Il freddo pungente entra nelle ossa mentre camminiamo per le vie della città e, quando calano le tenebre, l’unica arma di difesa per ripararsi dalle sferzate del vento sono le nostre cuffie: i Be Forest si ascoltano così. Con la colonnina di mercurio sotto lo zero, i piedi ghiacciati negli anfibi e le mani screpolate in tasca parte il nostro viaggio verso Knocturne, il terzo capitolo della storia musicale dei pesaresi Be Forest, pubblicato dal collettivo We Were Never Being Boring.
Costanza, Erica e Nicola sono cresciuti e, dopo dieci anni sulle scene, ora non nutrono soltanto una fascinazione nei confronti dell’oscurità, la attraversano scendendo nell’abisso più nero e profondo. Non guardiamo quest’immagine semplicemente da lontano come spettatori, ma ne siamo parte, protagonisti inconsapevoli della realtà che ci circonda. Un’epoca difficile in cui vivere, dove tutto sembra terribilmente vicino anche se le distanze tra noi e gli altri non fanno che aumentare di minuto in minuto e di condivisione in condivisione.
Ed è proprio da questa gigantesca e fantasmagorica illusione in cui sostiamo come anime erranti che i Be Forest attingono per raccontare una realtà scarna e allo stesso tempo ricca di elementi quasi invisibili a occhio nudo. Se Cold ci ha condotto sui ghiacciai del circolo polare artico ed Earthbeat di fronte a un falò in un deserto americano, Knocturne ci porta sul palcoscenico delle nostre vite.
Il sipario si apre sulle note di Atto I proprio come in uno spettacolo a tutti gli effetti, un colpo nella notte che ci ridesta da un sonno profondo, quello in cui ci siamo abbandonati esanimi e pieni di incertezze la sera prima. Knocturne è un disco pieno di immagini dai contorni sfocati che bussano alla porta della memoria come ricordi impertinenti che pretendono un riscatto morale all’oblio in cui li abbiamo condotti a forza.
È il caso di Empty Space, dove un uomo solo vaga per le strade di una periferia urbana mentre a pochi metri da lui un incendio si propaga, ma sembra quasi che l’evento non lo tocchi, incapace di reagire o forse assuefatto dalla ripetitività degli episodi. Seguendo i passi incerti del primo personaggio che incontriamo in questo avamposto del mondo finiamo a capofitto in Gemini, una traccia vibrante di energia come un cavallo al galoppo, dove riecheggiano i suoni classici del dream-pop e dello shoegaze a cui la band pesarese ci ha abituato fin dagli esordi.
Lasciamo la sempiterna lotta tra giorno e notte di Gemini per concentrarci sulla voce di Costanza che si amalgama perfettamente alle sinfonie di K e Sigfrido. In questo mondo fatto di trame invisibili e di spazi interrotti dal vuoto cosmico c’è un’attenzione maniacale per il dettaglio, quella che ha portato i Be Forest a concepire quest’album a quasi cinque anni di distanza dal precedente. Knocturne è un grandissimo loop metafisico in cui perdersi e disperatamente cercarsi, ci sono note cupe, ma anche spiragli di luce come la brillante Bengala, una delle tracce più laconiche e al tempo stesso ruggenti di speranza:
I’m waiting myself hidden somewhere in my heart / I’m waiting mercy and decline, that’s all we will find
A sorprendere è You, Nothing, la chiusa finale del disco che non solo parla un linguaggio diverso rispetto ai precedenti otto brani, ma prepara anche a un addio enigmatico. Da questo momento in poi ci apprestiamo a percorrere a ritroso il tunnel fatto di ombre e incertezze che dà senso alla raccolta. Non sarà facile uscirne, ma fa parte del DNA dell’esploratore che vaga in continuazione alla ricerca di una meta nuova. Knocturne è l’abisso e la secchiata d’acqua più gelida che possiate ricevere in pieno volto. Scuote e fortifica e, ascolto dopo ascolto, gliene sarete grati.