Lo scopo di una classifica dei migliori album dell’anno non è certo quello di mettere i dischi in ordine e assegnare dei numeri in base a calcoli, preferenze, importanza o astrologia: anche quest’anno L’indiependente vuole offrire una panoramica al lettore di quello che valeva la pena ascoltare durante l’anno. Nella nostra proposta di 50 dischi usciti nel corso del 2018 troverete qualcosa da recuperare o riascoltare, da amare o odiare a seconda dei vostri gusti e umori. E allora tenete le orecchie aperte e buon ascolto.
50. PARCELS – PARCELS
Kitsunè
Parcels è un album freschissimo e allegro che fa piacere ascoltare e si pone come catalogo illustrato del pop e come bellissima novità musicale di questo 2018. La capacità dei Parcels di fare proprio lo spirito del passato e quella tendenza a trovare la quadratura del cerchio tra discodance e voglia di far innamorare che ha dominato la scena musicale e la pista da ballo in passato emerge spesso nel disco, complice il reparto canoro e la loro abilità di tenere assieme tutti gli aspetti attraverso cui il pop ha definito ciascuna decade. (Recensione)
49. A PLACE TO BURY STRANGERS – PINNED
Dead Oceans
Oliver Ackermann risorge dalla fine di una storia di pedali con quello che forse è il disco più accessibile degli A Place To Bury Strangers, Pinned. Ma non pensate di poter fare a meno dei vostri tappi per le orecchie la prossima volta che li vedete dal vivo. Perché gli A Place To Bury Strangers sono così: hanno un talento ormai perfezionato nel ribaltare a proprio favore qualunque situazione critica e, anche quando non riescono a ricreare su disco la violenza compressa dei loro concerti, quello che non abbandonano mai è un’attitudine, una vocazione, un istinto. (Recensione)
48. APHEX TWIN – COLLAPSE
Warp Records
Collapse non è di per sé un disco accessibile, ma è di per certo un lavoro che rispecchia a perfezione i migliori elementi dell’opera di James. Inoltre ha un modo caldo e seducente di invitare ad approcciarsi ad un ermetismo così crudo, forse garantito proprio dal fatto che si tratta di un disco (e di un artista, soprattutto) totalmente liberato dalla convenzione. In breve, è il classico Aphex Twin: camaleontico, stimolante, imprescindibile. (Recensione)
47. J MASCIS – ELASTIC DAYS
Sub Pop
In Elastic Days J Mascis descrive situazioni che appaiono come brevi incisi di vita quotidiana, cercando un equilibrio tra lo spirito cantautorale e il repertorio Dinosaur, che a partire dagli anni Ottanta ha influenzato l’indie rock. Ne risultano ballad ricche di pattern acustici, alternate a escursioni elettriche che rimandano la memoria al gruppo fondato insieme a Lou Barlow, e tendono ad esplodere. (Recensione)
46. COLIN STETSON – HEREDITARY
Milan Records
Colin Stetson rappresenta, oggi, un punto d’arrivo capace di convogliare dentro la sua produzione tanto il jazz quanto l’avanguardia senza tralasciare eccellenti collaborazioni con Arcade Fire, Bon Iver e Tom Waits. Questa volta ci incanta con la colonna sonora per il film horror Hereditary, ed è dolce perdersi in questo strumentale sogno oscuro evocato dalla musica di Stetson.
45. CLOUD NOTHINGS – LAST BUILDING BURNING
Carpark Records
Registrato furiosamente in otto giorni nello studio texano Sonic Ranch, Last Building Burning conferma la vocazione noise rock dei Cloud Nothing. Sono ancora loro, solitari, in fiamme e a pezzi. Testi brevi, incisivi e urlati fino ad essere quasi incomprensibili nel microfono, con la violenza di qualcuno che sta precipitando da una ponte. In una parola? Heaviness. (Recensione)
44. DAVID BYRNE – AMERICAN UTOPIA
Nonesuch Records
American Utopia è un disco leggero, molto più leggero di quanto il suo titolo possa suggerire e molto più di quanto non lo siano le aspettative di un nuovo album solista dopo quattordici anni di collaborazioni. Sono solo dieci storie, dieci fiabe distorte e distopiche che ogni adulto vorrebbe ascoltare prima di andare a dormire. Ed è questa, a mio parere, l’utopia, americana o universale che sia: la leggerezza. Un Byrne in eterna forma. (Recensione)
Everybody’s Coming To My House
43. CAR SEAT HEADREST – TWIN FANTASY
Hate Crime Entertainment
Twin Fantasy dei Car Seat Headrest era uscito sotterraneo nel 2011 su Bandcamp dal genio di Will Toledo, è tornato quest’anno in versione ri-registrata e modificata per Matador Records. Per i cultori della band una chicca che era già un piccolo successo di nicchia su Bandcamp. Per tutti gli altri un gran ritorno dei Car Seat Headrest dopo il successo di Teens of Denial. Non si può fare a meno di un certo tipo di sound.
42. KURT VILE – BOTTLE IT IN
Matador
Lunghe strade che ci collegano a periodi passati, che aleggiano in atmosfere sognanti, fatte di loop e arpeggi di chitarra. C’è una parola, ripetuta in Bottle It In, che ne racchiude lo spirito e lo stile: backwards. A rovescio, indietro. Tutto, all’interno di questo album, è giocato su questo piano da un classico Kurt Vile. Quello che preferiamo ascoltare a ripetizione. (Recensione)
41. UNKNOWN MORTAL ORCHESTRA – SEX & FOOD
Jagjaguwar
Questo viaggio tra sesso e cibo ci racconta che lo psych-rock può ancora riconfigurarsi, mescolarsi, rinnovarsi: e se è possibile farlo gli Unknown Mortal Orchestra sono la band più indicata, perché hanno il talento e la curiosità. Registrato tra diverse città del mondo, Sex & Food è un disco mobile, di ricerca, di confronto, che ci invita a non fermarci. Per distorcerci con i volumi tenuti altissimi. (Recensione)
40. A PERFECT CIRCLE – EAT THE ELEPHANT
BMG Rights Management (US) LLC
L’attesa spasmodica (quanto puntualmente disillusa) del nuovo album dei Tool, ci aveva fatto dimenticare che in realtà gli A Perfect Circle mancavano dai cataloghi da un tempo ben più lungo. In pratica, da una preistoria in cui Facebook era ancora un’ipotesi e le ambizioni di Trump si fermavano agli Emmy Awards. Eppure, Maynard Keenan e Billy Howerdel, nonostante i 14 anni di assenza, non hanno perso né il vizio di saper essere attuali (musicalmente e nei contenuti), né quello di accettare (e vincere sul campo) sfide complicate come quella di provare a rimanere una band che conta, con tutta la grandeur sfacciata che la cosa richiede. Eat the Elephant è l’asso che calano sul tavolo, incuranti del tempo che ci metteremo a digerirlo.
So Long, And Thanks For All The Fish
39. DANIEL AVERY – SONG FOR ALPHA
Mute Records
A Daniel Avery piace ancora farci abbandonare il corpo e perderci nei suoi beat. Il suo ritorno con Song For Alpha è ipnotico, ci guida fino alla fine della notte da club. Se l’esordio Drone Logic celebrava il dancefloor, Song For Alpha sembra avere un effetto più mentale in cui abbandonarsi è il mantra percettivo.
38. FANTASTIC NEGRITO – PLEASE DON’T BE DEAD
Cooking Vinyl
Lasciamo pure da parte la storia travagliata di Xavier Amin Dphrepaulezz aka Fantastic Negrito, e parliamo di questo disco che mescola tutta l’energia della black music in salsa blues, funk e soul. Basterebbe questo per accedere al meraviglioso mondo di Please Don’t Be Dead: è la strada a guidare il suono, e noi la percorriamo tutta a ritmo.
37. CALVIN JOHNSON – A WONDERFUL BEAST
K Records
56 anni suonati (in tutti i sensi) da eroe dell’indie DIY del Pacific Northwest: la storica label K Records, i Cool Rays, i Beat Happening, i Go Team and gli Halo Benders. Senza contare (quella sì che fa curriculum) una soundtrack per Bojack Horseman. In mezzo a tutto questo daffare Calvin Johnson arriva così solo adesso al terzo album solista (dopo tredici anni di attesa in questo senso), ma continua a non sbagliare un colpo. Se il rock’n’roll è morto, a quanto pare lui non era in copia nella mail con cui la cosa è stata comunicata. Ed è un bene per tutti.
36. DJ KOZE – KNOCK KNOCK
Pampa Records
This Is My Rock dice il titolo di uno dei pezzi di Knock Knock, e sembra quasi un manifesto di intenti con cui DJ Koze presenta questo nuovo lavoro. Collaborazioni con Josè Gonzalez, Kurt Wagner dei Lambchop, Roisin Murphy, danno il tono della sperimentazione e della ricerca di suono del dj tedesco. Questo è il mio rock – ci dice: provate a sentire come suona nel 2018.
Illumination feat. Roísín Murphy
35. JANELLE MONÁE – DIRTY COMPUTER
Bad Boy Records
Dirty Computer è il quarto album in studio di Janelle Monáe ed è quello della sublimazione: dopo le parentesi cinematografiche da Oscar (in Moonlight e Il Diritto Di Contare), l’artista cresciuta a Kansas City ritorna allo stadio musicale con quello che è stato definito il suo album più ambizioso e personale. In Dirty Computer c’è un po’ di tutto e tutti: dal funk di Prince in Make Me Feel alla nuova svolta elettronica di Brian Wilson nella title-track; dal “cameo” di Zoë Kraviz (figlia di Lenny) in Screwed ai succhi pop di Pharrell Williams in I Got the Juice fino a Grimes in tinta rosa con un video pieno di vagine. Nell’album, Janelle si fa portavoce del cosiddetto “empowerment” femminile, dei diritti delle comunità LGBT e Afro-Americane, trasmette tutta la rabbia della donna che dal ghetto si è trasformata in un’androide, eroina del genere fluido e della musica funk.
34. SOPHIE – OIL OF EVERY PEARL’S UN-INSIDES
MSMSMSM/Future Classic
L’album che consacra il talento sintetico della produttrice sperimentale SOPHIE è uscito fuori quest’anno, e sembra che Oil of Every Pearl’s Un-Insides sia solo il preludio ai futuri nuovi lavori già in progetto. Oscura, letale, cibernetica, scommettiamo su di lei oggi e domani.
33. BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB – WRONG CREATURES
Vagrant Records
I Black Rebel Motorcycle Club sono tra quelli che ancora, nel 2018, riescono a suonare rock senza risultare ridicoli, cosa che, a dispetto dell’ovvietà del concetto, non è affatto un risultato scontato. In un momento in cui la legittimità e l’eredità del rock sono costantemente messe in discussione e in cui il rock stesso si vede sempre più relegato ai margini in termini di presenza nella cultura pop, Wrong Creatures ci dà una risposta secca e sana, ampiamente argomentata a suon di ottimi pezzi. (Recensione)
32. CAT POWER – WANDERER
Domino Records
La storia di Cat Power è quella di una donna che ha sempre affrontato la vita a cuore scoperto, incapace di silenziare le proprie emozioni davanti a se stessa e agli altri. Il pubblico che la segue da tempo lo sa e ha imparato ad apprezzare il suo mondo anche per le contraddizioni che lo caratterizzano. Scelte illogiche e reazioni non sempre lineari la accompagnano spesso sul palco rappresentando da una parte un fardello pesante da portare, ma dall’altra anche un punto di forza. Wanderer è l’album delle decisioni sbagliate, dei sentimenti che abbattono il muro della razionalità e della nostalgia che risiede nei frammenti di ricordi e nei piccoli gesti di tutti i giorni. (Recensione)
31. THE GOOD, THE BAD & THE QUEEN – MERRIE LAND
Studio 13
Merrie Land ha il pregio di provare a raccontare la condizione umana e contemporanea di stranieri e disertori che nessuno ci sta ancora raccontando. Lo fa al ritmo viscerale di una vecchia cara Inghilterra, dal sapore sognante e nostalgico. Dopo undici anni di silenzio tornano i The Good, The Bad & The Queen con un disco che ci fa immergere nell’autentico spirito britannico devastato dalla Brexit, tra echi beatlesiani e canti d’amore per una terra immaginata. Damon Albarn è irrefrenabile. (Recensione)
30. EARL SWEATSHIRT – SOME RAP SONGS
Tan Cressida/Columbia
Quindici canzoni per un totale di appena ventiquattro minuti: Some Rap Songs segna il ritorno di Earl Sweatshirt con un disco sporco, rude, diretto che fin dal titolo indica una strada chiara, netta, decisa. Senza ridondanze né fronzoli il ventiquattrenne rapper di Chicago non ha paura di affrontare i propri demoni: l’ansia che l’ha tenuto lontano dal palco, la depressione, la morte del padre alla vigilia di un’attesa riconciliazione sono affrontate attraverso liriche che esplorano i sentimenti della paura, del disagio mostrando una fragilità estranea a certe pose del suo ambiente. Un fluire continuo di beat, barre, sample immerso dentro a un universo sonoro che mescola rap, hip hop, avant-garde e off tune jazz. Un disco che fa dell’introversione la sua cifra più forte, che disorienta e affascina, che respinge e attira a sé.
29. MAC MILLER – SWIMMING
Warner Bros. Records
Il quinto e, purtroppo, ultimo album di Mac Miller – l’enfant prodige dell’hip hop americano degli ultimi anni – è uno di quelli da ascoltare al tramonto; magari al ritorno da lavoro quando si tirano le somme della giornata e si ripensa a tutto quello che si è fatto fino a quel momento. Proprio come la vita da Mac, dai primi mixtape al successo planetario fino alla travagliata storia d’amore con Ariana Grande. Il titolo Swimming si riferisce al tema che attraversa tutto l’album: “Stavo affogando/Ma ora sto nuotando tra acque piene di ansia e sollievo.” – canta in Come Back To Earth. È un album maturo che va oltre l’hip hop e tocca il soul, il funk e l’R’n’B grazie anche a collaborazioni di alto livello: J. Cole, Dev Hynes (Blood Orange), Snoop Dogg, Flying Lotus e Thundercat per citarne alcuni. Sembrava aver superato i suoi demoni, o che almeno li stesse combattendo, come racconta nell’ultima intervista, pubblicata il giorno prima della sua morte.
28. DAUGHTERS – YOU WON’T GET WHAT YOU WANT
Ipecac Recordings
Uno dei dischi più estremi, sporchi e duri dell’intero anno. Già annunciato da una copertina che ha qualcosa di letale come un teschio disarmante, You Won’t Get What You Want dei Daughters è l’album che farà al caso vostro per scaricare via ogni rabbia. Provare per credere.
27. THE SOFT MOON – CRIMINAL
Sacred Bones Records
Criminal è un trionfo di cemento armato, grigiore, metallo e vecchi televisori che non prendono il segnale. The Soft Moon cambia, procede pur restando cristallizzato nella sua dimensione di dolore e cupa introspezione, di cui amplia l’analisi grazie ad ulteriori sfaccettature. Un dolore lacerante ma più astratto, endemico in un mondo meccanico, freddo e spersonalizzante. Un dolore per il dolore. (Recensione)
26. ST. VINCENT – MASSEDUCATION
Loma Vista Recordings
St. Vincent si spoglia di tutti gli eccessi del precedente MASSEDUCTION – dalla neo-Pop Art delle grafiche à la Toilet Paper Magazine al glamour delle chitarre distorte – e registra una versione solo “Piano & un Microfono” delle stesse canzoni, con Thomas Bartlett. Una sorta di unplugged ma più minimalista e più intimo: ascoltandolo, ci si sente proprio nella stessa stanza con i due eroi queer. Annie Clark si mette a nudo, il risultato è divino. (Recensione)
25. KAMASI WASHINGTON – HEAVEN AND HEART
Young Turks
Heaven and Hearth è un album lungo, complesso che si presta ad essere ascoltato davvero da tutti perché ognuno avrà l’opportunità di trovare un brano, un assolo, un frammento a lui congeniale e che costituirà la chiave d’accesso per entrare nel mondo del sassofonista losangelino e apprezzarne le sfumature, le capacità musicali (sue e della band) e cogliere la bellezza di una musica che annulla le differenze ma che, come un pittore, sa far nascere il meglio di ogni singolo dal suo essere affiancato al diverso. (Recensione)
24. THE INTERNET – HIVE MIND
Columbia Records
Hive Mind è la perfetta realizzazione del progetto The Internet. Un esperimento ricco di espedienti, di innovazioni che gridano alla rivoluzione musicale. Un masterpiece suonato e composto con vera gioia. La musica torna a essere un gioco che, in quanto tale, necessita di una conoscenza profondissima delle regole per poter essere cambiato. Provate per credere.
23. THOM YORKE – SUSPIRIA
XL Recordings
Suspiria è certamente il disco più importante dello Yorke solista. The Eraser come Tomorrow’s Modern Boxes del 2014 avevano mostrato sì brani convincenti ma anche troppe ombre e riempitivi. Qui, invece, alle prese con una materia differente, che solo di struscio si lascia piegare da forme più direttamente pop, Yorke si offre in tutta la sua parte più sperimentale riuscendo alla fine a contenere tutti i deragliamenti – che pure sarebbero stati possibili – all’interno di un impasto sonoro variegato ma assolutamente coeso. (Recensione)
22. PARQUET COURTS – WIDE AWAKE!
Rough Trade Records
Andrew Savage e soci non si aspettano che condividiate la loro musica su Facebook, vi invitano invece a consumare i loro dischi, ad andare ai loro concerti, a far risuonare Wide Awake! come sfondo della vostra quotidianità. Potere delle chitarre. Potere di graffiare con le parole. Potere di dichiarasi contro, contestare, fare musica autenticamente viva. I Parquet Courts sono ancora una volta indomiti. (Recensione)
21. GORILLAZ – THE NOW NOW
Parlophone
Ebbene sì, abbiamo due dischi firmati Damon Albarn in classifica, e questo album dei Gorillaz è probabilmente quello più Albarn-centrico delle loro produzioni. Potere degli ologrammi, nel giro di un anno i Gorillaz continuano ad animare la scena musicale con due album in serie: Humanz e The Now Now. (Recensione)
20. SKEE MASK – COMPRO
Ilian Tape
Con Compro Skee Mask immerge le mani senza remore nel campo dell’ambient, della IDM e della jungle, creando qualcosa di totalmente nuovo. Il disco ha una solida struttura composta da un continuo alternarsi tra parti più lente, scandite dai bassi sub-anthem, e sezioni ritmiche repentine, su cui si innestano, impreziosendole, batterie fluttuanti, morbidi pattern e raffinate melodie. La strada imboccata è quella del superamento della techno, in un accenno di rivoluzione silenziosa che pare ormai essere alle porte. Il paragone con il genio della sperimentazione Aphex Twin, non suona azzardato. (Recensione)
19. TIRZAH – DEVOTION
Domino Records
Quello di Tirzah Mastin non è un nome nuovo nel panorama R&B britannico: aveva esordito nel 2013 con un EP in compagnia della fidata Mica Levi. Devotion viene fuori dalla stessa coppia di musiciste, un fulminante esordio in LP che raccoglie un pop sperimentale con vocazione R&B che viene fuori con delicatezza. La bellezza struggente delle canzoni d’amore che compongono il disco vi conquisterà facilmente.
18. INTERPOL – MARAUDER
Matador
16 anni dopo Turn On The Bright Lights, con il sesto album Marauder, il trio indie-rock newyorkese dimostra di essere ben lontano dall’appendere la chitarra al chiodo. Se sugli Interpol si agita da sempre la spada di Damocle di chi ha avuto il gran successo, si può dire che con Marauder riescano nell’impresa di sfatare il mito, consegnandoci un album godibile, sincero, che fa rivivere quelle atmosfere in stile Interpol che abbiamo imparato ad amare. (Recensione)
17. COURTNEY BARNETT – TELL ME HOW YOU REALLY FEEL
Mom + Pop Music
Courtney Barnett vuole sapere come state. Per questo ha pubblicato un album che suona come una sessione di psicoterapia su chitarra elettrica, ideale per questi tempi da Xanax. L’ansia e lo stress da burnout infatti sono temi centrali della maggior parte delle canzoni; in Hopefulessness, Need a Little Time e Help Your Self, è come se la musicista di Melbourne ci prendesse tra le braccia e con una mano sul capo ci dicesse: “è okay avere una brutta giornata / prenditi del tempo per te/hai troppe cose sul tuo piatto”. E allora è un disco che di tanto in tanto andrà sentito. (Recensione)
16. ARCTIC MONKEYS – TRANQUILLITY BASE HOTEL & CASINO
Domino Records
Tranquillity Base Hotel & Casino è la scommessa creativa di Turner, che ha avuto l’effetto di spaccare l’affezionato pubblico degli Arctic Monkeys in due parti. Il regalo del manager della band a Turner per il trentesimo compleanno (un pianoforte) è servito ad aprire nuove strade e nuove visioni all’intero percorso artistico del gruppo, senza scongiurare le controversie in proposito. Ma è la musica la vera protagonista di Tranquillity, e questo cambio di marcia sembra lasciar presagire che questo disco sia solo un aperitivo. Chiudete gli occhi, e godetevi i nuovi Arctic Monkeys. (Recensione)
15. YOUNG FATHERS – COCOA SUGAR
Ninja Tune
Cocoa Sugar è il terzo album in studio del trio britannico, nonché la più musicalmente matura delle loro prove. Di rap, o hip-hop, rimane giusto uno scheletro nelle ritmiche del cantato, mentre le contaminazioni sono molteplici, a partire dal massiccio uso di cori di ispirazione smaccatamente gospel. Ma ancora, funky, drum’n bass, r’n’b: una fusione di suoni che crea un mix perfettamente bilanciato e contemporaneo. Se è innegabile che l’evoluzione del rap passa anche attraverso i territori della melodia, è altrettanto vero che gli Young Fathers fanno a pieno titolo parte di questo nuovo che avanza. (Recensione)
14. BLOOD ORANGE – NEGRO SWAN
Domino Records
La ricerca di un’identità è un tema caro ad Hynes: la narrazione del precedente Freetown Sound era ispirata alle origini africane della propria famiglia. Con Negro Swan, il concetto di famiglia oltrepassa i limiti biologici per identificarsi con quello di comunità. I sedici brani sono uniti da una costante esplorazione del senso di appartenenza ad una collettività in cui sentirsi accettati nella propria individualità. La residenza decennale nella città di New York porta Hynes a trovare quella sensazione di aggregazione nel legame con la comunità afro-americana statunitense. Una produzione cristallina, in cui Hynes dimostra di saper fondere R&B, funk, soul e jazz in sostanza autentica. (Recensione)
13. SPIRITUALIZED – AND NOTHING HURT
Bella Union Records
And Nothing Hurt è un bel viaggio, dove gli Spiritualized non lasciano niente al caso. Ogni suono è studiato, il gruppo si è preso cura del disco e ne ha fatto un concept sul fluttuare continuo che è la vita. Nove ballate che vi faranno a pezzi, ma vi inviteranno anche a sognare. Un disco che riesce nell’effetto di sospenderci: ancora una volta la musica degli Spiritualized fa staccare i piedi da terra, e ci porta in viaggio nello spazio. Letale. (Recensione)
12. BEACH HOUSE – 7
Sub Pop
7 come i dischi dei Beach House. E ancora una volta le atmosfere sono quelle tipiche: tristezza e piacere sono legati a doppio filo, in bilico tra sensazioni oscure e atmosfere rarefatte. Nato tra gli studi di Baltimora e Los Angeles, il nuovo album dei Beach House ha un’aura sofisticata, che conferma il talento da fabbricatori di suoni della band. Ancora una volta ci lasciamo sedurre e avvolgere. (Recensione)
11. SHAME – SONGS OF PRAISE
Dead Oceans
Cresciuti sul soppalco del Queen’s Head pub di Brixton con i Fat White Family a far loro da tutori e gente come i Fall e Gang Of Four sparati nelle cuffie, gli Shame debuttano nel music business con un disco pressoché perfetto: dieci pezzi senza fronzoli a cui si fa fatica a trovare anche un solo difetto. Post-punk sfrontato e spigoloso, fatto di anthem di un’ironia feroce e assai più matura di quella che ci si attenderebbe da dei ventenni appena. Il disco che aspettavamo ormai dai tempi di Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not degli Arctic Monkeys.
10. EX:RE – EX:RE
Glassnote Records
La ferocia dei sentimenti di Ex:Re, in questo album a tratti straziante e commovente, rappresenta un punto di svolta per la comprensione più vera di Elena Tonra come persona e come artista, non solo per quanto riguarda i Daughter, ma del suo apporto alla band in quanto autrice e compositrice. Affrontando un discorso così profondo ne dà un’immagine coraggiosa e incantevole, anche nel buio, anche nella perdita, confermandola fra le migliori voci dell’indie britannico. Difficilmente replicabile, straordinariamente accogliente. (Recensione)
9. JULIA HOLTER – AVIARY
Domino Records
Aviary è la messinscena stessa del caos, un disco che rinuncia a una sintesi delle forme, che per sua stessa natura non chiede di trovare alcuna quadra e non cerca perfezioni ma offre al pubblico una strada artistica in cui il disordine non è violenza, ma è assorbito all’interno di meccanismi sonori ed estetici dai quali si viene sopraffatti e verso i quali è difficile non provare stordimento e piacere. È il lavoro più complesso della Holter, un inno alla libertà musicale e a quella artistica rispetto al mercato, alla ripetitività del successo e dei canoni, persino rispetto a se stessi. (Recensione)
8. A.A.L. (AGAINST ALL LOGIC) – 2012-2017
Other People
Togliamoci subito dalla testa l’equivoco che questo disco risulti solo una chicca per i fanatici di Nicolas Jaar. Il talento da montatore e compositore di Jaar è limpido anche in questo lavoro, che riesce a mescolare le più disparate direzioni e tendenze, giocare con suoni che vengono dagli anni Ottanta e mescolarli a quelli più contemporanei, arrivando a passare dal gospel all’hip hop senza mai dimenticare l’anima elettronica. Che Nicolas Jaar fosse un talento non lo scopriamo certo ora: Against All Logic è una conferma. (Recensione)
7. MITSKI – BE THE COWBOY
Dead Oceans
Con Puberty 2 Mitski si era già annunciata come la nuova promessa dell’indie rock, con Be The Cowboy riesce a mantenere le attese affinando il suono e consegnandoci un disco fresco, dalle sonorità pop e affascinanti. La compositrice americano-giapponese non è più solo una promessa, con questo disco accede al ruolo di protagonista della musica contemporanea, e ora arriva la sfida più difficile di tutte: confermarsi. Non essere solo una meteora sarà la prova più complessa. Ma Mitski ha tutto il talento per vincerla.
6. ICEAGE – BEYONDLESS
Escho
Al quarto album in studio i danesi Iceage ricevono la consacrazione di critica e pubblico dopo quella di Iggy Pop, padre spirituale della band che li aveva definiti oscuri e pericolosi. Beyondless mantiene viva l’oscurità glaciale tipica degli Iceage, ma va oltre la dimensione più punk puntando a essere il disco della maturità rock del gruppo. Un rock scuro e raffinato, probabilmente più pop e accattivante, meno pericoloso, ma spiazzante per il risultato con i suoi suoni freschi. Copertina che fa sanguinare.
Pain Killer (feat. Sky Ferreira)
5. YVES TUMOR – SAFE IN THE HANDS OF LOVE
Warp Records
Sean Bowie ha un nome pesante che è meglio nascondere dietro a un moniker e tutto il talento necessario per reggerne il fardello a prescindere. Safe in the Hands of Love, il terzo album a firma Yves Tumor, è ridefinisce i concetti di “pop” e “sperimentazione” in un unico magma incandescente che fonde Arca con Sophie: tanto scioccante quanto accessibile, esplosivo e imponente nella sua purezza primitiva. Se la musica del futuro è questa, ci aspettano giorni inquieti che sapranno darci, se ci metteremo del nostro a scovarle, grandi soddisfazioni.
4. NILS FRAHM – ALL MELODY
Erased Tapes Records
Nell’universo musicale odierno, così flagellato dall’esigenza di voler inscatolare e catalogare ad ogni costo, affibbiando ai dischi insipide e preconfezionate etichette di genere, vi sono fortunatamente ancora anfratti a cui solo pochi eletti hanno il privilegio di accedere, rifuggendo –abili- a qualsivoglia razionalizzazione della loro arte. Il berlinese Nils Frahm appartiene a pieno titolo a questa schiera, paladino di quel segmento di raccordo che colma il divario tra l’elettronica e la classica. Con All Melody, Frahm non solo ha mantenuto quel suo peculiare approccio gravido di emozioni, ma ha addirittura infuso un’anima al tutto. Lo guardi suonare, una mano su un pianoforte a coda e l’altra su un synth Juno 60, e vedi un’artista totalmente immerso nella sua creazione, in una sfilata di strumenti vintage che paiono estensione naturale di mani e dita. Un incantesimo ipnotico. (Recensione)
3. IDLES – JOY AS AN ACT OF RESISTANCE
Partisan Records
La gioia è resistenza. La musica è gioia. La musica è resistenza. Questo è il sillogismo che hanno interiorizzato questi cinque folli provenienti da Bristol, UK per esprimere il pensiero di cui è imbevuto Joy As An Act Of Resistance. Dopo il felicissimo debutto con Brutalism, gli Idles escono con quello che è il proseguimento di ciò che avevano iniziato ad urlare disperatamente nell’ultimo lavoro. Si tratta del loro secondo album in studio, pubblicato dall’etichetta londinese Partisan, con cui dimostrano ancora una volta quanto hanno da dire e quanto siano compatti nel farlo. Ritroviamo una delle band più critiche nei confronti della società e allo stesso tempo più interessanti, specialmente per i contenuti che offrono, veicolati da quello che è il mezzo perfetto: quel punk hardcore a cui hanno esplicitamente tolto il prefisso di post. Uno dei dischi più politici dell’anno. (Recensione)
2. JON HOPKINS – SINGULARITY
Domino Records
Singularity di Jon Hopkins è in grado di costruire un’esperienza così intensa e travolgente da congelare, per quel lasso temporale, il mondo esterno e restituirti molto più di quanto potessi supporre possibile. Il quinto disco dell’artista londinese è una meravigliosa esperienza psichedelica, che segue quel tentativo di rottura con la tradizione iniziato cinque anni fa con Immunity, e che aveva trovato terra fertile in un immediato seguito con il crossover sperimentale di altri maestri del genere, vedi Four Tet e Caribou. Innalzandosi al di sopra dei semplici beat, Hopkins fa musica per la mente. Singularity è una meraviglia introspettiva, in grado di fondere al suo interno due anime all’apparenza inconciliabili come l’ambient e la techno. Un album che non smette e non smetterà di voler farsi riascoltare. (Recensione)
1. LOW – DOUBLE NEGATIVE
Sub Pop
Da ascoltatori ci siamo sempre lasciati viziare da quella bella abitudine che hanno i Low di non mettere praticamente mai in fila due dischi simili, ma con Double Negative la band di Duluth va più lontano e realizza uno degli album più interessanti della loro discografia e, probabilmente, della musica degli ultimi dieci anni. Messe da parte le aspirazioni folk e cantautoriali di The invisible way e i ritorni slow-core di Ones and Sixes, i nostri si lasciano nuovamente sedurre dalle nuove tecnologie. Con Double Negative, i Low, con ormai 25 anni di carriera alle spalle, ci consegnano un affresco nichilista dei tempi moderni, perfettamente attuale e disperato, che si piazza, nella loro discografia, un po’ come il loro KID A, e si lancia, a passo deciso, in corsa verso il podio nelle classifiche di fine anno. Semplicemente sublime. (Recensione)