Negli ultimi mesi nelle librerie avrete notato la presenza di un libro che racconta tutti i concerti italiani di Bob Dylan: il titolo è Bob Dylan In Italia, edito da Arcana, e si tratta di un vero e proprio viaggio attraverso i 100(uno) concerti di Dylan nel nostro Paese. Probabile siate stati tentati di aprirlo, sfogliarlo e indagarlo alla ricerca del concerto che avete visto, controllare se sia tutto come lo ricordate, se il racconto di quel live coincida con quello che si è fissato nella vostra memoria. E in effetti scoprirete che i due autori, Federico Boggio Merlo (torinese che lavora per la casa editrice EDT alla versione italiana della guida Lonely Planet) e Sergio Gandiglio (traduttore di portoghese ed esperto di musica rock), sono riusciti a tirare fuori un maestoso documento che testimonia tutti i passaggi di Bob Dylan in Italia. Un libro che non è solo rivolto ad appassionati e cultori di Dylan, ma anche a curiosi, lettori e collezionisti. È lo stesso Federico a garantirlo: «BOB DYLAN IN ITALIA è stato scritto con l’ambizione di poter essere in grado di rivolgersi a un pubblico di lettori estremamente diversificato: chi è stato ai concerti potrà rivivere le sensazioni provate in quelle serate, chi non ci è stato potrà capire un po’ che cosa è accaduto sul palco (nel bene o nel male), i neofiti avranno la possibilità di scoprire il mondo ‘Dylan’ e di farsi un’idea piuttosto precisa del personaggio, e infine, chi Dylan lo conosce già bene (ma è poi possibile poter sostenere di conoscere bene Bob Dylan?), avrà comunque il piacere di aggiungere alla sua collezione un libro ben fatto su questo grande artista, leggendo impressi su carta fatti e concetti di cui è magari è già al corrente o consapevole, ma che è sempre interessante scoprire nuovamente.»
Foto di Andrea Orlandi a Padova, 15/06/2010
Abbiamo intervistato i due autori per arrivare a toccare il cuore e la genesi di questo libro. In fondo sarà difficile smettere di parlare e interrogarsi a proposito di Bob Dylan da qui a cento anni: parliamo di un uomo che ha lasciato il suo marchio unico impresso sulla storia della musica e dell’arte in generale. Sin dal disco di esordio Bob Dylan del 1962 il suo talento è evidente, e ancora oggi non ha smesso di suonare sui palchi − come se il tempo intanto non fosse mai davvero passato. Ma com’è nata l’idea di raccontare le tappe dei concerti di Dylan in Italia?
«Avevo in mente di scrivere un libro su Bob Dylan da lungo tempo» dice Federico «ma il problema era trovare un argomento che non fosse stato già stato trattato in altri libri scritti su di lui. In un primo momento l’idea era semplicemente quella di far pubblicare la mia traduzione in italiano di circa 200 liriche scelte, ma la cosa non si è concretizzata per problemi legati ai diritti d’autore sulle traduzioni di Dylan (il monopolio ce l’ha Feltrinelli). A questo punto mi è venuto in mente che un bel resoconto dei tantissimi concerti tenuti da Dylan in Italia non era stato mai pubblicato, e che scrivere un libro su questo argomento poteva essere perciò una novità e, inoltre, un’idea senz’altro più originale rispetto alle traduzioni. Ne ho parlato con Sergio, che è stato subito d’accordo, e così è nato BOB DYLAN IN ITALIA».
Federico e Sergio hanno visto Dylan dal vivo in numerose occasioni, in Italia e all’estero, così sono andati a scavare tra i ricordi e vecchie recensioni scritte a caldo, hanno rivisto i video dei concerti e ascoltato le registrazioni, si sono confrontati con altri spettatori e appassionati di Dylan, tirando fuori un egregio lavoro di ricerca – qualcosa che nessuno aveva mai tentato prima. «A parte i nostri ricordi e appunti sui tanti concerti italiani di Dylan ai quali abbiamo assistito personalmente (più di metà)» dice Sergio in proposito «ci siamo documentati su internet, giornali e libri, ma soprattutto abbiamo riascoltato tutti i concerti che in effetti circolano tra noi appassionati essendo stati registrati da fonti amatoriali e abbiamo così redatto i resoconti che si trovano nel libro cercando di risultare obiettivi ma con la consapevolezza che un concerto di Bob offre emozioni e considerazioni molto diverse a ognuno dei presenti. Diciamo che è un libro che avremmo voluto leggere anche se lo avesse fatto qualcun altro…»
«Una cosa che ci tengo a sottolineare in particolare» aggiunge Federico «è che, sia io che Sergio, abbiamo sempre cercato di essere assolutamente obiettivi: BOB DYLAN IN ITALIA è certamente un libro scritto da due appassionati, ma due appassionati con i piedi ben piantati per terra.» Bob Dylan ha uno stuolo duro di seguaci in tutto il mondo, e così anche in Italia, gruppetti di persone che non si perdono mai una data, che finiscono per conoscersi e incontrarsi a tutti i concerti, che si tengono costantemente in contatto come una vera e propria rete che scorre sotterranea. Sergio ricorda che persino l’ex giudice anti-mafia ed ex-procuratore capo della Repubblica di Torino Armando Spataro compaia nel novero dei dylaniani doc. Federico li definisce ironicamente “i dylaniati”, ma aggiunge di non sentirsi un dylaniato.
Eppure nel racconto di Federico riusciamo a cogliere perfettamente l’effetto che fa Dylan, e la sua musica. «Non sono tra coloro che prendono ferie, si mettono in mutua o trascurano la famiglia per andare a vederlo in concerto; per farla breve, non sono di certo un ‘dylaniato’ (mentre ti dico questo mi viene da pensare che anche i matti sostengono sempre di non essere matti, ah ah!). Di sicuro, però, Bob Dylan è un artista di una portata tale che se inizi a seguirlo, a occuparti di ciò che fa, in un modo o nell’altro ti cambia un po’ la vita, non so se in meglio o in peggio, ma te la cambia, è inevitabile. Non è facile ‘arrivare’ a Dylan, anche perché non è che uno decida consapevolmente di volerci ‘arrivare’, a un certo punto ti ritrovi lì e basta. E’ un percorso dettato dall’inconscio, una specie di morbo sottile che si insinua in te in modo lento e impercettibile, ma che giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno si rivela in modo sempre più consistente fino a impadronirsi completamente di te. Se vogliamo fare un paragone è come una specie di droga, una droga ‘benefica’ che nel momento in cui ti cattura non se ne può più fare a meno. Questo non succede a tutti, credo che in qualche modo sia necessario essere un po’ predisposti a priori a certe cose, avere la mente aperta alle possibilità e avere un animo piuttosto sensibile. La cosa certa, comunque, è che chi non è ‘dipendente’ si perde un sacco di cose…!»
Foto 1: Alberto Ledda, Aosta (08/07/1992), Foto 2: Franco Ferrero, Torino (09/07/1998)
Una droga. Sin dal primo concerto Federico e Sergio restano incantati e travolti anche dalla dimensione live della musica di Bob Dylan. «Milano 1984 è stato il primo,» ricorda Sergio «molto emozionante anche perché si trattava della prima venuta in Italia di un Dylan ancora in dimensione “da stadio” e poi trovarsi al cospetto di una tale figura che sembrava allora quasi mitologica… Il più emozionante in assoluto l’ho però vissuto poco fuori dai confini italiani, a Juan Les Pins in Costa Azzurra nel 1992 dove tutto fu particolare, dal soundcheck aperto al pubblico nella pinetina, al fatto che Bob suonò in apertura Hey Joe, brano reso famoso da Jimi Hendrix, che non aveva mai eseguito prima e non eseguirà mai più in seguito e soprattutto per averlo avuto a due metri di distanza ad un angolo di strada dove suonavano musicisti di strada e alcuni membri della sua stessa band dopo il concerto!». Per Federico il primo concerto è quello di Torino del 13 Settembre 1987 («uno show in cui Dylan si è messo completamente a nudo suonando una scaletta assolutamente insolita e inaspettata»), che racconta diffusamente anche nel libro; mentre il più emozionante è quello di La Spezia del 2001, dove in qualsiasi momento Dylan pareva sul punto di interrompere tutto e andarsene, e poi invece continuava a suonare versioni sempre più strepitose. «Fantastico!» commenta Federico.
In effetti i concerti di Bob Dylan sono sempre diversi l’uno dall’altro: chi ha avuto il piacere di partecipare a questa cerimonia rock sa che lui si diverte a riarrangiare le canzoni, talvolta fino a renderle irriconoscibili. «Non esiste un concerto di Dylan uguale a un altro» dice Federico. «C’è sempre qualcosa di diverso. Volendo sintetizzare: gli arrangiamenti, l’approccio vocale di Dylan alle singole canzoni e il modo di suonare suo e dei musicisti, che è sempre caratterizzato da una notevole improvvisazione, sono ogni sera differenti.» Naturalmente nel libro questo lato emerge con forza: raccontare tutti i centouno concerti di Dylan vuol dire fare i conti con centouno concerti unici. «Un concerto di Dylan in qualche modo ti stupirà sempre, non sai mai bene cosa potrà succedere, e questo avviene anche oggi che le scalette dei suoi concerti sono piuttosto rigide», aggiunge Sergio. Ma Bob Dylan è fatto così, è l’uomo dalle mille sorprese e contraddizioni. Aggiunge Federico: «Sai, con Bob Dylan gli aneddoti e le cose insolite si sprecano, a partire dalla sua mania di andare in giro sempre molto coperto e incappucciato per non farsi riconoscere, e attirando in questo modo l’attenzione su di sé!».
Altro aspetto che rende Dylan unico sono le interviste, quel suo modo di rispondere sempre originale e distinguibile. All’interno del libro c’è la trascrizione della conferenza stampa di Roma del 2001, inedita e completa, tradotta da Federico, che divertirà molto i lettori. «Il sogno di ogni buon dylaniano è quello di riuscire ad usare le frasi di Dylan nella vita di tutti i giorni. Ci sono centinaia di sue frasi che fanno meditare più che divertire… “Most of the time I can smile in the face of mankind”, questa mi diverte particolarmente perché appunto me lo immagino sorridere sotto i baffi pensando a quelli che cercano ossessivamente di interpretarne ogni frase ed ogni azione artistica e non…». Già: Dylan è fatto così, anche per questo è uno dei più grandi.
Foto 1: Eros Porro, Torino (13/09/1987), Foto 2: Alberto Ledda, Torino (02/07/2015)
Quando domando se esista un artista o cantautore che in qualche modo è riuscito ad avvicinarsi a Dylan sono entrambi molto scettici. «Mah» dice Sergio «forse creando una miscela tra Neil Young, Leonard Cohen, Tom Waits e Jerry Garcia si ottiene qualcosa di simile, ma in realtà Dylan è Dylan… unico!». Federico affonda nella domanda e la declina così: a chi si è avvinato di più Dylan? «Allora mi verrebbero subito in mentre Picasso, Shakespeare, gli esponenti della letteratura americana, dai classici come Mark Twain e Walt Whitman alla Beat Generation di Kerouac, Ginsberg e compagni, tutta la tradizione troubadorica anglosassone risalendo indietro nei secoli, tanto per citare alcuni punti fermi… Ah, e poi non dimentichiamo la Bibbia, costante fonte di ispirazione per Bob Dylan. Ma ci vorrebbe un libro intero per approfondire questi argomenti, e anche bello spesso!». Tra i musicisti che hanno dichiarato di ispirarsi a Bob Dylan c’è un giovane Bruce Springsteen, che intanto è appena tornato alle stampe con Western Stars, così per un attimo indaghiamo anche quel suo tentativo. «Springsteen ha dichiarato di aver voluto in qualche modo provare a utilizzare degli insegnamenti artistici di Dylan.» dice Sergio. «Sicuramente fino ad un certo punto della sua carriera lo ha fatto, piu’ nel tipo di approccio artistico che nello specifico di testi e musica, in seguito le strade percorse sono state nettamente diverse e, ahimè, Springsteen è diventato sempre più personaggio commerciale piuttosto che di sostanza artistica.» Federico è davvero scettico in proposito: «Francamente, di Bruce Springsteen preferirei non parlare… e mi dispiace, perché devo dire di essere stato un grosso fan di Springsteen, che ho visto parecchie volte dal vivo e di cui conservo ancora una ricca collezione di bootleg rarissimi. È vero, nel 1975, con l’uscita dell’album Born to Run, il nome di Springsteen è stato accostato a quello di Bob Dylan, e forse nei primi tempi Bruce si sarà anche ispirato all’immaginario di Dylan, ma i due artisti non hanno mai avuto molto in comune, né come musica né, tanto meno, come profondità per quanto riguarda testi. Tra i due c’è un abisso… Lo dimostrano la parabola in costante discesa di Springsteen, ormai in caduta libera da parecchi anni, e l’astro luminoso di Bob Dylan, che a 78 anni suonati continua a essere un protagonista unico della scena artistica internazionale. Citi il nuovo album di Springsteen, Western Stars, un lavoro di una pochezza artistica imbarazzante sul quale la cosa migliore è sorvolare…»
Nulla da fare: è difficile essere Bob Dylan. Talmente difficile arrivare a quel livello che negli anni si sono sprecate le uscite, libri e film che hanno provato a raccontare questo eroe del folk-rock vincitore del Premio Nobel per la Letteratura. Tra le uscite più recenti, il nuovo documentario di Martin Scorsese distribuito da Netflix. Gli chiedo cosa ne pensino. «Ho visto entrambi i film documentari di Martin Scorsese su Dylan, No Direction Home, del 2005, e il recentissimo Rolling Thunder Revue.» dice Federico. «Sono entrambi molto ben fatti, ovviamente, ma devo dire che ho preferito il primo, che ha un approccio più filologico, che probabilmente è più in sintonia con le mie corde. In Rolling Thunder Revue la realtà è più artefatta, Scorsese ha deciso questa volta di imbrogliare un po’ le carte mescolando ciò che è veramente accaduto con un briciolo di fiction e alcune fake news (v. per esempio quella a proposito di Sharon Stone), e questa scelta non mi ha convinto del tutto. In compenso, però, il materiale filmato inedito di quel periodo (1975) è fenomenale, e le performance in concerto di un Bob Dylan 34enne, vigoroso e in piena forma valgono comunque tutto il film, che rimane in ogni caso un prodotto di qualità e in generale godibilissimo.» Sergio racconta: «L’ho visto il primo giorno della sua uscita e personalmente l’ho adorato. L’esperienza della Rolling Thunder Revue è stata unica per idea e realizzazione, Dylan era nel pieno della creatività e del vigore e il docufilm rappresenta uno spaccato dell’epoca (1975) imperdibile anche perché mai si era vista una tale concentrazione di personaggi di grande valore e non tutti di estrazione prettamente musicale. Inoltre Scorsese ha agito un poco come Dylan stesso nelle sue canzoni, buttando spunti qua e là senza raccontare tutto e addirittura degli elementi romanzati. Come sempre poi fantastica l’intervista recente a Dylan contenuta nel filmato dove brillano alcune sue frasi come sempre memorabili, ancor più adesso nella sua età avanzata.»
Il libro Bob Dylan in Italia è corredato da fotografie inedite scattate durante i concerti italiani di Dylan. Ma si tratta soprattutto di un libro di contenuto, ci tengono a ricordare i due autori (del resto parliamo di un tomo di oltre 500 pagine). Durante le presentazioni del libro Federico e Sergio a volte si divertono a essere accompagnati da un musicista, alternando reading e musica, e al recente Salone del Libro di Torino hanno attirato presenze e curiosi. L’interesse per Bob Dylan non sembra mai davvero esaurirsi.
Salone del Libro di Torino: gli autori Federico Boggio Merlo e Sergio Gandiglio con l’editore Arcana (foto inviata dagli autori)
E il racconto di Federico sull’importanza di Dylan non lascia dubbi: «Innanzi tutto c’è la musica, logicamente, di una potenza inarrivabile e duratura nel tempo (le canzoni dei primi anni sembrano essere state scritte stamattina); poi ci sono i testi: un caleidoscopio di immagini dai mille colori e riferimenti che ti aprono la mente con voragini di suggestioni e implicazioni che, nel momento in cui le si coglie, uno capisce di averle sempre avute nascoste dentro di sé ma di non essere mai riuscito a esprimerle (quindi nei testi uno ritrova un po’ una parte di se stesso); poi c’è il modo in cui Bob Dylan porge i testi delle sue canzoni, cioè la sua voce (e nel libro ho cercato di spiegare la magia della voce di Dylan, in grado di esprimere i sentimenti più disparati, anche nelle diverse versioni delle stesse canzoni, che alternativamente possono esprimere tristezza, rabbia, malinconia, rancore e chi più ne ha più ne metta); e infine, in ultimo ma non certo ultimo, c’è il ‘personaggio’ Dylan, un artista vero, a tutto tondo e senza compromessi, e per queste ragioni con le sue contraddizioni, le sue verità, le sue bugie, le sue scelte sempre un passo più in là, le sue stravaganze, i suoi atteggiamenti inconsueti e spesso incompresi o incomprensibili, il suo sguardo magnetico e la sua inesprimibile ‘seduzione’. Dylan è anche tutto questo, per me.»
Sergio conclude così il suo racconto su Bob Dylan. «Come disse Pete Townshend, leader degli Who e altro artista che adoro, “C’e’ Dylan e poi ci siamo tutti noi altri…”. Ecco, questo pensiero, peraltro corroborato dalla stessa idea espressa da Bruce Springsteen, Neil Young, Leonard Cohen, Tom Waits e centinaia di altri suoi colleghi musicisti e personalità varie del mondo culturale e non solo, testimoniano la grandezza di un personaggio che non pare suscitare invidia, ma solo ammirazione, affetto e rispetto. Non è un caso che gli sia stato assegnato il Nobel alla Letteratura perché Dylan ha cambiato il corso della musica con la sua capacità di scrittura di testi che non esistevano prima del suo avvento e di un accompagnamento musicale che nel 1965 ha davvero rivoluzionato il mondo del rock. E poi la voce… quella voce capace di trasmettere di tutto (gioia e tristezza, rabbia e consolazione, dolore ed estasi), per me non c’è assolutamente nessuno che abbia il feeling ed il calore di quella voce aspra e tagliente, con quelle frasi smozzicate che ti danno i brividi e quelle intonazioni uniche! Nessun altro in ambito rock, e potrei dire pochi anche nel più ampio ambito artistico in generale riescono, come Dylan, a creare una miscela così potente di emozioni nell’animo umano da sembrare di ispirazione misteriosa e quasi divina. Ma c’è di più: oltre ad essere in costante movimento, sempre un passo più avanti degli altri, ci accorgiamo che tutto ciò che ha fatto in 58 anni di carriera mantiene la stessa valenza socio-culturale e lo stesso valore artistico oggi! Mi viene in mente Kubrick, regista geniale che in qualsiasi genere cinematografico si cimentasse risultava sempre il migliore. Ecco Dylan in musica è come Kubrick.» E poi: «In definitiva quella per Dylan è davvero una magnifica ossessione!»