Big Brother is not watching you

I Romani sostenevano che non ci fosse nessun legame forte e inscindibile come quello tra fratelli. I genitori sono destinati a venire a mancare, lasciandoci orfani e spaesati tra le grinfie del vasto mondo, gli amici vanno e vengono, gli altri parenti, si sa, fanno spesso rima con serpenti. L’unico che non ci abbandonerà mai è un fratello. E non si tratta solo di consanguineità, bensì dell’essere cresciuti insieme, di aver condiviso le medesime gioie e dolori, di essersi costruiti, come adulti, tramite le stesse identiche tessere del puzzle. Magari gli incastri saranno differenti, ma il quadro finale, una volta composto, sarà simile. Il fratello diventa allora colui su cui poter contare sempre, il modello da seguire se è maggiore o da educare se minore, l’altro simile a sé con cui confrontarsi perché se ne condivide la visione del mondo. Il problema sorge quando questo modello viene meno.

Siamo a Scarborough, una periferia di Toronto che si apre appunto come una cicatrice sul bel volto della città canadese. Se il nostro immaginario comune ci spinge a immaginare il Canadà come il vasto paese dalle piccole casette in legno popolato da alci, ranger in giubba rossa e innaffiato da sciroppo d’acero, David Chariandy ci porta, con il suo Brother (edito da Chiarelettere), in una realtà alquanto diversa, squisitamente pan-americana. La distinzione tra USA e Canada è annullata, Scarborough potrebbe benissimo essere un sobborgo di Atlanta, Detroit, di una qualsiasi delle grandi metropoli del continente nordamericano. A ben vedere, potrebbe essere anche una periferia italiana, di Milano o Torino, ma su questo torneremo dopo. Michael, il protagonista, è un canadese di seconda generazione: sua madre è nativa di Trininad, e come tanti altri caraibici e africani è arrivata anni fa nella grande America con il suo bagaglio di sogni e speranze. Michael, quindi, sarebbe a tutti gli effetti canadese – parla inglese, guarda le serie tv americane, mangia hamburger e patatine – non fosse per quella sua pelle un po’ troppo cotta dal sole, per quei suoi capelli un po’ troppo crespi, per quel suo essere stato confinato, senza possibilità di scelta, in un meltin-pot periferico fatto di immigrati che fusi e amalgamanti con i locali non si sono per niente, e che quindi vivono in un semplice pot, una pentola a pressione costantemente sul punto di scoppiare.

Michael è in quell’età sospesa tra giovinezza ed età adulta. Lavora – in nero, of course – come magazziniere e i pochi soldi che racimola li porta a casa per rimpinguare lo stipendio della madre, che era sbarcata da Trinidad sognando di diventare infermiera e si è ritrovata donna delle pulizie. Sulla loro esistenza, già povera, difficile e priva di orizzonti, aleggia però anche un altro fardello. O meglio un fantasma. Il fantasma di colui che per Michael avrebbe dovuto essere guida, modello e sostegno e per la madre la ragione per alzarsi ogni mattina dal letto e andare a lavorare: Francis, il fratello maggiore di Michael. Francis, che era un ragazzo sveglio, dolce, a cui la realtà intorno stava stretta. Francis, che è morto. Ammazzato.

Nei flashback che costellano il libro, Chariandy ci fa conoscere questo ragazzo che non c’è più. Un ragazzo che, altrove, sarebbe stato come tanti altri, col suo bel futuro aperto davanti come una margherita a cui scegliere quale petalo piluccare. Ma altrove non è Scarborough. Lì, in quel quartiere ghetto, il suo destino è già segnato in partenza: gli insegnanti lo ignoreranno, la polizia lo fermerà spesso e senza troppi complimenti, i borghesi lo guarderanno con sospetto. Ma, a un certo punto della sua vita, c’è stato un sogno. Il sogno ha le fattezze, non proprio raffinatissime, di un barbershop, il Desirea. Lì, i ragazzi del quartiere si riuniscono, formando una sorta di gang che guarda con ammirazione alla scena rap americana. Ma qui non ci sono gioielli vistosi, montagne di contanti e armi spianate. Non siamo ad Harlem. Qui, c’è solo la voglia di stare insieme, di fare gruppo per trovare un’identità, di avere un sogno da coltivare. Il sogno, di Francis e dei ragazzi del Desirea, a cui anche il giovane Michael si avvicina, è di imporsi come dj: mixare stili, generi, le loro origini e il loro presente per creare una musica nuova, che parli di futuro e soprattutto parli a tutti, senza escludere nessuno.

Brother, però, non è una fiaba. I sogni son desideri, ma tali rimangono. Il principe azzurro è in realtà un produttore in camicia bianca che per la musica, potente, emozionante e bellissima della crew di Scarborough non ha orecchie. Frustrazione, rabbia e delusione borbottano nella pentola pronta a scoppiare. Francis non può diventare principe: sguattero è e tale deve rimanere. Le alternative sono due: fuggire da questa realtà, andare lontano e ricominciare da zero, come fanno alcuni, o adeguarvisi, chinare la testa e accettarla, come farà Michael. Francis invece sceglie la terza via: alzare la testa per affermare la sua dignità. Nient’altro. Niente violenza, niente sotterfugi, niente cattiveria. Solo il desiderio, bruciante e insopprimibile, di essere qualcuno a prescindere dalle etichette che sono state imposte. Strada sbagliata. Perché, in fondo a questo cammino, ti attende la pallottola di un poliziotto.

Così, nel ghetto, rimangono una madre sconsolata, uno zombie che ha perduto ogni linfa vitale, e un fratello minore, sulle cui spalle gravano i pesi del mondo intero. Certo, siamo in Canada, come potremmo essere in America. Ma, come detto, potremmo anche essere in alcuni quartieri di Milano, Roma, Napoli o Torino. I ghetti ci sono e rimangono, popolati da fantasmi perseguitati da altri fantasmi. Il 25 aprile si festeggia in Italia la festa della Liberazione. Una festa che negli anni è stata politicizzata, vivisezionata, strumentalizzata. E per questo svuotata di valore. Il suo vero senso dovrebbe essere una liberazione costante, non ancorata al passato ma proiettata al futuro. Una liberazione dalle catene che noi stessi ci siamo imposti: classismo, sessismo, razzismo e segregazione. Per capire finalmente che non solo Michael, ma noi tutti siamo fratelli di Francis.

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