“I Talking Heads? Un’ispirazione” | I Balthazar raccontano il nuovo album Fever

Tutte le foto sono di Alice Blandini

 

Jinte Deprez ha la voce divertita. Probabilmente è l’effetto che fa il nuovo album dei Balthazar, Fever, in uscita il prossimo 25 Gennaio per PIAS. La title-track — e primo singolo estratto dal disco — è davvero un condensato di bella energia che ammicca ad atmosfere funk. Abbandonata la vena più malinconica, la band belga sembra aver trovato un suono maturo e sofisticato, un pop rock che si ammoderna di chiaroscuri funk e soul impreziosito da intensi vocal. Quando raggiungiamo Deprez al telefono per un’intervista, lui sembra super-eccitato dall’uscita del nuovo album.

«Tutti gli album hanno una loro storia, ma credo che questo qui ne dica una molto interessante perché siamo tornati a registrare come una band dopo la pausa e i dischi con i nostri rispettivi solo project. Penso che questo disco abbia un sacco di energia», racconta. In effetti i Balthazar sono reduci da un periodo di pausa, e l’ultimo disco Thin Walls risale a ormai 4 anni fa. Nel frattempo i due frontman, Maarten Devoldere e lo stesso Deprez, si sono dedicati a due interessanti progetti solisti che hanno permesso a entrambi esperienze più intimiste. Devoldere con Warhaus ha tirato fuori tutte le sue ossessioni con ballate d’atmosfera che evocano Cohen e Gainsbourg, e un paio di dischi art-jazz impreziositi dalla voce della compagna che considera come una musa, la musicista Sylvie Kreusch. Jinte Deprez invece si è dedicato a un sound più R&B sotto lo pseudonimo di J. Bernardt.

«Siamo stati grandi fan dei nostri progetti in solo l’uno dell’altro, e siamo tornati eccitati all’idea di lavorare ancora insieme. I due progetti ci sono serviti a sperimentare un po’, per esempio J. Bernardt era un po’ più r&b, hip hop e soul, e Warhaus aveva toni differenti, così quando siamo tornati a far musica insieme c’erano davvero tante opzioni sulla direzione da prendere. Il nuovo disco ha qualcosa di più soul, più voci del tipo cori, siamo più funky, ci sono più percussioni, e penso sia il risultato di quello che abbiamo sperimentato da soli. Voglio dire, non considero tutti questi progetti qualcosa di diverso, siamo pur sempre io e Marteen; la grande differenza è solo come abbiamo fatto musica, se da soli o insieme. Tutte queste esperienze aiutano a trovare nuovi suoni, nuova energia, e anche una nuova mentalità: penso che per esempio oggi siamo più spontanei, e questa attitudine venga dai progetti solisti».

Fotografia di Alice Blandini – Balthazar a Milano

Sembra che Maarten e Jinte siano riusciti a fondere le due esperienze soliste per dirottarle all’interno del nuovo album, arrivando a produrre qualcosa di insolito per i Balthazar. «La cosa divertente è che per questo lavoro io ho preso un sacco dal suono Warhaus e Marteen da quello di J Bernardt. Abbiamo mischiato tutte le influenze, ma questa è sempre stato un po’ parte di quello che siamo, di cosa sono i Balthazar anche indipendentemente dai progetti solisti».

È vero che siete stati ispirati dai Talking Heads per questo disco?

«I Talking Heads sono una di quelle band che ci hanno ispirato a non fare quel tipo di musica che viene fuori solo dall’hype del momento, ma piuttosto una musica senza tempo, eterna. In realtà avevamo paura che quando sei troppo eccitato la musica non riesca a essere davvero senza tempo, ma i Talking Head sono l’esempio perfetto che questa cosa non è vera, perché la loro musica è eccitante, ma nello stesso tempo terribilmente interessante e artistica. E ascoltare loro ci ha reso più sicuri nel tirar fuori un album più luminoso senza perdere in profondità, e credo che un album come Fever vada proprio in questa direzione. Non penso che abbiamo mai fatto qualcosa del genere prima, e ascoltare i Talking Heads ci ha dato quella confidenza e ispirazione per riuscire a farlo: è stato divertente e funky. Anche se non direi che siamo sofisticati quanto i Talking Heads. Penso che quello è il next level (ride)».

La title-track Fever sembra essere il manifesto di questo nuovo corso: forte, energetico, deciso.

«Fever è anche stata una canzone importante quando stavamo scrivendo il disco. Avevamo un sacco di canzoni all’inizio, e non sapevamo ancora che direzione avremmo preso, poi è venuto fuori questo pezzo che aveva tutta questa energia. E la direzione di questa canzone in particolare ci ha davvero soddisfatto, perché da quel momento sapevamo cosa fare in questo disco. Anche gli arrangiamenti del pezzo sono davvero importanti, è stato l’inizio di tutto per arrivare a finire l’album».

Il risultato finale è davvero notevole. Vi sembra di aver trovato il vostro sound?

«Credo che il nostro sound non lo troveremo mai, altrimenti dovremo smettere di fare album. Penso piuttosto che questo disco sia un nuovo capitolo, e questo sia il sound di questo capitolo. Sai, un tempo eravamo una band più malinconica, e i nostri solo project sono andati in una direzione più intima, più personale. Quasi per reazione ora che siamo tornati alla dimensione della band siamo andati verso qualcosa di più energetico, e abbiamo provato a trasmetterlo attraverso la musica. Poi naturalmente dopo tutti questi anni riesci a trovare il tipo di suono che vorresti fare, quindi in un certo senso sì – il nostro sound lo abbiamo trovato, ma spero che tireremo fuori ancora tanti album».

Foto di Alice Blandini – Balthazar a Milano

Le undici tracce di Fever scorrono veloci: Changes riesce a fondere l’elettronica con la voce cupa e profonda di Devoldere, I’m Never Gonna Let You Down Again si agita e riempie di atmosfere funk, Entertainment è un condensato di gioia che si fa strada attraverso assassinanti assoli di sax. Quando chiedo a Jinte se ci sia un pezzo a cui è particolarmente legato però non sa rispondere.

«Sai, il fatto che abbiamo registrato 11 canzoni per tirare fuori un album le rende tutte preferite, ogni traccia ha qualcosa di speciale per me. In questo forse sono un po’ old-school e quel che mi piace in un disco è che ogni traccia contribuisce a raccontare la storia dell’intero album, i differenti elementi della storia, quindi ogni traccia ha bisogno di tutte le altre. Diciamo che oggi che è giovedì la mia preferita è Grapefruit, ma domani che è venerdì direi Wrong Faces».

Il tour dei Balthazar parte a Febbraio, cosa dobbiamo aspettarci dal vivo?

«Penso che questo disco sia fatto apposta per essere suonato dal vivo, forse più di quelli precedenti perché è davvero estroverso, energico, e nasce proprio per una dimensione da live. Sarà uno show piuttosto diverso dal solito, meno dark e melanconico, e più celebrativo – sarà una celebrazione della vita».

Di certo c’è che non ci sarà più Patricia Vanneste ad accompagnare la band dal vivo: ormai ha lasciato i Balthazar e con nuovi musicisti sul palco sembrerà di trovarsi di fronte un’altra band, «con un’altra energia» – dice Deprez. «In apertura al concerto abbiamo portato il ragazzo che ha prodotto il disco con noi, Jasper Maekelberg con il suo progetto Faces On Tv, quindi meglio che veniate presto al concerto per vedere anche lui dal vivo». L’invito è valido per la data milanese del 20 Febbraio, al Santeria Social Club. «Mi piace davvero il pubblico italiano, siete davvero appassionati. Quando suoniamo in Italia ci sono sempre braccia che vanno verso l’alto, ed è questo a piacerci: vogliamo vedere reazioni, e gli italiani sono davvero aperti alla musica».

Balthazar a Milano – Foto di Alice Blandini

Com’era la scena indie-rock in Belgio quando avete cominciato a suonare?

«Abbastanza differente da com’è adesso, le cose sono cambiate. A quel tempo c’era davvero tanto indie-rock, molte band di livello internazionale, e noi volevamo assolutamente andare in tour all’estero. Noi abbiamo vissuto un periodo di transizione tra la generazione dei Soulwax (di cui eravamo fan) e quella di oggi. Ma all’epoca, c’erano davvero tante band».

E quali erano gli ascolti dei Balthazar a quei tempi?

«Penso ci siano state un po’ di fasi. All’inizio quando abbiamo cominciato, all’epoca del primo album, eravamo soprattutto influenzati da artisti contemporanei, soltanto dopo siamo arrivati a scoprire classici come Leonard Cohen, Bob Dylan, Lou Reed e Nick Cave. E poi come dire, non puoi dimenticare i Beatles una volta che li conosci. Però agli inizi eravamo soprattutto presi da cose come gli LCD Soundsystem, che hanno avuto una grossa influenza».

Già, gli LCD Soundsystem, un’altra di quelle band energiche che trasmettono un ritmo positivo. Se vi piace star carichi, non potete perdervi Fever.

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