Sebbene i fan dei Blur, fin dalla reunion del 2009, avessero incrociato le dita per l’uscita di un nuovo lavoro, sono rimasti realmente sbalorditi quando più di un mese fa, nella cornice di un ristorante cinese di Londra, la band ha annunciato l’uscita di un nuovo album dopo sedici anni.
Era presente Damon Albarn, temporaneamente fermo dalla sua carriera solista piena di successi, che scuotendo la testa, quasi divertito, ascoltava Graham Coxon , chitarrista della band, mentre spiegava come avesse persuaso i suoi compagni, scettici, ad intraprendere la lavorazione di un nuovo album, durante una pausa di cinque giorni nel tuor del 2013 ad Honk Kong. Inoltre Coxon raccontò come, nonostante le registrazioni si fossero interrotte quasi subito, l’album possedeva già al suo interno quei piccoli elementi che lo avrebbero reso un lavoro sorprendente.
Infatti The Magic Whip è il ritorno trionfale di una band che conserva la sua identità, consentendo l’inserimento di nuove idee che infondono nel loro sound nuove combinazioni di sapori maturi e peculiari.
Prodotto da Stephen Street , l’uomo che stava dietro il vetro nei loro album di maggior successo, è composto, per la maggior parte, da canzoni che risentono delle influenze dei due personaggi di maggior spicco della band, quali Damon Albarn e Graham Coxon. L’album, infatti, racchiude in se le nuove esperienze musicali avute dai due personaggi, come la world music e l’opera per Albarn e la psychedelick folk per Coxon. Altre canzoni, invece, vengono direttamente dal repertorio passato dei Blur , che hanno sempre offerto spettacoli pieni di pogo e sbornie.
Il brano di apertura, Lonesome Street, è un richiamo al passato, caratterizzato soprattutto dal riff di Coxon e da Albarn che spende i suoi versi, beffardi, contro la cultura del consumatore globale. Segue New World Towers e l’eccitazione di rivivere gli anni 90 si attutisce appena. Il suono dub richiama il periodo successivo ai primi album prettamente britpop ma le sovrapposizioni vocali e la chitarra addolciscono il tutto. Go Out è il primo singolo dell’album e unisce le due anime del gruppo, la pacatezze e l’efficacia. Calando le sonorità di Go Out, che ricordano i Gorillaz, arriva Ice Cream Man, brano prettamente di indietronica in cui Albarn tesse una linea melodica quasi sottotono. Thought I Was a Spaceman è sicuramente la canzone più particolare ed eclettica dell’album. I suoi 6 minuti sono contrassegnati da suoni ricchi di sfumature, suoni extraterreni di matrice ambient che si uniscono con l’elettronica ad un cantato malinconico.
La seconda parte del disco è più organica e centrata. My Terracotta Heart ha sonorità nouvelle vague che ne fanno l’anima del brano, mentre There Are Too Many Of Us sembra un brano inspirato ai capostipiti dell’elettronica, i Kraftwerk.Segue Pyongyang, brano inspirato alla citta nord coreana, caratterizzato da un basso di sonorità new wave e da campioni vocali subacquei.
La chiusura è affidata a Mirrorball, canzone legata in particolar modo alla tradizione cinese soprattutto nelle vocalità. Il brano inoltre si ricollega alla copertina del disco, straniante e malinconica, che chiude il cerchio dell’album.
Se The Magic Whip dovesse essere l’ultimo capitolo dell’epopea Blur, sicuramente sarebbe un modo migliore per finire le cose, rispetto a quelli che furono i saluti dopo Think Tank. I ricordi passati e la riconciliazione da cui è nato questo album potrebbero spingere la band realmente a dire addio alle propria gioventù e ai propri fan. Ma questo album ha una musicalità così piena di idee e di nuove potenziali direzioni, che potrebbe essere il preludio di bellissimi lavori futuri. Solo se loro stessi lo vorranno.
Tracklist:
Lonesome Street
New World Towers
Go Out
Ice Cream Man
Thought I Was a Spaceman
I Broadcast
My Terracotta Heart
There Are Too Many of Us
Ghost Ship
Pyongyang
Ong Ong
Mirrorball
Parlophone, 2015