Dopo il successo di Nuova Napoli, i Nu Genea tornano con Bar Mediterraneo, un album che continua il percorso di ricerca di suoni e contaminazioni che contraddistingue la musica di Massimo Di Lena e Lucio Aquilina. Napoli abbraccia l’intero Mediterraneo come un grande bar, luogo di incontri e scontri e movimenti di popoli; nel nuovo album la cultura napoletana si mescola a quella africana e mediterranea, e la lingua di Napoli si combina con altre lingue, come se la riscoperta dei sotterranei partenopei prendesse il largo nel grande mare della cultura mediterranea e del pensiero meridiano. Così in Marechià, singolo uscito ormai lo scorso anno in collaborazione con Célia Kameni, il francese e il napoletano si incontrano – “je suis là-bas, là bas, lla abbasc’ a Marechià” –, come se i Nu Genea volessero scavare alle origini e alle contaminazioni della lingua napoletana, dirci che ogni lingua è un incontro e un marasma, e che nel grande bar in cui abitiamo c’è un grande caos di suoni e voci che sono i frammenti delle nostre identità. Questa abilità dei Nu Genea alla contaminazione di suoni è forse all’origine del loro successo internazionale; se il napoletano è una lingua speciale da cantare e capace di oltrepassare barriere, i suoni che recuperano i Nu Genea sono quelli del funk, del jazz, della Napoli di James Senese, della musica riemersa dal sottoscala, tra atmosfere disco, visioni elettroniche e dedizione al groove; una spinta fusion che li ha fatti conoscere anche fuori dal circuito della musica italiana, e – pure nella loro vena da recuperatori di suoni – li ha resi innovatori in un’epoca di retro-movimenti.
“Siamo partiti dall’elettronica, e poi abbiamo proseguito cronologicamente all’indietro verso suoni del passato, finché non siamo arrivati a Nuova Napoli”, così Lucio Aquilina ha sintetizzato il percorso iniziale dei Nu Guinea (poi Nu Genea) in un’intervista. In un certo senso la chiaroveggenza dei Nu Genea sta nel rimescolamento continuo del passato, nel dialogo del presente con il recupero di suoni e tradizioni, un discorso di sincretismo che continua la sua indagine negli otto pezzi di Bar Mediterraneo. Con un background che spazia dalla techno all’elettronica berlinese, influenze che vanno dall’afrobeat ai Caraibi fino a Pino Daniele, e un’idea estetica molto precisa che si può osservare sulle copertine dei loro dischi, i Nu Genea con il nuovo album danno voce a una certa anima mediterranea e alle sue infinite sfaccettature. Un’anima in eterno naufragio e con uno spiccato senso della curiosità. Come archeologi futuristi, i Nu Genea buttano la testa dentro i sotterranei per scavare alla ricerca di contaminazioni e far riemergere da là sotto Vesuvio, un pezzo degli E’ Zezi, gruppo operaio nato negli anni Settanta, o il testo di una poesia di Raffaele Viviani riadattato per il ritmo jazz-funk de La crisi. E così chi ascolta ha la sensazione di essere trascinato in un naufragio tra mari e suoni. Il Bar Mediterraneo gioca su una tensione tra identità e sradicamento, è un disco meticcio, ci culla con la soleggiata atmosfera di Tienaté, lo straniamento di Straniero, il ritmo spensierato di Rire – come in un affascinante mosaico dove tutti gli elementi sono tenuti insieme dal talento artistico. Nel grande paesaggio napoletano i Nu Genea trovano la loro originalità nel tentativo di tenere insieme più spinte, più colori, la dimensione sotterranea e quella popolare, poesie perdute, beats contaminati e festosi, ascolti diversi, terre lontane. Con questo lavoro si confermano come una realtà musicale che suona tra le più affascinanti nell’Italia contemporanea.