Nella società odierna, paradossalmente iperconnessa, le diversità (etniche, culturali o sessuali) si configurano come i cigni neri di uno sguardo sul mondo spesso limitato e generalizzante. Una ristrettezza che confina tutto ciò che è erroneamente altro ai margini. Crescere ad Ilford, nella periferia di Londra, non dev’essere stato stato semplice per un eccentrico adolescente di colore. Devontè Hynes ne ricorda gli episodi di bullismo in Orlando (“First kiss was the floor”), brano di apertura di Negro Swan, ultima fatica discografica nelle vesti di Blood Orange. Ripercorrendo traumi passati e recenti, il 32enne musicista e produttore inglese mette in luce le difficoltà e le conseguenze psicologiche dell’emarginazione di chi è sessualmente, etnicamente o socialmente distante da quelle definizioni di normalità codificate dalla cultura dominante.
La ricerca di un’identità è un tema caro ad Hynes: la narrazione del precedente Freetown Sound, gioiello musicale del 2016, era ispirata alle origini africane della propria famiglia. Con Negro Swan, il concetto di famiglia oltrepassa i limiti biologici per identificarsi con quello di comunità. I sedici brani sono uniti da una costante esplorazione del senso di appartenenza ad una collettività in cui sentirsi accettati nella propria individualità. La residenza decennale nella città di New York porta Hynes a trovare quella sensazione di aggregazione nel legame con la comunità afro-americana statunitense.
L’aura di Negro Swan è intenzionalmente più cupa. Testi e musica non possono prescindere dall’estetica che accompagna il disco e ne rafforza il concetto. I videoclip realizzati per i due singoli Jewelry e Charcoal Baby o la cover che ritrae un ragazzo di colore nelle candide vesti di un angelo, costituiscono un forte manifesto visuale e celebrativo della cultura afro-americana.
Per condurci nella sua personale ricerca, Hynes si avvale di collaborazioni illustri. I monologhi di Janet Mock, sceneggiatrice e fervente attivista per i diritti dei transgender, costituiscono l’impianto narrativo del disco, approfondendone le tematiche, come accade nell’emblematico intermezzo Family; la leggenda dell’hip-hop Puff Daddy presta la sua voce in Hope (una delle vette più alte del disco) per parlarci di amor proprio, mentre A$ap Rocky e Steve Lacy arricchiscono la lista rispettivamente nell’oscura Chewing Gum, e in Out of Your League.
La produzione è cristallina: Hynes dimostra di saper fondere R&B, funk, soul e jazz in sostanza autentica. La delicatezza della sua inconfondibile voce si adagia su beat incalzanti, sassofoni, sintetizzatori, chitarre acustiche ed elettriche in arrangiamenti in cui il groove fa da padrone, nel pieno di uno stile che può definirsi ormai Blood Orange-iano. La finezza di brani come Saint e Dagenham Dream ne sono un valido esempio.
Negro Swan è il frutto di una grande maturità emotiva. Il disco rappresenta un importante traguardo per l’R&B, il cui valore è da considerare alla pari di quel Blonde di Frank Ocean del quale ne ricorda vagamente le atmosfere. La fedeltà a se stessi è pilastro fondamentale dell’esperienza umana. Per ricordarcelo, Hynes dipinge un microcosmo in cui la malinconia viaggia in parallelo con l’ardore di una speranza, mai rassegnata, che la sua visione sia un rifugio sicuro per chi vive ai margini la propria diversità.
a cura di Michele Metta