Perché limitarsi alla realtà se è possibile amplificarla? Dalla musica alla moda, passando dalle lotte civili, l’illuminazione dello statunitense Art Kane, nome d’arte di Arthur Kanofsky, ha rivoluzionato il mondo della fotografia. Sin dal suo germe, A great day in Harlem, o per molti solo Harlem, la foto che è riuscita a catturare l’essenza del mondo del jazz nello sguardo dei 57 migliori artisti del momento immortalati nella 128th Street, tra la Quinta Strada e Madison Avenue di Harlem, New York. Erano le 10 di mattina di un 12 agosto 1958 e quello scatto, il primo di Kane che comparve sulla rivista Esquire con cui collaborava da freelance e art director, cambiò la storia.
Sessant’anni dopo, quella capacità di fondere immagine e significato nell’aura di un’epoca, stupisce ancora nelle circa 40 foto in mostra in Art Kane. Visionary per il Fo.To, fotografi a Torino. Spaziando tra 70 location, 90 mostre e la programmazione fitta del progetto di collaborazione cittadina che per tre mesi invaderà la città sabauda, varcando la soglia dello spazio Don Chisciotte si finisce dritti dritti in un livello etereo, fatto di sregolatezza rock, pacifismo woodstockiano e dilagante consumismo. Lo scatto degli Who, addormentati in strada ai piedi del Carl Schurz Monument a New York e avvolti nella bandiera britannica a mo’ di coperta che accoglie all’ingresso per l’album The kids are alright è solo il pass di benvenuto.
L’interpretazione che fino a quel momento nella fotografia era lasciata al pubblico, diventa il suo marchio di fabbrica, oltrepassando l’inestendibile limite della realtà. E Louis Armstrong, Janis Joplin, Rolling Stones, Bob Dylan, Beatles, Frank Zappa, Aretha Franklin, The Doors e tanti altri, diventano le sue muse. Ma nell’esposizione curata da Guido Harari e la sua Wall of Sound Gallery e organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes, non c’è solo il Kane utopista e irriverente in un momento in cui sembrava che la realtà desse già tutto, ma anche il fotografo contemporaneo e geniale, precursore tecnologico e dei tempi. Come fece nella moda, sdoganando l’uso del 21 mm e realizzando per Vogue, in quel di New York City i primi shooting per grandi marchi. O come la tecnica del “sandwich”, stratificando due o più diapositive e posizionandole al contrario o sottosopra nello sesso telaio.
«La musicalità delle sue immagini, la loro inventiva audace – ricorda Harari -, indicavano una strada ricca di appassionanti avventure e deviazioni per un fotografo in erba qual ero, e così è stato fino alla scomparsa di Kane nel 1995 e oltre». Una visione, la sua, ben oltre l’arte che partorì scatti onirici e densi di figure retoriche che furono ambasciatori di messaggi a favore dei diritti civili e dell’uguaglianza. Il Cristo sulla sedia elettrica in With God in Our Side sulle note della canzone di Bob Dylan, la gigante bandiera a stelle e strisce calpestata da decine di persone che come formiche vi passeggiano sopra, un reduce del Vietnam senza più la parte inferiore del corpo su una carrozzella, la vicinanza di due bambini di etnie diverse coperti da un solo uguale pannolino, o indiani di tutte le tribù che occupano il carcere di Alcatraz.
No, la sua anima artistica non era solo musicale. Nel suo approccio concettuale ancora oggi si scopre un mondo di simboli e ideologie che rappresentavano la storia e la ampliavano con un’interpretazione che non vuole essere reale. Lo capì Andy Warhol, da lui stesso fotografato nel 1962. “Penso ad Art Kane come a un colore acceso, diciamo come un sole color zucca in mezzo a un cielo blu. Come il sole, Art fissa il raggio del suo sguardo sul suo soggetto, e quel che vede, lui fotografa – e di solito si tratta di un’interpretazione drammatica della sua personalità”. E la cosa fu chiara già dal suo primo tentativo dietro l’obiettivo, quello di Harlem: bastò per capire che non sarebbe stato più possibile tornare indietro.
La mostra sarà visitabile fino al 14 luglio 2018 presso la Fondazione Bottari Lattes, nello Spazio don Chisciotte.