due scrittori di lingua spagnola originari del Sudamerica ma cosmopoliti per attitudine.

LA LINGUA

A proposito dello spagnolo, ho sentito spesso il chiacchiericcio che lo vede come una versione abbruttita dell’italiano, ma poi lo spagnolo ha una sua musicalità poetica che è più difficile da rendere in italiano (lingua in cui forse ci si è concessi meno ricerca e troppa rima in poesia). Prendiamo Federico Garcia Lorca, che – anche senza una chitarra – con certe parole sembrava cantare lo stesso:

Empieza el llanto
de la guitarra.
Se rompen las copas de la madrugada.
Empieza el llanto de la guitarra.
Es inútil callarla.
Es imposible callarla.

Lo spagnolo è la seconda lingua al mondo dopo il cinese, con 450 milioni di persone che lo parlano come prima lingua, lingua di casa. Se ci pensate è pazzesca la diffusione che attraversa gli oceani, dalla Spagna alle coste argentine e venezuelane, dalle isole dei Caraibi al Messico. A confronto la lingua italiana è un piccolo squarcio nello spazio, che per caso è rimasto in voga in qualche zona dell’Etiopia come un ricordo sbiadito delle epoche coloniali. Forse che gli spagnoli son stati più bravi e arroganti a navigare attraverso i mari, conquistare e costruire intere nazioni che oggi comunicano in lingua spagnola? La differenza con gli inglesi, che sulle coste americane più a Nord hanno costruito gli Stati Uniti d’America con il sangue e il sogno della democrazia, è che lo spagnolo è diventato davvero la seconda madrelingua mondiale, mentre l’inglese è più diffuso come seconda lingua: un compromesso comunicativo umano, una specie di denaro delle lingue che l’umanità usa per comodità. Ma in questa grandiosa narrazione dell’umanità la tradizione della letteratura in lingua spagnola non è così corposa come sembrerebbe dover essere, almeno fino al Novecento. Se facciamo qualche eccezione d’autore, come El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha di Cervantes, o qualche sonetto come quelli di Francisco de Quevedo (con versi fulminanti come ”Polvo serán, mas polvo enamorado”), la letteratura in lingua spagnola sembra esplodere in ritardo. E tuttavia esplode.

LA POESIA

La stagione felice della scrittura spagnola di tradizione latino-americana ha sfornato in un solo colpo Borges, Garcia Marquez, Vargas Llosa, Neruda, Allende, Sepúlveda e via discorrendo. Ma la musica delle parole si sente soprattutto in Bolaño e Cortázar, e non stupisce che Julio fosse un melomane che cantava così: ”Música! Melancólico alimento para los que vivimos de amor’‘. Questi due scrittori di razza, di una razza fraterna, erano anzitutto poeti, cacciatori di parole e immagini. ‘‘Sono fondamentalmente un poeta. Ho iniziato come poeta. Da sempre ho creduto – e continuo a farlo – che scrivere prosa sia un atto di cattivo gusto’‘, raccontava Roberto, come se la prosa e il romanzo costituissero solo la necessità e la sopravvivenza, e la poesia l’autentico furore estatico, l’arma bianca del poeta che sente un brivido di fratellanza per tutti i poeti della storia del mondo. Bolaño esordisce in prosa con Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce a 31 anni, trascinandosi dietro – e dentro la prosa – la poesia, e non è un caso che scelga la figura del poeta dissoluto Morrison come ideale legame dentro la storia. Il poeta sente, sente così profondamente da sovvertire l’ordine del mondo, e tuffarsi direttamente dentro le parole che si muovono da sole e danzano, veloci come se scavassero il cervello, raccoglie immagini e direzioni intere, gioca con le parole così come si gioca con il mondo dentro la Rayuela, e spietatamente sputa. Ogni personaggio è una poesia. Anche quando il poeta è un fingitore resta un predatore che furiosamente è a caccia di parole.

*(Evitabile piccola digressione sulla poesia italiana da rimandare)

”Scrivere poesia non era solo scrivere poesia, era anche leggere poesia, era vivere la bohème messicana, come fa un ragazzo a diciott’anni, la scoperta del sesso, dei bagordi, della vita”, Roberto Bolaño.

IL RANDAGISMO

Città del Messico, Parigi, Buenos Aires, la Catalogna, negli scritti delle due anime randagie della letteratura sudamericana non ci sono solo tracce di Sudamerica, del Cile di Bolaño e dell’Argentina di Cortázar, ma pezzi di vita sparsa in geografie distanti. I detective selvaggi si muovono nel Messico degli anni ’70, mentre i cronopios e i famas nascono nella capitale argentina che dedicherà persino una piazza a Cortázar, per emigrare poi metafisicamente in Francia, seconda casa dello scrittore argentino, che vaga per Parigi insieme ai suoi personaggi. Parigi a quei tempi è ancora un centro culturale affascinante, meta di scrittori erranti e menti ansiose di creare qualcosa. Sono invece tempi duri per il Sudamerica (è del 1973 il golpe di Pinochet in Cile), e gli stessi scrittori diventano esuli dispersi. La regione spagnola della Catalogna accoglie lo scrittore cileno che da giovane amava girovagare per le strade rubando libri e leggendo furiosamente, allo stesso modo in cui la capitale francese diventa la seconda casa dell’argentino. Entrambi cronopios pazzi alla ricerca di parole e storie.

I cronopios e i famas, due geníe d’esseri che incarnano con movenze di balletto due opposte e complementari possibilità dell’essere, sono la creazione piú felice e assoluta di Cortázar. Dire che i cronopios sono l’intuizione, la poesia, il capovolgimento delle norme, e che i famas sono l’ordine, la razionalità, l’efficienza, sarebbe impoverire di molto, imprigionandole in definizioni teoriche, la ricchezza psicologica e l’autonomia morale del loro universo.” – Italo Calvino

LA SCRITTURA

‘Il mio romanzo è un povero romanzo se paragonato a Rayuela”, così diceva Roberto Bolaño a proposito dei Detective Selvaggi. Da estimatore feroce del collega, si dichiarava commosso dai giovani di ferro che amavano leggere Cortázar. All’epoca Bolaño non aveva per niente idea della fama improvvisa che lo avrebbe circondato nel tempo (soprattutto postumo). ”Quando morì nel 2003, a cinquant’anni, noi persone che gli eravamo vicine sapevamo che i suoi libri avrebbero resistito al tempo, ignoravamo però che avrebbe ricevuto qualcosa che non aveva mai corteggiato: l’apprezzamento di massa”, ha scritto il suo amico Juan Villoro. Come due stelle distanti in meta-comunicazione, poli d’attrazione di una scrittura di ricerca e movimento, randagi come felini selvaggi, raccoglitori di instantanee, particolari e immagini, restiamo KO ad ammirarli, perennemente meravigliati qui e là, sconquassati dalle parole. Due macchine da scrivere incandescenti per le nuove generazioni.

Non basta avere un messaggio per fare un romanzo o un racconto perché questo messaggio, quando è ideologico o politico, lo trasmettono molto meglio un pamphlet, un saggio o un’informativa. La letteratura non serve a questo, la letteratura ha altre maniere di trasmettere questi messaggi, e caspita se li può trasmettere con moltissima più forza dell’articolo giornalistico, però per farlo con più forza deve essere un’alta e grande letteratura”, Julio Cortázar.

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