Arto Lindsay: ieri, oggi e domani

A ripensarci il giorno dopo, la sensazione di aver vissuto in un’utopia la sera precedente, anzi una distopia, è ancora maggiore. Sì, perché sul palco del Monk di Roma ieri sera c’erano tre musicisti che in un mondo reale non starebbero mai sullo stesso palco. Un giovane percussionista di colore, un maturo(-issimo) chitarrista classico flamenco e bossanova e poi lui, quello che ci mette la faccia , il nome e la musica: Arto Linsday, un newyorkese stereotipato dalla testa ai piedi alla chitarra, fin quando apre la bocca e non si capisce come sia possibile ma sta cantando in portoghese con una voce che ricorda da vicino Caetono Veloso.

Ho messo subito tanta carne al fuoco, per rendere bene da vicino che concerto meravigliosamente straniante è andato in scena sul palco del locale romano. Arto Linsday è un personaggio che potrebbe figurare tranquillamente nel dizionario vicino alla voce “underground”, quello vero però. Perché per quanto la sua musica e la sua creatività siano state profondamente influenti negli anni a partire dalla metà dei Settanta, tanto la fama di cui ha goduto non è mai stata molta, sicuramente non al pari di colleghi collaboratori ed amici illustri di quella “no-wave” newyorkese che lui stesso ha contribuito a creare e definire (in ordine sparso: Brian Eno, Bill Frisell, John Zorn, David Byrne e tanti ancora).

Foto di Giulio Pecci

 

Eppure negli anni Arto non si è mai fermato ed ha continuato imperterrito per la sua via, forte di un pubblico di affezionati e di nuove leve che man mano scoprivano entusiaste l’esplosiva ed eccitante creatività della sua musica. Per questo l’attesa di tredici anni fra “Salt” del 2004 e l’ultimo “Cuidado Madame” uscito quest’anno è stata “strana” in un certo senso. “Cuidado Madame” è un disco molto bello, che racchiude bene le diverse anime di Arto. C’è il noise, c’è il free jazz, ci sono la lingua portoghese e l’influenza brasiliana dovuta al suo lungo trascorso in quel bellissimo paese.

Il concerto non si discosta da questa alchimia di elementi così diversi, anzi li accentua, spiegando quindi la presenza di figure così diverse sul palco. Le strutture dei brani appaiono molto libere, quasi mai sentiamo una pulsazione ritmica vera e propria che ci aiuta ad intuire una forma precisa, le percussioni sono quasi uno strumento melodico, mentre ad esempio la chitarra di Arto non produrrà mai accordi od assoli, bensì solo rumori od ironicamente, ritmi. In questa confusione controllata solo la chitarra classica svolge il suo lavoro “canonico” disegnando continuamente successioni di accordi dal sapore bossa e jazz in modo continuativo e senza sosta. Nonostante dei momenti puramente improvvisativi sembrano esser presenti, la maggior parte delle cose, anche quelle che diremmo decisamente improvvisate, è scritta come dimostrato anche dagli spartiti da cui leggono i tre in continuazione.

La sensazione che si ha è particolare, come detto nell’intro, sembra di vivere un costante presente musicale in onnipresente tensione per una risoluzione che non arriva mai. Sembra sempre che ci debba essere la svolta, che il pezzo improvvisamente debba partire in una cavalcata danzereccia di memoria Sud-Americana ed invece ciò non accade mai, al massimo in quel momento l’animo noise prende il sopravvento ed Arto si getta sulla chitarra strappandone le corde ed armeggiando con i pedali ai suoi piedi, creando il caos lì dove c’era una linea melodica dolce e perfetta. Dolce è la vocalità di Arto Linsday, con quelle note proprie della vecchiaia che colorano di piccole imperfezioni preziosissime le delicate linee vocali di memoria, ancora una volta ed in questo caso in tutto e per tutto, bossa nova e jazz, in un portoghese dall’accento americano ed in un americano dall’accento portoghese.

Purtroppo non c’è stata grandissima partecipazione di pubblico, sia a livello numerico che di “calore” espresso, ma nonostante questo Arto Linsday da vero professionista ed artista eccelso ha concesso ben tre bis a chi ha continuato ad applaudire ogni volta che usciva di scena. Devo ringraziare il Monk perché mai in vita mia avrei pensato di vedere dal vivo e per di più nella mia città, un artista così speciale ed importante, e quella di ieri è stata una serata del tutto particolare, in un certo senso esattamente come me l’aspettavo, ma anche l’esatto contrario. Un tripudio di opposti che magicamente si sono uniti nel dar vita ad un concerto unico nel suo genere da parte di un meraviglioso musicista e compositore, a cui non si smetterà mai di guardare come ad un esempio ed un pioniere.

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