Un ragazzo in prima fila ha la bocca aperta, fissa la batteria di John Stanier al centro del palco, passa lo sguardo su tutti gli effetti che riesce contemporaneamente a controllare Dave Konopka mentre suona il basso, gira la faccia verso Ian Williams e si incanta mentre si alterna tra chitarra, tastiere e loop. Il palco è un territorio brado per pedaliere e bottiglie di birra da cui Williams sorseggia per scacciar via quel sudore così fisico e reale che si è ficcato fin dentro gli spazi tra i tasti della tastiera: se ti concentri a guardare in una perfetta contemplazione puoi vedere le goccioline su tutti gli strumenti. Questi Battles sanno proprio suonare, non c’è che dire, son mostruosi. Non si risparmiano mai, e ogni volta sembra di assistere a una di quelle jam session furiose in cui ognuno ha da dimostrare quanto sappia governare con maestria il proprio strumento. La batteria è un tamburo violento, a ogni colpo Stanier sembra che voglia confessarci che è lui il cuore della band, che si è conquistato il posto centrale sul palco – quello che in genere si lascia al cantante e frontman – a forza di battere forte ritmo e tempo. In realtà un concerto dei Battles è frutto di una perfetta armonia e complicità: ogni suono si inserisce al momento giusto, in un continuo sali e scendi di sensazioni.
Siamo al Meet Factory di Praga, il centro d’arte internazionale che ha fondato David Černý a inizio anni Duemila. Da queste parti Černý è un eroe laico, è l’uomo che ha fatto galleggiare sul fiume Moldava l’installazione di un dito medio per provocare e strigliare la politica locale corrotta; è il tizio che ha aggiunto dei bambini che si arrampicano alla Torre di Žižkov; l’autore della scultura di due uomini che fanno la pipì davanti al Museo di Kafka. A ogni angolo di strada ti capita di imbatterti in un’opera del pazzo genio di David Černý. Così non stupisce questa Factory folle che ha messo in piedi l’artista nel quartiere di Smíchov, proprio accanto a una ferrovia che si integra perfettamente all’ambient industrial della costruzione. Dentro ci trovi di tutto: mostre, performance, laboratori creativi, workshop, spettacoli teatrali e concerti. Un richiamo per artisti, ma anche per hipster e wannabe. Per arrivare al Meet devi andare leggermente fuori dal centro cittadino, attraversare un ponte sopra la ferrovia, e inventarti un percorso preferito che ti porti diritto sotto la costruzione. Forse sta anche in questo un po’ della poesia che si trova nel luogo. Ti accolgono pareti dipinte, street art, e un sacco di fumatori all’ingresso. Chiedi alla polvere dove andare.
La serata che ospita i Battles è curata da Radio Wave, ed è parte dello STIMUL Festival di Praga, rassegna di concerti che si tengono durante tutto l’arco dell’anno. I Battles sono in giro in tour per presentare il nuovo album La Di Da Di, che ha una copertina così assurda che presto farà da contraltare a quella di Mess dei Liars. A quattro anni da Gloss Drop, che si avvaleva di collaborazioni vocal prestigiose come Gary Numan e Kazu Makino dei Blonde Redhead, i Battles tornano con i nuovi pezzi e non sembrano aver dimenticato per niente la sperimentazione strumentale che li contraddistingue dopo l’addio di Tyondai Braxton. E così pezzi come FF Bada, secondo singolo estratto da La Di Da Di, appaiono intensi nella loro nudità, un corso accelerato di alta sperimentazione sonora. Il math rock condito di elettronica dei Battles entusiasma, chiara cifra stilistica della band di New York.
Il concerto non è lungo ma la performance che offrono i tre musicisti sul palco è fisica fino a far scaldare pubblico per l’intera durata del live. C’è chi balla e si muove sotto palco, e grida a voce grossa di suonare anche qualche pezzo di repertorio. I Battles ricambiano con tre vecchi classici, e ogni volta che il pubblico riconosce anche una sola nota è il delirio. Futura e Ice Cream (da Gloss Drop) fanno muovere tutta la sala del Meet Factory. Ma la vera esplosione arriva su Atlas, grande classico dell’album di debutto della band, Mirrored. Ancora oggi il grido ”people won’t be people when they hear this sound” è un mantra che scava le orecchie, uno degli shock sonori più potenti del ventunesimo secolo.
Cornice perfetta è il locale, con il suo apparente no-sense del tutto studiato al dettaglio. Intanto, se c’è una cosa di cui possiamo star certi, è che il nuovo album dei Battles suona divinamente dal vivo, e che il prossimo autunno porteremo nelle cuffie La Di Da Di. Il ragazzo in prima fila a bocca aperta sa di cosa stiamo parlando.
Parole di Giovanna Taverni
Foto di Federica Rinaldi