Barezzi Festival: qualità, ricerca e nuove prospettive | Intervista a Giovanni Sparano

Con questa tredicesima edizione Barezzi Festival continua il suo percorso culturale, in cui l’intento è collegare le novità della musica sperimentale in ambienti insoliti come quello del Teatro Regio di Parma, un luogo magico e storico in cui sarà possibile vivere i concerti di Echo & the Bunnymen, Apparat, Marcellus Pittman, J. P. Bimeni Nouvelle Vague. Non solo, come ogni anno, altri luoghi saranno attivati come il Gran Caffé, il Ridotto, il Foyer Toscanini, saranno ripensati per ospitare il Tanqueray Bar, incontri con artisti, showcase, piccoli live set, e per diventare luoghi di scambio e condivisione. Il tema di questa edizione sarà Prospettive, un argomento decisivo in questo periodo storico. Ne abbiamo parlato con Giovanni Sparano, direttore artistico del festival, in attesa di potersi godere il meglio di questa edizione.

 

Vinci i concerti di Echo & the Bunnymen, Apparat, J. P. Bimeni + Nouvelle Vague!

 

D: Tredici edizioni rendono il Barezzi uno dei festival più longevi nel nostro paese che, dal punto di vista culturale, sta attraversando dei tempi impegnativi, come il cambio della guardia dal punto di vista degli spettatori e l’affermazione di nuovi generi. Come si pone Barezzi, in fase di produzione e organizzazione, considerando questi cambiamenti?

Giovanni Sparano: Il Barezzi è da sempre un festival trasversale, ciò vale per il crossover di generi, che spaziano dal jazz all’elettronica, passando per rock e contemporanea, pur conservando coerenza ed omogeneità e, di conseguenza, vale anche per il pubblico. Ciò permette al festival di non essere particolarmente influenzato dai cambi generazionali. La vera forza del festival è, secondo me, quella di aver dato centralità alla qualità, di aver cercato il connubio tra ricerca e tradizione senza mai cedere al mainstream, a patto che questo non fosse di evidente qualità. Inseguire le mode e i tempi attribuisce al prodotto una data di scadenza, a questo si deve, forse, la longevità del Barezzi.

La scelta nella lineup tendono a integrare tanti spiriti diversi fra loro, a partire dal ritorno in Italia di veri e propri mostri sacri della musica alt come Echo & the Bunnymen ma non solo, ci sarà l’elettronica di Apparat, il mondo di J. P. Bimeni e per concludere Marcellus Pittman. Tanti artisti e tanti mondi diversi insieme per tre giorni. Prospettive, del resto, è il macro tema che avete dato a questa edizione. Ce ne puoi parlare di più?

Appunto, sottolinei quel che ho appena detto. Trasversalità di generi e pubblico, accostamenti arditi ma con una grande forza attrattiva. Negli anni, il festival ha ospitato alcuni tra gli artisti più influenti dei rispettivi generi, anche quando si è trattato di nicchie o di proposte non in voga. Le prospettive cambiano il senso di ciò che osserviamo, il Barezzi ha sempre cercato di fornire prospettive differenti, non conformi allo spirito dei tempi e, per questo, difficilmente classificabili. Anche la scelta dei luoghi, i teatri classici, in particolar modo, offre una nuova prospettiva di osservazione per quei luoghi “sacri” della musica colta, considerati sempre templi intoccabili ma, invece, perfetti e straordinari in ogni tempo, per ogni suono ed ogni pubblico.

 

 

La storia di J. P. Bimeni è il racconto intenso di un tema, come quello dell’immigrazione, che si fa centrale nella narrazione del mondo contemporaneo. Ci piacerebbe scoprire un po’ di più sulla scelta attorno a un artista eccelso ma, per via di cose extramusicali, si pone come una scelta coraggiosa e importante, forse addirittura più di quanto dovrebbe essere nel 2019.

Intanto, la scelta è, come sempre, dettata dalla fascinazione che l’artista esercita su me, dunque, dalla sua qualità in senso lato. La musica affronta e risolve forse meglio di qualsiasi altra arte l’inconsistente problema delle diversità perché è, per definizione, commistione, fusione, incontro. Non esiste musica al mondo che non sia sintesi di diversità, siano esse legate ai luoghi di provenienza , ai generi, agli strumenti, alle esperienze e alle innovazioni di artisti precedenti. JP Binemi è un esempio eccelso, appunto, ed è una ricchezza per questa edizione del festival.

 

 

Uno dei punti forti del festival è – appunto – una ricerca che non fa compromessi, anzi, cerca proprio di integrare in luoghi classici e sacri come il Teatro Regio line up con artisti contemporanei e sperimentali. Quanto è importante per voi ‘portare a teatro’ le persone creando situazioni inedite? Si tratta di far scoprire e avvicinare il pubblico anche a queste venues e, viceversa, rinnovare questi luoghi e riportarli al centro del discorso culturale?

I teatri classici sono luoghi con una incredibile potenza evocativa, lasciano a bocca aperta per la classe, l’eleganza, la storia ma, troppo spesso, sono e sono stati luoghi esclusivi. L’idea di portare in essi musica “pop”, con tutte le sfumature del caso, e non esclusivamente “colta”, ha il duplice scopo di far vivere a chiunque l’esperienza sublime del teatro, come accadeva un tempo, e, contemporaneamente, di aprire le porte di questi templi alla contemporaneità.

Non solo concerti, uno degli aspetti più interessanti di Barezzi è l’apertura a pubblico nella zona ‘itinerante’ di Tanqueray, in cui alcuni cantori e artisti italiani si esibiranno in showcase e piccoli live set occupando alcune zone inusuali a ingresso gratuito. un modo per conservare con la città e i suoi abitanti. Quanto è importante questo aspetto? Ci sarà un termine comune  su cui avete focalizzato la scelta? Cosa dobbiamo aspettarci?

Gli eventi che fanno da corollario ai concerti degli headliner sono una parte fondamentale del festival. La forma stessa del festival risiede nella varietà e nella diversificazione della proposta. Affiancare piccoli showcase ad ingresso gratuito ai concerti principali, oppure spettacoli più intimi che garantiscano un contatto quasi diretto con gli artisti, contribuisce a creare l’atmosfera del festival e lo rende fruibile a tutti, anche alle famiglie, ad esempio, negli orari pomeridiani. Il tutto, sempre nella cornice preziosa del caffè del teatro, al Regio di Parma.

Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? Quanto sarà importante l’occasione di Parma prossima capitale della cultura italiana?

La longevità del festival, come dicevo, probabilmente risiede nella sua coerenza e nel caposaldo della qualità. Tutto quel che c’è da attendersi dal Barezzi è coerenza e qualità, con la consapevolezza che la coerenza non sia staticità ma continua ricerca. La nomina di Parma a capitale della cultura è un’occasione ottima che va colta con maturità e prospettiva. Parma è una città che offre molto ogni anno, in ogni stagione e in ogni ambito, l’eccezionalità del suo essere, nel 2020, capitale della cultura, potrebbe essere utile affinché si apra maggiormente verso l’esterno, magari su orizzonti internazionali che la pongano in relazione con le maggiori città europee, sul piano culturale e delle avanguardie.

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