L’inizio degli anni ’10 ci ha insegnato diverse cose circa il Canada:
- La sanità pubblica, se ben gestita, non causa necessariamente il dissesto finanziario dello Stato che l’adotta;
- i cugini sfigati degli USA hanno un potere finanziario tale da poter influenzare a piacimento le sorti di buona parte del mondo, Europa in testa;
- la scena musicale canadese non si ferma a Neil Young, Leonard Cohen e Joni Mitchell.
Ed è in questa viva fucina di talenti (avete presente gli Arcade Fire?) che trovano il loro posto gli Austra, ensemble di Toronto formato da un nucleo originale di tre, Katie Stelmansis alla voce e tastiere, Maya Postepsky alla batteria e dal bassista Dorian Wolf, cui si aggiungono le coriste (gemelle) Romy e Sari Lightman ed il tastierista Ryan Wonsiak.
Fatte le dovute presentazioni, veniamo a questo Olympia, secondo lavoro in studio della band, che rispetto alla dark-wave del primo Feel it break (2011), emerge, approdando in territori più pop e al contempo dreamy; se infatti si fa ancora largo uso di synth e campionatori dal suono indiscutibilmente vintage, le atmosfere a cui si rifà la band diventano rarefatte e, complice l’alchimia formata dal lirismo vocale della Stelmansis a contatto con la spazialità dei cori delle gemelle Lightman e da sonorità che richiamano un certo folk nordico, si può riscontrare finanche un elemento epico; dopotutto Austra, secondo la mitologia lettone, è la dea della luce.
Ciò detto, va però precisato che questo è tutt’altro che un disco “moscio”. Se con gli arrangiamenti vengono create le atmosfere eteree di cui sopra, la sezione ritmica riesce perfettamente nel compito non facile di dare vivacità ai brani. Ed è proprio questa compresenza di atmosfere eteree e ritmi pulsanti la cifra di questo disco. Già dal primo brano, What we done, che inizia piano, con le voci perfettamente incastonate in un arrangiamento molto elegante, ma che dopo tre minuti catapulta l’ascoltatore al centro di un dancefloor con tanto di luci colorate. Forgive me scorre più tranquilla tra le domande senza risposta di Katie (“what do I have to do to make you forgive me?”).
I singoli Painful like, col suo attacco sornione di basso e batteria, e Home, che invece fa dell’intreccio di piano e voce il suo punto di forza, con il loro incedere più pop, strizzano entrambi l’occhio alle emittenti radiofoniche, senza però cadere fuori tema; a questi si alternano i momenti decisamente più intimi e raffinati di Sleep e Fire. Nella brevissima (1:11) I don’t care (I’m a Man), complice la assenza della sezione ritmica, le voci sono libere di mostrarsi in tutta la loro algida magnificenza su un tappeto appena accennato di sintetizzatori. La successiva We become è una nuova virata pop, l’ultima così decisa in questo album, con tanto di ritornello canticchiabile.
Ai synth intrisi di delay è affidato l’attacco di Reconcile, pezzo in cui la voce, qui particolarmente potente, svetta sugli strumenti e sui cori, comportandosi con questi un po’ come l’olio sull’acqua. Si ritona al dancefloor con Annie(Oh, muse you), prima di arrivare al brano meno pop, per complessità compositiva, dell’intero album; in You changed my life, la voce, anche qui potente e ben distinta, incanta per un minuto e mezzo, dopo di che lascia interamente la scena ad un drumming marziale che sovrasta suoni stratificati che si ripetono ciclicamente per i successivi due minuti. Hurt me now chiude in solennità quest’album, grazie, oltre alle ormai familiari doti canore, ad un incedere particolarmente cadenzato e scandito di sezione ritmica ed arrangiamenti.
In sintesi gli Austra, con questo Olympia, riescono nel compito non scontato di unire atmosfere che hanno dell’apollineo, con una ritmica decisamente viva e mai noiosa. Dj di tutto il mondo, fatevi avanti, questo è pane per i vostri denti.
Domino, 2013
Seppiolo, hai dimenticato che anche Justin Bieber è canadese!