Il Bleech Festival torna per la sua ottava edizione, ormai un appuntamento imperdibile per gli amanti della musica e della cultura enogastronomica. Dal 29 agosto all’1 settembre, la Corte Faggiola di Gariga, in provincia di Piacenza, ospiterà il festival in un affascinante contesto di campagna. Quest’anno, l’evento si arricchisce ulteriormente con una line-up variegata e tante novità. In questa intervista con il direttore artistico Riccardo Covelli, scopriamo cosa renderà unica questa edizione del Bleech Festival e perché non dovreste perdervela.
Dopo la conclusione dell’ultima edizione, avete subito iniziato a lavorare a quella di quest’anno o vi siete presi del tempo per riflettere?
L’anno scorso è stato un punto di svolta per noi. Abbiamo fatto un passo indietro per riflettere e scoprire la nostra vera identità. Ci siamo resi conto che il nostro festival non poteva competere con gli eventi che puntano sui grandi nomi. Invece di inseguire artisti che non ci possiamo permettere, abbiamo scelto di concentrarci sulla qualità della selezione artistica e sulla costruzione di un rapporto di fiducia con il pubblico. Quest’anno vogliamo consolidare questa direzione, rafforzando la presenza di artisti internazionali. Confermiamo la formula dei quattro giorni, con food truck, area market e il concetto di boutique festival: un evento intimo, ma significativo. Il contatto umano rimane per noi essenziale e prezioso, qualcosa da preservare con cura.
Che tipo di riscontro avete ricevuto dal pubblico lo scorso anno?
Quando un evento ha una forte identità, diventa naturalmente attrattivo per le persone. Lo vediamo chiaramente dalle numerose richieste che riceviamo da chi desidera diventare volontario. Quest’anno abbiamo dovuto persino limitare le adesioni, ma siamo davvero contenti di questo interesse. Per celebrare questa crescita, nella scorsa edizione abbiamo scelto di aprire il festival con il primo artista internazionale della nostra storia, e il risultato è stato straordinario: il pubblico era numerosissimo sotto il palco.
E quest’anno la formula sarà la stessa?
Sì, confermiamo la formula del giovedì come anteprima del festival. È un’occasione per farci conoscere, soprattutto in provincia, e per questo riserviamo una sorpresa musicale proprio per quel giorno. Il venerdì sarà molto tribale, con i Selton e gli Addict Ameba; il sabato sarà più elettronico e orientato a un pubblico giovane, con artisti come i Queen of Saba, gli Eternal Love ed EDONICO. La nuova generazione sarà protagonista il sabato, mentre la domenica sarà dedicata al cantautorato. Anche se potrebbe sembrare controintuitivo abbiamo scelto di mettere il nome più gettonato in cartellone proprio la domenica in modo da misurarci con una vera scommessa su un giorno che storicamente è più fiacco. Questo è stato il nostro cambio di paradigma. Da otto anni il nostro festival è gratuito, e passare a un formato a pagamento sarebbe difficile. Il legame di fiducia con il pubblico è ciò che ci unisce, convinti che possiamo offrire un contributo culturale significativo.
Puntare su artisti già affermati è facile, ma mi interessa sapere come scegliete quelli meno conosciuti, quelli su cui scommettete e che volete far scoprire al vostro pubblico.
La nostra selezione parte dai due o tre nomi principali che desideriamo avere. Cerchiamo artisti che, per numeri ma anche per istinto, stiano interpretando bene ciò che accade nel mondo. Marco Castello, ad esempio, per me incarna perfettamente questo spirito. L’ho visto a dicembre a Bologna e si percepiva un calore e un coinvolgimento genuino tra il pubblico, qualcosa di non comune. Poi c’è il nostro direttivo, che durante l’anno partecipa a concerti, ascolta molta musica e suggerisce altri artisti da inserire in line-up. Inoltre, nel corso degli anni, abbiamo costruito rapporti solidi con professionisti dell’industria musicale che ci propongono talenti emergenti, completando così il nostro lavoro di selezione. Questo è il nostro approccio, mentre altri festival decidono di fare una selezione in modo più casuale o tematico. Noi ci impegniamo a dare una caratterizzazione precisa a ogni giornata, offrendo al pubblico un fil rouge: da una parte i grandi nomi, dall’altra le scoperte fatte in giro per concerti, unite al lavoro dei booking.
Il tema di quest’anno segna un ritorno alle radici del Bleech Festival. Terra! Terra! racconta l’evoluzione, il passaggio dalla città alla campagna, un ritorno alle origini. Trovare questo tema e questo slogan è stato un processo naturale o ha richiesto del tempo?
La costruzione della nostra identità è stata un percorso. Non è scontato avere chiara la propria identità e la direzione fin dall’inizio. Questa scelta è nata prima di tutto dalla parte visiva. Sappiamo con certezza chi non siamo: non rappresentiamo un mondo onirico, fatto di stelle e spazio. Siamo un festival che si svolge in campagna, non nella grande città, e questo per noi non è un limite, ma la nostra più grande forza. Terra! Terra! ha un duplice significato: lo spazio che vogliamo esplorare non è distante, è qui, e ci piace. Vogliamo portare le persone a innamorarsi del nostro territorio. Il secondo significato è più letterale: ci consideriamo contadini della musica. Non vogliamo complicarci con sovrastrutture; per noi, una delle cose più antiche dell’umanità è riunirsi in un luogo per cantare, danzare e stare insieme. Si tratta di un bisogno primario. Il nostro festival è un’esperienza fisica e concreta. Anche visivamente, abbiamo scelto illustrazioni che sembrano rappresentare altri pianeti, ma in realtà sono la nostra terra.
Il vostro manifesto infatti contrappone chiaramente il blu del cielo alla terra rossa, evocando un paesaggio quasi desertico, caldo come l’estate che si conclude con il festival. Questo avviene a cavallo tra agosto e settembre, un periodo che segna simbolicamente l’inizio di un nuovo anno.
Negli ultimi due anni abbiamo adottato il blu, un colore che richiama il cielo estivo. A livello climatico, però, non sappiamo mai cosa aspettarci: grandine, caldo tropicale, o pioggia autunnale.
Oggi, organizzare un festival ti costringe a riflettere su questioni che una volta erano in secondo piano.
Proprio così. Chiunque sia stato in un paese tropicale sa che il segreto è imparare a pensare come chi vive lì. Guarda Glastonbury: piove ogni anno, ma la gente continua a partecipare. Certo, c’è sempre la questione della sicurezza, ma la timidezza verso la pioggia dovrebbe diminuire. Bisogna imparare a gestire gli imprevisti.
Quali accorgimenti sta adottando il Bleech Festival in termini di sostenibilità, rapporto con il territorio e gestione dei rifiuti?
Una delle novità più importanti di quest’anno è l’adozione di ecocompattatori, macchine giganti che metteremo nell’area del festival per raccogliere e riciclare separatamente le bottiglie di plastica. In passato abbiamo provato ad usare i cartoni del bric, ma il problema del tappo in plastica e la difficoltà di separare i materiali ci ha spinti a cambiare strategia. Per ogni bottiglia riciclata, offriremo uno sconto sulle consumazioni. Tornerà anche il nostro bicchiere riutilizzabile. Il nostro progetto più ambizioso si chiama A Good Festival, con cui stiamo coinvolgendo altri festival affini in tutta Italia. Il primo con cui abbiamo collaborato è il Base Festival di Venezia. L’obiettivo è creare una rete di festival che condivida linee guida per rendere gli eventi più sostenibili in Italia. L’idea è quella di creare un marchio per chi aderisce e sensibilizzare il pubblico. A tal fine, stiamo collaborando con un laboratorio di ricerca del Politecnico di Milano qui a Piacenza, per avere una misurazione scientifica dell’impatto. Da soli il nostro contributo è limitato, ma coinvolgendo più festival possiamo fare la differenza.
Può essere anche un’occasione per confrontarsi con altre realtà e far circolare nuove idee. Quali sono, invece, le novità dell’area food?
Quest’anno l’area food fa un salto di qualità: avremo nove punti ristoro, diventando più strutturati e creando un vero e proprio evento nell’evento in collaborazione con il Faggiola Food Festival. Abbiamo notato che la comunicazione di un festival come Bleech, centrato soprattutto sulla musica, non sempre raggiunge chi è più interessato all’enogastronomia. Per questo, abbiamo deciso di dare maggiore rilievo a questo aspetto, creando un’identità separata per il Faggiola Food Festival, con una sua grafica distintiva e una pagina dedicata. Inoltre, faremo interviste ai food truck per esplorare a fondo questa parte del festival, che non è affatto casuale o secondaria. Abbiamo condotto una ricerca approfondita per selezionare i food truck, chiedendo loro di utilizzare stoviglie e posate compostabili, e abbiamo introdotto buone pratiche per la gestione dei rifiuti. Può sembrare un dettaglio, ma è un aspetto fondamentale.
Ci sono altre novità per quanto riguarda gli espositori? Ci saranno nuovi partecipanti?
La sezione Abat-jour, con il mercatino, è confermata come lo scorso anno. Quest’anno introdurremo anche una nuova iniziativa: la gara di toast, TOTOST, un torneo di toast con una giuria, coinvolgendo sia i food truck che appassionati di ogni tipo. Avremo anche degustazioni di vino con Il Poggiarello, sessioni di yoga al mattino, e i gelati artigianali di Magritte – Gelati al cubo, una gelateria premiata da Slow Food e Gambero Rosso.
Con nuovi artisti e una maggiore attenzione al territorio, cosa speri di sentirti dire dal pubblico dopo questa edizione? Qual è la tua aspettativa?
Non è facile rispondere, ma dopo otto anni ci sono due cose che mi motivano particolarmente. La prima è che il festival abbia successo al punto da spingerci a puntare sempre più in alto e realizzare progetti ancora più ambiziosi. La seconda è fare in modo che Piacenza diventi un punto di riferimento in Italia, dimostrando che anche in provincia, dove spesso c’è un senso di immobilità, è possibile creare eventi significativi. Voglio mostrare che, con una proposta ben progettata e un impegno a lungo termine, possiamo rompere questa staticità e generare un fermento culturale simile a quello delle grandi città europee, dove c’è sempre qualcosa di nuovo e stimolante.