Un concerto atteso da così tanto tempo – i Blur non suonavano insieme in Italia da più di dieci anni – porta con sè delle aspettative altissime. Eppure, i quattro sono entrati sul palco del Rock in Roma 2013 sciolti, senza camminate da star, come stessero uscendo di casa per un giretto, e nel modo più semplice e dimesso Damon Albarn si è avvicinato al microfono e scrollando le spalle, come stesse parlando agli amici riuniti intorno al tavolo del pub, ha salutato il pubblico chiedendo scusa per i venti minuti di ritardo dovuti alle necessarie prove tecniche. Con lo stesso tono ha continuato a chiacchierare con la gente nelle prime file tra un pezzo e l’altro, invitando tutti a prendere una birra insieme a fine concerto. Il taglio di capelli non è cambiato, il sorriso neanche, giusto qualche ruga in più, solita giacchetta e jeans: Albarn è lo stesso ragazzaccio che potresti vedere da qualsiasi altra parte piuttosto che su un palco così importante da oltre vent’anni – al ventunesimo è arrivata la spettacolare reunion a Hyde Park, nel 2009, con box riedizione dei 7 dischi stile Beatles Anthology, al ventiquattresimo il concerto di apertura delle Olimpiadi di Londra, nel 2012.
Adesso Damon ne ha quarantacinque, di anni, ma dopo un’ora e mezza di incontenibile performance nessuno potrebbe mai crederci: un’ora e mezza spesa a ballare, correre, saltare, rotolarsi, con tuffo tra il pubblico per cantare l’intera Country House sospeso in mezzo alla folla, stringendo mani e abbracci, neanche la capitale non stesse bollendo nei quaranta gradi di questa torrida estate. Si divertono, tutti e quattro, i Blur, in questo tour sono in una forma incredibile, e nessun oserebbe mai pronunciare quella parola tristissima così spesso associata a tentativi di restituire vita a carriere da solisti defunte prima ancora di nascere e operazioni puramente commerciali: tra l’ultimo tour e questa protratta reunion non sembra essere passato neanche il break tra due dischi, Albarn e Coxon sono amicissimi e affiatatissimi, e il buon Damon si allontana sorridendo dall’occhio di bue per lasciare al genietto nerd Graham, artefice degli inimitabili riff e delle frenetche schitarrate, il posto di lead singer nel momento di Coffee and TV. Non ci sono dubbi neanche per un minuto che si stiano divertendo da matti e che quell’incontro occasionale a Hyde Park che già aveva prodotto un ristretto numero di live paralleli non potesse esaurirsi in quelle uscite sporadiche e dovesse per forza produrre altro, non solo la malinconica e beatlesiana Under the Westway, che ha introdotto il concerto di apertura dei giochi olimpici nel giubileo di diamanti della regina e che a Roma ha aperto il bis, e in cui hanno rimesso ancora una volta i panni della band britpop per eccellenza dopo gli ultimi dischi di sperimentazioni sonore come Blur e come solisti. Il concerto all’ippodromo delle Capannelle è stato un’ora e mezza di scaletta azzeccatissima con i maggiori greatest hits e alcune insospettabili riscoperte, aperta da Boys and Girls che ha immediatamente scatenato il panico tra le prime file e chiusa da un’altrettanto incontenibile Song 2, con in mezzo una scelta ben ponderata di pezzi veloci parecchio aggressivi e instensissime ballate: Popscene, Parklife e Country House gli altri momenti più esplosivi, lacrime copiose su Out of time, Caramel e Tender, un impenetrabile silenzio contemplativo su The Universal, e immancabili, tra le altre, Beetlebum, Coffee and TV, End of the Century. NME ha definito i Blur miglior gruppo live dell’estate 2013, e noi ne abbiamo avuto le prove: non saprei immaginarmi come si potesse fare meglio.
Esserci e poterlo dire in prima persona sembrava davvero indispensabile: un’attesa lunghissima grandiosamente ripagata. Adesso però, per favore, cari fab four di Londra, non fateci aspettare altri dieci anni per il prossimo tour. E prometteteci di tornare in studio prima possibile.
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Foto a cura di Michela Sellitto
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