Ragazza, donna, altro | Nel romanzo di Bernardine Evaristo

Amma è alla vigilia del suo debutto al National Theatre a Londra, la si incontra che cammina verso la chiesa di Saint Paul mentre si lascia alle spalle il Waterloo Bridge. La sua opera teatrale si chiama “L’ultima amazzone del Dahomey” e segna il punto di arrivo di una lunga carriera artistica. Amma è una donna lesbica di cinquant’anni, un’attivista che per decenni ha lottato contro l’establishment delle arti che la escludeva perché nera, questo «finché il mainstream non ha cominciato ad assorbire ciò che un tempo veniva considerato estremo». Quando arriva una donna alla guida del National, Amma ottiene finalmente la sua opportunità.

La drammaturga Amma è una delle protagoniste del romanzo di Bernardine EvaristoRagazza, donna, altro”, già vincitore del Booker Prize 2019 in coppia con Margaret Atwood, ora pubblicato in Italia da SUR con la traduzione di Martina Testa. La peculiarità di questo romanzo sta nella caratterizzazione di Amma e di tutte le altre undici protagoniste, più qualche uomo qua e là, che rendono il romanzo una sinergia di storie personali a volte rivoluzionarie, altre volte più che ordinarie, ma sempre eccezionali e come tali presentate dall’autrice. Tutte le protagoniste sono donne britanniche nere perché lo scopo di “Ragazza, donna, altro” è proprio quello di fornire una panoramica della multiculturalità della Gran Bretagna contemporanea. Quelle di Evaristo sono donne con età che vanno dai 19 ai 93 anni: giovani attiviste, anziane contadine del nord dell’Inghilterra, bancarie in carriera, insegnanti frustrate, femministe radicali della prima ora. A questa varietà di storie personali, in termini di età e periodi storici vissuti, Evaristo abbina un discorso ancora più profondo che passa per l’intersezionalità a lei molto cara, in termini di sessualità delle protagoniste, ma anche nella loro cultura di provenienza, scelte politiche e classe sociale d’appartenenza. È su questa rosa d’identità, e le declinazioni che Evaristo elenca, che si gioca gran parte della potenza narrativa del romanzo. In “Ragazza, donna, altro” le donne sono lesbiche, bisessuali, poliamorose, pansessuali, non binarie e c’è persino qualche omofoba. Il messaggio di questa scelta è che le donne nere meritano di essere rappresentate in tutta la loro complessità e fuori dagli schemi del patriarcato.

Le protagoniste tra identità e privilegio

Amma, come si diceva, è una drammaturga con un lungo passato da attivista femminista. La sua peculiarità narrativa è non solo quella di riunire gran parte dei personaggi e fungere da punto di ritrovo delle storie altrui, ma essere anche colei che innesca il ragionamento più politico del romanzo: è possibile far coesistere l’attivismo radicale femminista e il privilegio che scaturisce dal successo raggiunto? La risposta di Amma non c’è, o, meglio, è incerta perché a quanto pare con il suo debutto su un grande palcoscenico pare essersi sacrificata all’altare del successo.

Il concetto di privilegio ritorna anche nella storia personale di Carole: origini nigeriane, una vita passata a uniformarsi ai canoni della middle-class, lei che nasce nella working-class britannica e che, dopo una laurea ad Oxford, arriva alla vicepresidenza di una banca di investimenti. Anche Carole sceglie il privilegio e dimentica l’identità, ma l’autrice non la giudica perché il dialogo sull’identità passa per le contraddizioni delle vite altrui. Lo scopo è narrare come le donne nere moderne conquistano il loro posto nella società, il successo in senso lato, e se e come si lasciano alle spalle famiglia e radici. La madre stessa di Carole, Bummi, è chiaro esempio di successo mai slegato dall’infanzia in Nigeria: in Inghilterra diventa una imprenditrice e rivendica la sua capacità, lei che aveva una laurea in una università nigeriana che per l’Inghilterra era carta straccia. Sempre lei che, per dare una opportunità in più a sua figlia, le sceglie un nome britannico.

Ci sono, poi, Hattie, una anziana signora di 93 anni arrivata in Gran Bretagna con le grandi migrazioni degli anni ’50 della diaspora Africana, e sua nipote Megan alle prese con la propria identità sessuale. Megan, in parte di origine etiope (da parte di Hattie), in parte afroamericana, malawiana e inglese, diventerà Morgan qualche pagina dopo dichiarandosi non-binary. A questo proposito la modernissima Hattie non batterà ciglio: fino a quando sua nipote è felice con la compagna trans Bibi, anche Hattie è felice. Queste sono solo alcune delle storie enormi che Evaristo racconta con una scrittura ariosa e leggera. Il risultato finale non è un catalogo di dodici esistenze che travolge lettrici e lettori, piuttosto ci si trova davanti ad un coro armonico di donne simbolo della varia società britannica. È soprattutto l’amicizia a legare molte delle protagoniste, per le altre si tratta di esistenze che si sfiorano appena nella sera della rappresentazione al National Theatre.

Per alcune, come si è visto, l’identità e l’appartenenza svaniscono con l’avanzare degli anni, per altre l’identità è il fulcro stesso dell’esistenza e la rivendicano quotidianamente. Lo fa con veemenza la giovane Yazz, figlia di Amma, con le sue amiche musulmane, bianche, nere altamente consapevoli del proprio ruolo nel mondo. Yazz cita ripetutamente i suoi riferimenti culturali: un giorno, dice, arriverà a scrivere le storie di copertina del New Yorker, ma intanto è una femminista, esplora la sua identità di genere, impara a conoscere a fondo quella delle sue coetanee e sceglie con cura i suoi riferimenti culturali. Tra tutti, per esempio, cita Stormzy, il rapper britannico di origine ghanese da sempre impegnato nell’attivismo politico per combattere le disuguaglianze sociali, economiche e razziali. La fluidità di Yazz in termini di consapevolezza di sé, ma anche nei ragionamenti, apre il romanzo al dialogo sui generi, sul femminismo moderno, ma anche sulla lotta al patriarcato e il privilegio dei bianchi; insomma, questo è un romanzo che fa sul serio quando si parla di modernità di temi e scrittura.

Il contesto di queste esistenze è l’Inghilterra dell’ultimo secolo, ma soprattutto una Londra eterna e in continua trasformazione, afflitta dagli inarrestabili fenomeni di gentrificazione e dalle conseguenze sociali ed economiche della politica contemporanea: quella disgrazia collettiva che è la Brexit, le conseguenze dell’elezione di Trump, il cambiamento climatico e quel senso di condanna eterna che la generazione di Yazz, ma anche i millennial, vivono quotidianamente. Quella di Yazz, e di Bernardine Evaristo, però, è una Londra ottimistica e accogliente, vivace, plurale, che ha fatto notevoli passi avanti per la celebrazione della multiculturalità e delle identità che sono le singole donne a scegliersi, pur con un lungo lavoro di ricerca personale.

Forma e obiettivi del romanzo

La prosa di Evaristo in “Ragazza, donna, altro” è molto vicina alla poesia. Non c’è punteggiatura, fatta eccezione per le virgole, né lettere maiuscole all’inizio di ogni frase, non servono nemmeno i segni di interpunzione nei dialoghi. Sono tutti elementi non funzionali al flusso di storie raccontate che, nell’edizione inglese, si apre con una dedica universale a donne, uomini, comunità LGBTQI+ e «membri della famiglia umana». Il linguaggio stesso di Evaristo si plasma all’intersezionalità con altri accorgimenti che rendono il testo moderno e consapevole. Quando si parla di genere Evaristo usa con cura il pronome they per Morgan, il suo personaggio non-binary; in dedica e interviste porta alla ribalta i termini womxn, wimmin, womyn, uno spelling alternativo comune negli ambienti femministi anglosassoni, utilizzato per privare woman della radice “man”, uomo; se si parla di culture, invece, Evaristo è attentissima a riprodurre lo slang e le radici del Nigerian English per alcuni dei suoi personaggi.

In un incontro col sindaco di Londra Sadiq Khan in occasione delle celebrazioni per il Black History Month 2020, Evaristo evidenzia un dualismo importante: se gli scrittori bianchi possono scrivere anche solo per sé stessi, quando si tratta di autori neri, come nel suo caso, lo scopo della letteratura si fa più complesso. Per questo il suo è un “literary activism”, attivismo letterario per la rappresentazione delle storie nere. I suoi sono, per scelta, romanzi di speranza, apertura, celebrazione e molteplicità. Quello che Evaristo carica sulle proprie spalle è la responsabilità di comporre un racconto generazionale che sposta i riflettori della letteratura e l’attenzione dei lettori sul lavoro di autrici e autori neri. In questo romanzo ci si ubriaca di donne, storie, desideri, scelte e rimpianti in una successione morbida di vite altrui meravigliose che la letteratura bianca ha da sempre ignorato. Il suo è un matriarcato culturale nero, gioioso e moderno, che tiene conto della bellezza della diversità, ma anche delle esigenze culturali dei movimenti contemporanei per i diritti civili. Il messaggio di Evaristo è chiaro: il rispetto passa anche per la cultura, la letteratura e il suo lavoro in tal senso continua anche al di fuori del romanzo, rivendicando il diritto e l’importanza di essere rappresentati in letteratura curando le ristampe di sei opere di autori e autrici nere britanniche per Penguin (Black Britain. Writing Back).

Per il suo attivismo e per la sua scrittura, Bernardine Evaristo è diventata la prima autrice nera, nonché la prima tra scrittrici e scrittori britannici, a vincere il Booker Prize: il futuro della letteratura è nelle sue donne, nella sua libertà, nell’intersezionalità del mondo che rappresenta.

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