Lo scopo di una classifica dei migliori album dell’anno non è certo quella di mettere i dischi in ordine e assegnare dei numeri in base a calcoli, preferenze, importanza e astrologia: si tratta semplicemente di offrire una panoramica al lettore di quello che valeva la pena ascoltare durante l’anno, proporre un recupero di ascolti tra la marea di nuove uscite del 2017. E così anche per quest’anno vi diamo la nostra proposta: 50 (e più) dischi da ascoltare, recuperare, amare e odiare – ma tranquilli, non dovete farlo per forza, né vivere il tutto con ansia e fretta. Buon ascolto, è questo lo spirito con cui leggere una classifica dei Best Album.
MENZIONI SPECIALI
Cominciamo la nostra scalata ai migliori album dell’anno con i dischi a menzione speciale del 2017, quelli a cui assegniamo una Palma d’Oro, e che per ragioni diverse non entreranno nella numerologia.
Hey Mr Ferryman di Mark Eitzel
Basta premere play sul disco per comprendere la portata magica del cantautorato di Mark Eitzel. Uscito ormai lo scorso Gennaio, altamente consigliato per chi se lo fosse perduto per strada. E perdersi per strada in compagnia della sua voce è meraviglioso.
Capacity dei Big Thief
Definiti anche poeti del folk rock per la vena della Lenker di sussurrare storie, i Big Thief riescono a registrare un disco fresco e catartico, con colpi di classe come Shark Smile o Mythological Beauty.
Flower Boy di Tyler The Creator
Questo non è il disco di un ragazzo di colore che decide di dichiararsi omosessuale, ma di un uomo complesso che butta via tutte le maschere e comincia a vivere ogni giorno per quello che è, che decide di scendere da quella McLaren.
Infinite Worlds dei Vagabon
È la libertà vocale della Temko, coi continui richiami ritmici fra lei e gli strumenti, a dare a Infinite Worlds quella qualità, tecnica e sentimentale, in più e a consegnarti, prima del coro finale, un’istantanea dei rapporti d’affetto nelle metropoli. (The Subterranean Tapes)
Nothing Feels Natural dei Priests
La voce di Katie Alice Greer è punk e riot come si deve, e arriva diritta al punto, accompagnata dalle distorsioni grezze delle chitarre che ci rendono indietro la sana atmosfera di un vecchio locale davvero devoto al post-punk – quelli che resistono insomma.
E ora diamo i numeri, e partiamo dal 47.
47. PONTIAK – DIALECTIC OF IGNORANCE
Thrill Jockey
C’è ancora bisogno della forza sovrumana con cui i Pontiak fanno musica, c’è ancora bisogno di essere trascinati via dallo psych-rock, e se non ci credete provate a metter su Dialectic of Ignorance. Facile dimenticare dove siamo.
46. CHELSEA WOLFE – HISS SPUN
Sargent House
L’oscurità è la migliore amica di Chelsea Wolfe ormai da parecchio tempo. Il rapporto con la buia compagna si è fatto più intenso e personale e Chelsea ha scoperto come trarne benefici, mescolando tra loro elementi di gothic, elettronica e industrial e modellando vasi di creta scura dalle forme sempre più impressionanti. Questo è il disco che la consacra Regina dell’Oscurità. (Recensione)
45. FEVER RAY – PLUNGE
Rabid Records
Se ci avessero detto che Karin Elisabeth Dreijer Andersson aka Fever Ray (e voce del duo The Knife) sarebbe tornata con un disco in splendida forma probabilmente non ci avremmo creduto. E avremmo sbagliato. Plunge è un ottimo modo per spegnere gli heartbeats e farci battere al ritmo.
44. FLEET FOXES – CRACK-UP
Nonesuch Records
Crack-Up non rivoluziona lo stile dei Fleet Foxes. Siamo sempre di fronte alla stessa band, che non sta cercando di dettare nuove tracce nel panorama musicale contemporaneo, ma anzi ripesca nel passato, riporta in auge la chitarra, e i cori, le doppie voci, qualcosa che ha che fare di più con Crosby, Stills, Nash & Young che con l’indie folk. Eppure ha il merito di lasciarci respirare aria pura in tempi affannati. (Recensione)
43. IBEYI – ASH
XL Recordings
Lisa e Naomi sono cresciute, sono più forti e hanno interiorizzato nel miglior modo possibile il dolore, usandolo come strumento per trasformarsi da bambine che piangono il padre a donne che consolano e cantano la ninna-nanna alla loro nipotina, figlia della sorella scomparsa in Valè. Musicalmente tutto ciò ha significato aprirsi ad un suono più moderno, compatto e prodotto. Con Ash le sorelle Ibeyi riescono a farci accettare le due componenti della vita: tragica e gioiosa. (Recensione)
42. THE FLAMING LIPS – OCZY MLODY
Warner Bros. Records
Con Oczt Mlody i The Flaming Lips sono entrati in quello che può essere visto come il terzo periodo della loro lunga e complessa storia musicale. Bastano le prime note di Oczi Mlody per deludere chi si aspettava un passo indietro dopo le critiche a The Terror. Il tappeto sonoro che, con note liquide, apre su una fanfara elettronica e poi su una tessitura di beat degna di Nicolas Jaar, il pezzo che dà il titolo al disco, è una presa di distanza fortissima che, rispetto a The Terror, spazza via le tracce residue che li collegavano al passato. (Recensione)
41. CLOUD NOTHINGS – LIFE WITHOUT SOUND
Carpark Records
Life Without Sound è un disco fresco, arrabbiato, adolescente, teso tra un riff carnoso e asciutto, una sgommata che sa di grunge, una melodia indie-pop folgorante e un urlo ossessivo di ribellione. Che passa dal punk più britannico agli assoli di J Mascis con una disinvoltura talmente azzeccata che apre spesso un sorriso. Questo è il disco che ogni adolescente frustrato nato nei 2000 deve ascoltare per sentirsi come si sentiva suo papà alla sua età. (Breviario)
40. LONDON GRAMMAR – TRUTH IS A BEAUTIFUL THING
Metal & Dust / Ministry of Sound
Truth Is A Beautiful Thing è un disco dalla forte componente emotiva, in cui è facile perdersi ad occhi aperti tra i paesaggi liquidi che si succedono rapidamente dal finestrino di un treno. C’è, però, un rischio nell’ascoltare tutta questa bellezza, ossia sconfinare nell’asetticità, trasformando quei paesaggi da cartolina in dipinti a olio da guardare al di là di una transenna. D’altronde dietro un’impalcatura così solida ci sono due perfezionisti. (Breviario)
39. BJORK – UTOPIA
One Little Indian Records
In Islanda vivono attualmente circa 334.252 persone, poco meno della popolazione di Bologna e Firenze. Tra questi ci sono i Sigur Rós, la mezza italiana Emilíana Torrini, e – ovviamente – Björk. Con questo non vogliamo certo lasciar intendere che la classifica contenesse una fantomatica “quota islandese”, ma che Björk resta una fuoriclasse internazionale anche se viene da una nazione piccolissima, e la sua Utopia continua a cantarla (nel modo a cui ci ha abituato) al mondo intero.
38. SOULWAX – FROM DEEWEE
PIAS Recordings
From Deewee rappresenta l’ennesima svolta nella carriera dei Soulwax, stavolta verso un’elettronica meno ruvida ma più leggera e delicata rispetto ai i lavori precedenti. Tra atmosfere rock a ritmi elettronici al synth pop, i Soulwax ci regalano un disco che ha un sapore fresco. (Breviario)
37. PROTOMARTYR – RELATIVES IN DESCENT
Domino Records
La formazione di Detroit esaspera lo stato di angoscia latente nel disco precedente disgregandolo in dodici tracce che sembrano scrollarsi di dosso l’etichetta post-punk e ritrovare le radici più pure del genere. La voce di Joe Casey, prolisso e poetico nei testi come mai prima d’ora, suona vagamente Nick Cave-y e si amalgama alla perfezione al ritmo incalzante delle percussioni e agli arpeggi più freschi delle chitarre. Corposo. (Breviario)
36. PHOENIX – TI AMO
Glassnote Records
Già con il primo assaggio J-Boy i Phoenix ci avevano fatto capire di aver intrapreso una nuova strada riguardo l’ispirazione italo-dance del disco. E del resto con un album che porta questo titolo – Ti Amo – cosa potevamo attendere. Good Vibrations. (Breviario)
35. AT THE DRIVE IN – In•ter a•li•a
Rise Records
Diciassette anni. Tanti quelli passati perché gli At The Drive-In, gruppo texano con linee di sangue messicane e portoricane, tornassero a incidere un disco. L’idea di un nuovo disco, così rischiosa, non ha l’agrodolce sapore di un amarcord ma anzi partorisce quello che dimostra di essere uno dei lavori più belli e maturi della band che, a distanza di anni, non riesce in alcun modo a rinunciare a quella cifra così post hardcore caratterizzata da un’urgenza espressiva diretta e violenta. Irriducibili. (Breviario)
34. DIRTY PROJECTORS – DIRTY PROJECTORS
Domino Records
Dirty Projectors è l’album cui David Longstreth fa tutto da solo, dopo la rottura del duo con Amber Coffman, con cui nel 2013 aveva registrato un sorprendente Swing Lo Magellan. Seguirà un silenzio musicale troppo lungo, e poi finalmente l’uscita di questo disco, che sembra entrare in perfetta sintonia con quelle che sono le coordinate tracciate dal panorama musicale contemporaneo di questi anni. L’uomo bianco è solo, e si confronta con i trend più black: ne esce fuori una storia originale. Schizoide, sincero, delizioso. (Recensione)
33. FOREST SWORDS – COMPASSION
Ninja Tune
L’uscita di Compassion risulta paradossalmente tempestiva, una sorta di risposta al “mondo incerto e aggressivo che stiamo sperimentando”, non fosse altro che per il livello di ansia, delicata malinconia e resilienza ad oltranza che è sempre stato marchio di fabbrica della musica del produttore di Liverpool. Con la sua Compassion, Forest Swords ha trovato la formula vincente per interpretare il mondo attuale. (Breviario)
32. THE XX – I SEE YOU
Young Turks
Gli xx sono in bilico tra l’adolescenza e l’età adulta così come lo siamo noi, a novembre sono saliti sul palco del Saturday Night Live e sul loro volto c’era ancora la paura o forse una sorta di timidezza che è il loro marchio di fabbrica, ma ci siamo stupiti scorgendo pure qualcosa di nuovo: i sorrisi, la felicità vera, ciò che non avreste pensato di vedere dipinto su questi tre ragazzi vestiti sempre di nero. I See you rappresenta la scoperta del mondo, il primo contatto con questo strano universo a cui apparteniamo. (Recensione)
31. ALT-J – RELAXER
Infectious Music
Relaxer è un disco fatto più di conferme che di delusioni. Conferme sul modo di suonare del trio di Leeds, della loro dedizione a dare una resa visiva, e sinestetica, delle atmosfere, sfruttando strumenti lontani, cori ed elettronica tutti insieme per comporre qualcosa che possa raccogliere, più che allontanare. Seduti uno accanto all’altro in queste poltrone scomode di un cinema di provincia, stiamo assistendo alla riproduzione di una pellicola che non è mai invecchiata, che ha saputo reggere il cambio del tempo e, ora, si è guadagnata una sorta di mitologia. (Recensione)
30. ULVER – THE ASSASSINATION OF JULIUS CAESAR
House Of Mythology
Undicesimo album per la band norvegese, non si smentiscono i suoni oscuri neanche in The Assassination of Julius Caesar. Non vi fermate all’immaginario metal: sin dalla prima traccia gli Ulver ci regalano un piccolo excursus in termini di musica e di storia dell’umanità. Provare per cedere.