C’è poco da fare, quando si parla di arte contemporanea non riusciamo a sviluppare un pensiero critico. Se da una parte c’è il popolo di wannabe artisti fruitori di Tumblr pronti ad esaltare qualsiasi cosa venga concepita in nome dell’arte, dall’altra ci sono i fedelissimi del “potevo farlo anch’io” che dopo Gauguin hanno chiuso la porta del loro archivio mediatico e buttato via la chiave. Chissà perché non ci sogneremmo mai di paragonare Brahms ai Blur ma quando si parla di arte ecco che Caravaggio e Fontana vengono sguinzagliati sul nostro ring immaginario e sappiamo tutti come va a finire. Se c’è qualcuno però, che da questi battibecchi da internet (un tempo avrei detto da bar) sembra non essere toccato, è Bill Viola.
Nato nel 1951 a New York si dedica alla video art dopo essere rimasto affascinato dallo schermo una videocamera e dalla possibilità di sfruttare le potenzialità, ancora poco esplorate, dell’immagine in movimento.
Considerato all’unanimità il più grande video artist vivente, è riuscito negli anni a colmare l’enorme gap tra classico e moderno e a rompere con la tradizione che li vuole inconciliabili. La sua è una produzione lenta ma costante che dagli anni ’70 ad oggi è cresciuta di pari passo con il progresso tecnologico. Abbandonati i tubi catodici e i monitor disturbati ha saputo tradurre la sua arte sui nuovi supporti senza alterarne la natura e le caratteristiche che la contraddistinguono. Il blu, il nero, la luce e le ombre si mischiano e formano quadri che prendono vita davanti agli occhi dello spettatore.
Viola gioca con il tempo chiedendoci di rallentare e restare semplicemente immersi nel momento accorgendoci di quello che la visione provoca dentro di noi; un ritorno alle origini rispetto alla bulimia di immagini a cui siamo abituati.
Attingendo alla spiritualità orientale e alla simbologia cristiana crea dei personaggi senza tempo, che lottano con la vita, la morte e le esperienze comuni a tutti gli esseri umani.
Quello che si viene a creare nella mente dello spettatore è quindi un percorso di abbandono, purificazione e rinascita, una sorta di meditazione immediata che lascia con la sensazione appagante di aver compreso a fondo il messaggio dell’artista.
Sono due i momenti che hanno segnato la vita (e la carriera) di Bill Viola: la caduta da una barca all’età di sei anni e la morte improvvisa della madre. Due esperienze traumatiche che ritornano costantemente e che l’artista newyorchese ha saputo elaborare ed esorcizzare attraverso le sue creazioni.
Lo studio e l’amore per l’arte classica hanno profondamente influenzato la realizzazione delle sue opere che spesso si rifanno esplicitamente ai capolavori del passato reinterpretandoli in chiave moderna.
Quello che ne deriva è una produzione ricca di riferimenti che strizza l’occhio a secoli di storia dell’arte sapientemente metabolizzata.
La sensazione di avere già visto ciò che Viola ci mette davanti agli occhi è la prova che riesce a scavare in un background culturale comune, più o meno vasto, e tutto, dal montaggio all’illuminazione al contesto nel quale le sue opere vengono inserite, contribuisce a creare un’atmosfera sospesa che rende unica l’esperienza.
La versatilità del suo stile ha permesso ai curatori di tutto il mondo di allestire numerose mostre (ultima quella a Palazzo Magnani di Reggio Emilia) in cui i lavori di Viola, attraverso confronti diretti, dialogano apertamente con opere del passato mostrando una continuità che difficilmente riusciamo a cogliere altrove.
La scelta del video permette di comunicare facilmente con lo spettatore moderno che trova così un accesso più semplice e immediato alle opere.
È un’arte d’impatto, viscerale, che smuove l’istinto e lo fa senza troppi artifici, trasportandoci in un mondo ovattato lontano dalla frenesia del mondo reale.
Bill Viola ci ricorda finalmente che l’arte non è per pochi eletti ma la risposta naturale a una ricerca che tutti in un modo o nell’altro portiamo avanti.
“Art is, for me, the process of trying to wake up the soul. Because we live in an industrialized, fast-paced world that prefers that the soul remain asleep.”