Ho la sensazione che quest’estate ci lasceremo cullare spesso dal nuovo album dei Beach Fossils. È un disco fresco, che per un attimo ci riporta a un certo sound che andava in voga qualche anno fa, soprattutto a inizio decennio, quando ci lasciavamo riscaldare dai beat di Wild Nothing o Real Estate con estrema innocenza.
E se – per quanto riguarda Wild Nothing – i quattro anni tra Nocturne e Life of Pause si sono lasciati sentire, con un Jack Tatum votato alla ricerca di un privato aggiornamento di sonorità, i quattro anni che separano Clash The Truth da questo Somersault donano invece ai Beach Fossils una capacità creativa di scavare in profondità nelle belle atmosfere alt-dream-pop, con arrangiamenti sognanti anche quando si passa dalle chitarre agli strumenti a fiato.
C’è addirittura il tempo di un rap soffusamente dream pop, con il feat di Cities Aviv che rappa su Rise accompagnato da una musica calda. Sembrerebbe un controsenso, ma è invece una magnifica opportunità di cogliere il tempo in cui viviamo e definirlo con una pennellata che è un meltin pot di generi. Rise rinuncia per un attimo alle chitarre indie rock votate al suono dream, e alla voce sussurrante di Dustin Payseur, l’anima del progetto Beach Fossils.
Agli inizi Beach Fossils non era altro che il nome del solo project di Payseur, diventa band solo quando si aggiungono John Peña al basso, o quel Zachary Cole Smith alla batteria che poi mollerà per dar vita ai DIIV. Oggi la formazione è del tutto diversa da quegli inizi, ma sopravvive quello che sembra essere un gusto minimal, per esempio nella scelta delle copertine degli album. L’impronta di Payseur continua a essere il centro nevralgico del progetto e del suono del gruppo.
Il singolo di lancio dell’album, This Year, che è anche il pezzo che apre Somersault, è probabilmente il più bello di tutto il disco. È il segno della freschezza devastante che travolge le nostre orecchie grazie alle chitarre soffuse e alla voce di Payseur, che a forza di ripetere nel chorus “No, I won’t be there in time” mantiene l’effetto di un sussurratore notturno di fairytales.
E poi a sorpresa ad accompagnare la voce di Payseur arriva quella di Rachel Goswell degli Slowdive per un altro feat d’autore, anche se qui le due voci duettano e si incastrano alla perfezione senza gli azzardi rap di Cities Avis. Del resto gli Slowdive sono una band che ha capitanato un certo tipo di mood e atmosfere che sono arrivate fino ai giorni nostri anche grazie a progetti come i Beach Fossils. Così ascoltare Tangerine diventa un piacere, un piccolo compendio alt-dream-pop quasi come un atto di devozione profonda a un’intera scena.
Altro singolo che aveva accompagnato il lancio del nuovo album è Social Jetlag, che apre il ritmo con pianoforte e batteria e ci trascina ancora una volta via in questo tuffo estivo che è Somersault. La sensazione di social jetlag in generale si differenzia dal classico jetlag perché non è un genere di stanchezza che proviamo dopo un lungo viaggio e un cambio di fuso orario: è la semplice esposizione al ritmo quotidiano delle giornate a provocarla, soprattutto quando sono storte. Così, possiamo avere problemi di sonno, o avvertire un inaridimento fisico, nonostante il nostro corpo non abbia cambiato latitudine.
Presto detto: questo social jetlag è raccontato meravigliosamente dal singolo dei Beach Fossils. Le note di pianoforte, la voce di Payseur, il testo (“been awake for days / in the shadow of the night / I wanna fade away“), sembrano proprio assecondare questo genere di sensazione. Se stessimo vivendo un momento di social jetlag, e volessimo comprometterci totalmente, allora questo sarebbe il singolo giusto per crogiolarci in questa sensazione. Impietoso.
Ma in generale questa atmosfera da spaesamento che è un dolce jetlag pervade l’intero album. E il tutto è reso fuori più bello, perché alle chitarre si accompagnano archi, pianoforte, clavicembalo, flauti, sax, con colpi di classe psichedelico-beatlesiani come in Saint Ivy o Closer Everywhere, o le chitarre indiane della bellissima cavalcata in crescendo che è Be Nothing. Un disco che certamente asseconderà e rinvigorirà la nostra voglia di estate e un piccolo viaggio spaziale, da consumare con cura.