Beach Fossils @ Sun Agostino (MO) // INTERVISTA

Foto: Lisa Barbieri

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(foto a cura di Lisa Barbieri) Vogliamo essere onesti? Non pensavo avrei avuto un’altra possibilità di ascoltarli. Almeno nel breve periodo.

A maggio i Beach Fossils sbarcavano in Italia – tra l’altro per una data all’Hana-Bi di Marina di Ravenna, concerto sulla spiaggia appena dopo il tramonto, band di riferimento dopo una giornata intera di festival gratuito – ed io come un imbecille (in tesi di laurea) me li perdo.

Passano i mesi, il dolore s’attenua e un bel giorno si scopre che i Beach Fossils in Italia ci tornano eccome, con tre date tra Modena, Roma e Padova. Un modo eccellente per concludere un’estate dal cartellone già piuttosto ricco che il modenese Sun Agostino non si lascia scappare prima della pausa autunno-inverno.

Si entra nella corte dell’ex-convento che ospita il locale nel cuore della città emiliana e tutto è già sistemato, le luci da fiera di paese provenzale appese da un albero all’altro ad illuminare i tavolini con i primi avventori, che con una birra in mano se la chillano – per utilizzare un’espressione da stronzi dell’ambiente – in attesa del concerto.

Al fondo della corte, protetto da un tendone anti-previsioni del colonnello Giuliacci, il palco, sovrastato dal cartello “SUN” e affiancato da un paio di casse mastodontiche per lato. Poco dopo, si fanno largo tra la gente quattro ragazzini che fino ad allora si erano perfettamente confusi tra il pubblico: pantaloni risvoltati, stivali robusti che sembrano sottratti a quello scalatore che poi finì a fare pubblicità dello speck, magliette stracciate … del tutto anonimi, insomma.

Ma il loro anonimato è destinato ad avere breve durata, perché quei quattro non sono altro che Dustin Payseur & soci, alias Beach Fossils, monelli newyorkesi in tournée mondiale dopo l’uscita del loro secondo album Clash the Truth nel febbraio scorso, e già reduci dal successo di What a Pleasure un paio di anni prima.

I quattro imbracciano gli strumenti – per Dustin una Mustang coperta di adesivi che sembra stata rubata ai concittadini Sonic Youth – e il fruscio degli amplificatori Roland riempie il tendone sotto cui il pubblico si è accalcato. Poi l’esplosione noise: il riverbero delle due chitarre invade lo spazio, accompagnato dai tonfi sordi e radi della batteria. La tensione sale fino a culminare nel riff di Birthday ed è subito sorpresa. La freddezza a cui i Fossils ci hanno abituato in studio di registrazione è solo un vago ricordo: il quartetto di brooklyn apre il concerto con un calore, un’energia e un vigore inaspettato. Dustin, Jack e i due Tommy si tendono sulle aste dei microfoni, si muovono a tempo, si dimenano sugli strumenti mentre la compattezza e il vigore che escono dagli ampli lasciano di stucco il pubblico. A chiusura del primo pezzo, la custodia di una chitarra è trascinata ed aperta sul palco. Penso che il tutto sia molto punk, poi la spiegazione: “Fuck. I broke a string on the first song” dice Dustin Payseur, e subito gli altri tre si affrettano a riempiere il vuoto con arpeggi cristallini che ricordano tanto lo sonorità del primo disco. E non sbaglio: si torna subito alle origini del progetto con Moments/What a Pleasure, eterea e sognante eppure potente come mai attraverso le cuffiette del lettore mp3 mi era sembrata.

Poco dopo un’altra sorpresa: “This is a brand new song. BRAND NEW” ripetono, senza citare il titolo, e come a dubitare (forse giustamente) dell’anglofonia del pubblico. Sono subito riff di chitarra affilati come coltelli eppure solari nella migliore tradizione di quel Johnny Marr da cui i Beach Fossils sembrano aver tanto attinto, mentre la batteria procede compatta, in ritmiche geometriche ed incessanti figlie della meglio New Wave.


Ad ogni pezzo o quasi Dustin chiede se stiamo bene, se ci stiamo divertendo: “We’re starting feeling better right now”, dice, lo spettro della corda rotta ormai distante. Il concerto procede in una continua alternanza tra brani della prima e della seconda fatica della band, così distanti come scelte compositive e di suono eppure così ben coniugate nell’esperienza live, soprattutto grazie alla scelta di suoni violenti che ora come ora, sotto il riverbero del tendone, un po’ ci assordano: passano in rassegna il singolo Shallow, Youth, Taking off, Careless … Per tutta la durata dell’esibizione, i Fossils sono sempre sospesi tra la voglia di esplosioni di solarità e la più totale disperazione, mescolate in un amalgama agrodolce dalle infinite sfumature, escluse quelle di grigio. La ricetta è sempre la stessa: riverberi, distorsioni potenti, martellanti riff in ottave alternati ad accordi aperti che fanno respirare i brani e il pubblico. Una nota positiva l’inventiva nelle ritmiche: in un genere così codificato come la garage new wave, la sezione cassa/rullo/charlie soprende per fantasia ed inventiva senza però mai uscire troppo troppo dagli schemi, regalandoci anche un paio di assoli tra un pezzo e l’altro che neanche ai concerti dei Kiss … Ancora i piatti stanno vibrando che subito il riff di Clash the truth invade la zona concerti. Nel bel mezzo del brano, mentre tutti stanno ballando, lascia cadere la chitarra sul palco e si getta tra il pubblico armato solo di microfono, con tutti a fare quadrato su di lui, neanche fossero senatori Pdl sul Berlusca … Canta tutto il resto del pezzo così, tra la folla, e finisce a terra, gli occhi chiusi, a ripetere ipnoticamente “Nothing real … Nothing true …”, e non piange come Nick Cave alla sua prima tournée ma poco ci manca. Ritorna sul palco tra gli applausi e il frastuono del resto della band: Tommy suona la chitarra a corde vuote lasciando fare tutto ai riverberi assordanti, mentre con l’altra mano sorregge un drink. “We have twenty more songs”, dice, ma il concerto volge ormai al termine.

Dopo Crashed Out, Twelve roses e Vacation la voce di Payseur è un po’ affaticata ma gli altri tengono duro. I Beach Fossils ci salutano con un incredibile frastuono: pedali al massimo, batteria isterica e Dustin che – caricando il più possibile di effetti la voce – ripete all’infinito frasi di ringraziamento, quasi incomprensibili, senza un attimo di tregua fino a che non manca il fiato e oltre.

Sul palco rimangono ormai solo gli strumenti e i fischi degli amplificatori lasciati così come sono: i Beach Fossils abbandonano il palco dopo un’ora e venti circa di esibizione, lasciando un pubblico assolutamente entusiasta.

Ma facciamo un passo indietro. Poco prima del live, siamo riusciti a farci rilasciare – seduti su uno dei bei divanetti vintage del Sun Agostino – questa intervista alla band, che riportiamo di seguito.

I Beach Fossils sono una band molto produttiva, due album in circa tre anni: dimmi un po’, potresti rivelarci progetti o idee per l’immediato futuro?

Oh amico … abbiamo un sacco di cose su cui lavorare ora. Penso che ciascuno di noi stia lavorando alle proprie cose in questo momento, e nessuna di queste è esattamente per i Beach Fossils, sono un po’ i nostri progetti personali … Io sto suonando con una band punk, e sto seguendo questo progetto industrial con un amico. Sai stiamo lavorando su molte cose senza realmente decidere per cosa una canzone è veramente, fino ad ora. È molto difficile dire cosa accadrà in seguito, quando faremo il prossimo disco dei Beach Fossils … Mi sto solo prendendo il mio tempo per lavorare senza veramente pensare in modo sistematico.

Questo è stato – e sarà ancora – un tour molto lungo (ridono) che vi porterà un po’ dappertutto nel mondo, Europa, Stati Uniti con Kurt Vile, America Latina … Possiamo dire che la musica underground ha finalmente raggiunto il grande pubblico?

Certo, lo credo davvero. Voglio dire, oggi più che mai lo spazio per band e artisti indipendenti diventa sempre più ampio … avere una maggiore ricezione. Era così estremo, prima … Le differenze erano così estreme. Stavo guardando di recente questo documentario su KRecords e uno su Rough Trade e queste altre etichette, e tutto quello che facevano e che dicevano era: “Sì! Abbiamo venduto cinquanta copie di questo disco! (ridono)Siamo così felici che le persone ci stiano ascoltando sul serio!”. E il fatto che siamo in un tour del genere, essere in un’etichetta indipendete, non avere un manager, ogni cosa è semplice, non c’è niente di strano o complicato a riguardo … è fantastico, e il controllo è tutto nelle nostre mani. Possiamo decidere di fare o no tutto quello che vogliamo. È un momento veramente felice per essere un musicista.

Pensi che la rete abbia un ruolo in questo?

Oh sì, certo. In più di un modo, non solo per la promozione. Anche per l’ispirazione, hai accesso a così tanto a cui non avevi accesso prima. Prima si andava in negozio e si tentava la fortuna comprando un cd magari solo perché avevi sentito una canzone o perché la copertina era figa. Ora puoi ascoltare tutto, buono o no.

Quando avevo quindici anni era del tutto casuale.

Sì, ho sprecato un sacco di soldi in album schifosi.

Non ho problemi riguardo la pirateria. Certo, non voglio che chiunque eviti di comprare il disco per scaricarlo gratuitamente, ma il fatto che accada ovviamente ci offre una ricezione più ampia … intendo il fatto che possiamo girare il mondo non sarebbe possibile se la gente non scaricasse illegalmente la nostra merda.

Questa non è la prima volta per voi in Italia. Ad esempio a Maggio siete stati all’Hana-Bi di Marina di Ravenna … Quali sono le vostre aspettative per questo mini-tour italiano, tre date attraverso Modena, Roma e Padova?

Non so, sai, si spera sempre che la folla si lasci coinvolgere dallo spettacolo, che la gente si muova, che abbia una risposta fisica … Ma anche se non succede, basta l’apprezzamento. Ieri sera eravamo a suonare in Svizzera, e la folla era completamente immobile, se ne stavo semplicemente lì, senza muoversi ma appena finivamo un pezzo facevano un sacco di confusione. Molti applausi, molto figo per gli svizzeri. Forse troppo.

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